Pazzia CGIL
Siamo alla pazzia
Ma che sta accadendo in questa città?
Sempre più ottenebrati, sempre più tignosamente accaniti a difendere i peggiori interessi privati, sbeffeggiando l’idea stessa di comunità civile.
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Siamo alla pazzia
Ma che sta accadendo in questa città?
Sempre più ottenebrati, sempre più tignosamente accaniti a difendere i peggiori interessi privati, sbeffeggiando l’idea stessa di comunità civile.
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Non credevo saremmo mai arrivati a questo punto. Sentire il segretario della CGIL, il più glorioso e storico sindacato, e il segretario del PD, un partito che comunque dovrebbe avere le sue radici nel popolo (non diciamo di sinistra, per carità di patria) parlare di SCIOPERO GENERALE. |
E per cosa? Non contro la scellerata politica del governo verso i lavoratori, la ricerca, gli studenti. Non contro (o almeno per spronare) l’assoluta ignavia di una opposizione inguardabile. Non per invocare investimenti per il futuro, nuove tecnologie, lotta al precariato, sostegno per l’occupazione e il cosiddetto sviluppo sostenibile. Ma per un molto presunto sviluppo, in compenso assolutamente insostenibile.
Niente a che vedere con Landini e la Fiom, ma neppure con la ben più moderata Camusso che scende in piazza proprio ora.
No. A Savona, secondo loro, i lavoratori dovrebbero scioperare compatti per difendere il diritto di ampliare una centrale già inquinante e sovradimensionata, e di costruire una piattaforma che ogni evidenza logica, di mercato, di tendenze future fa capire assolutamente inutile. E destinata quasi sicuramente a rimanere cattedrale incompiuta nel deserto. Scioperare per avallare l’irresponsabile. Difendere il diritto di devastare impunemente il territorio e la salute pubblica. E’ il leit motiv del sindacato degli ultimi anni: massimo dispendio di energie, sì, ma solo per difendere pochi posti di lavoro, ma tanti tanti soldi e grossi interessi, e purché legati ad attività devastanti, inquinanti, o addirittura improduttive come il residenziale e la pletora di centri commerciali, con il massimo danno e il minimo vantaggio. Non solo: almeno parte di questi posti, in un giro che non esito a definire squallido, sarebbero destinati a collocare lavoratori in esubero da altre realtà. Realtà produttive che avrebbero potuto e dovuto essere salvate, potenzialmente proiettate verso il futuro e non verso l’ottocento, ma per le quali NESSUNO ha saputo levare una voce ferma e coraggiosa per richiedere investimenti lungimiranti e non spreco di soldi pubblici, progetti mirati e non penose elemosine a fondo perduto. La loro INSIPIENZA e il LUCRO fine a se stesso di altri li deve pagare sempre e comunque l’intera comunità civile? Sulla sua stessa pelle, in termini di ambiente e salute, lavoro precario, umiliazioni e ricatti? Non mi risultano altrettanto vibranti, compatte, efficaci e “coraggiose” iniziative per difendere Omsav, Ferrania, Metalmetron e tutte le aree produttive smantellate negli anni, alcune anche vive e con grandi potenzialità. Né quando Enel ha ceduto a Tirreno Power la centrale, con la diminuzione di dipendenti da circa 400 a circa 250. Ma il grottesco non si ferma qui. Parliamo di destinatari, appunto. Questo sciopero sarebbe, a sentir loro, contro l’immobilismo, contro i comitati, contro il partito del no. |
Livio Di Tullio |
Qualcuno mi deve spiegare per quale strano miracolo gli stessi definiti fino a poco tempo fa “quattro gatti”, velleitari, isolati e senza sostegno popolare, si sarebbero improvvisamente trasformati in Sauron l’oscuro, potente e invincibile signore del male. Tanto da voler sollevare il popolo in armi contro una tale minaccia. E non solo. Non sarò esperta di lotte sindacali, ma mi risulta che lo sciopero fosse principalmente l’arma dei lavoratori che, coalizzandosi, lottavano per ottenere maggiori diritti, migliori condizioni di lavoro e salario, contro i datori di lavoro che, per definizione, tendevano solo a realizzare il massimo profitto, o contro settori pubblici volti al risparmio costi anche a spese del personale. Lo sciopero generale si aveva di solito in presenza di governi troppo attenti al bene, diciamo, con rispetto parlando, del “padrone”, e poco a quello del popolo. |
