Paciugo civico: quando la politica sa di gelato sciolto e minestra riscaldata

Paciugo civico: quando la politica sa di gelato sciolto e minestra riscaldata

In Liguria, dire paciugo significa due cose. La prima è la mistura disgustosa di sostanze molli, una sorta di blob da cucina che resta incollato al cucchiaio e all’anima del malcapitato. La seconda, più gentile, è un gelato in coppa con sciroppo d’amarena e frutta mista: allegro, colorato, ma pur sempre un caos zuccherato che non sai mai se finisce in freschezza o indigestione.
Ecco: le liste civiche sono il paciugo della politica italiana. Non si sa se guardarle come una coppa di gelato estivo o come un piatto che, per decenza, andava buttato nel secchio.

Ogni elezione amministrativa si trasforma così in una sagra di paciughi: coppe straripanti di “civismo” che, a leggere bene gli ingredienti, non hanno nulla di civico ma solo l’aroma sintetico del personalismo. Non migliorano la viabilità, non riducono i rifiuti, non rendono attrattivi i territori: si limitano a versare sciroppo di propaganda sopra un cucchiaio di retorica e a servire il tutto con una cialda di buone intenzioni.

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Il risultato? Un paesaggio urbano che ricorda la teoria delle “finestre rotte”, ma in versione gastronomica: più un quartiere assaggia paciughi politici, più si abitua al gusto rancido della sciatteria. Strade dissestate, piani rimasti lettera morta, traffico caotico, discariche come contorno fisso. Non finestre rotte, dunque, ma gelati sciolti al sole: la metafora perfetta del degrado amministrativo.

Le liste civiche, dicono i promotori, servono ad allargare la partecipazione. In realtà allargano solo il menù delle confusioni: più sigle spuntano, meno gente va a votare. E chi vota spesso ha davanti un buffet di capi-bastone travestiti da maître di sala, che usano i “galoppini” come camerieri per distribuire porzioni di poltrone. Non è pluralismo, è paciugo: tutto mescolato, tutto indigesto.

E se per caso conquistano qualche seggio, il problema non è risolto: comincia la seconda portata. Pretese di spazi, incarichi, nomine, fino al punto di ricattare le maggioranze come il cucchiaio che affonda nel gelato sciolto e rimescola tutto. L’interesse generale evapora, restano solo i gusti particolari, spesso di dubbia compatibilità con la dieta democratica.

Persino il caso pugliese dei consiglieri regionali in surplus sembra uscito da una gelateria legislativa: da un lato si tagliano deputati e senatori come calorie, dall’altro si aumenta la porzione di consiglieri con un topping su misura. Coerenza zero, glicemia a mille.

Alla fine, il problema non è la panna montata delle liste civiche, ma il collasso dei partiti che le ha rese possibili. La dialettica negativa è tutta qui: dal partito organizzato della Prima Repubblica, che almeno educava il palato politico, siamo passati al paciugo dei notabili, dove l’elettore non sceglie più un’idea, ma il gusto del momento. Amarena oggi, pistacchio domani, sempre con retrogusto di acidità.

Se vogliamo salvare la democrazia dall’indigestione, serve un sistema che riduca la frammentazione, che impedisca i trucchi di laboratorio politico e che restituisca ai partiti lo smalto di una vera ricetta. Perché finché mangeremo paciughi civici, la politica italiana resterà un gelato sciolto sul tavolo: appiccicosa, disordinata e inevitabilmente nauseante.

Antonio Rossello       CENTRO XXV APRILE

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