Una volta si chiamava lotta di classe, ma va be’, non facciamo i retro’, è un’idea obsoleta. Oggi il datore di lavoro è un interlocutore simpatico, è dalla tua stessa parte, alla mano, ha gli stessi tuoi interessi… Un po’ come Marchionne, per esempio. Adesso, ne abbiamo avuto casi a Ferrania, e ora alla centrale, lo sciopero dalle nostre parti è l’arma cui si ricorre di rado e in casi specifici, con cui i datori di lavoro insieme con i sindacati esercitano pressioni (anche indebite, come in questo caso), sui politici, locali e non, e sulla società civile, per ottenere finanziamenti, cassa, incentivi vari, oppure per far passare progetti assolutamente indigeribili alla comunità, che se tutto va bene manterranno occupazione di poche persone spremute, ricattate, precarie, oppure le lasceranno nel limbo dei sospesi, a discrezione. I lavoratori, in tutto questo? Pedine. Ostaggi. Strumenti da esibire. Ormai abituati, rassegnati, oppure sinceramente convinti di dover difendere il posto, di non avere altra scelta. E se questa volta si sente il bisogno di esibire “il grosso delle truppe” in una prova di forza, in una parata, vuol dire che la posta in gioco è davvero alta. Vuol dire che i progetti sono davvero indigeribili. Vuol dire che i quattro gatti di cui sopra hanno più ragioni concrete, e tutt’altro che velletarie e solo ambientali, di quanto non si voglia ammettere. Tutto questo mi procura una indignazione tale, che vorrei gridare. Appellarmi alle persone, ai singoli, perché provino a ragionare, a ribellarsi a una logica tanto umiliante. Niente, neppure la peggiore crisi, vale la perdita dell’orgoglio e della dignità personale. Siamo persone libere e non schiavi. Più ci pieghiamo, più schiavi diverremo. Fino a non poter tornare indietro. Mi rivolgo ai sindacalisti, ai tanti che, ne sono certa, mantengono nel loro cuore idee e passioni, e non si sono trasformati in burocrati di apparato. Mi rivolgo ai lavoratori in generale, che sarebbero chiamati a scioperare contro il bene e la salute delle loro stesse famiglie, e di tanti altri lavoratori, per esempio del turismo, dell’agricoltura, che sarebbero irreparabilmente danneggiati da scelte scriteriate. Ai lavoratori della scuola, a contatto con i ragazzi, i giovani, che di tutto hanno bisogno tranne di ricevere in eredità un futuro devastato, in tutti i sensi. Ai giornalisti, che ricevono imperterriti certe dichiarazioni e le pubblicano e le enfatizzano, prestandosi a fare da megafono, perché questa è la linea editoriale delle loro testate, e perché il clamore fa vendere. Ma rendiamoci conto di quanto sia irresponsabile, in una situazione di tensione e crisi quale stiamo vivendo, voler mettere lavoratori contro cittadini e salute pubblica, soffiare sul fuoco del bisogno e della precarietà. Un gioco neppure tanto onesto, quanto meno disinformato da parte di chi lo conduce, perché è chiaro che nella direzione in cui si vuole andare, al di là di cifre sbandierate e mai documentate, il gioco non vale e non varrà mai la candela! Ai politici, a quelli che appartengono allo stesso partito di chi fa queste dichiarazioni, a quelli di sinistra che si prestano, pur di ottenere qualche piccolo contentino, ad alleanze dove devono subire tutto. Attenzione, perché continuando su questa strada di appoggio ai poteri forti contro ogni interesse pubblico diffuso e autentico, alle prossime e vicine elezioni ci sarà una emorragia di votanti, e la sicurezza e presunzione di alcuni (tanto ci votano comunque…) potrebbe incontrare delle sorprese. Ai cittadini, alle famiglie, ai ragazzi, agli anziani che ancora ricordano tempi diversi, un po’ più coraggiosi e onesti. A tutti quanti.
Non prestiamoci a questi giochi, non assecondiamo questa china pericolosa, lanciamo un segnale forte di rifiuto, perché chi di dovere si soffermi a riflettere. Non riduciamoci a far sì che ci si debba vergognare di noi stessi e di questa città. Non abbandoniamo – e non ho paura di apparire retorica – la città Medaglia d’Oro della Resistenza, la città di Pertini, a questa spirale ottusa e cinica di desolazione.
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