Ogni pretesto e buono per fare la guerra
La rubrica firmata da Alberto Bonvicini, già comandante della Polizia Postale di Savona, ci accompagnerà con riflessioni dedicate all’impatto dei social network, di internet e delle nuove tecnologie sulla nostra società.
Con lo sguardo esperto di chi ha vissuto in prima linea l’evoluzione (e le derive) del mondo digitale, Bonvicini ci offrirà analisi lucide e senza filtri su temi che toccano da vicino il nostro quotidiano: dalle devianze giovanili alla cultura dell’emulazione, dal web come strumento educativo o distruttivo fino al lento smarrirsi del senso critico.
Uno spazio di pensiero libero, per leggere con occhi diversi quello che ci succede intorno
Ogni pretesto e buono per fare la guerra
Quando la scrittura fatica… e il mondo impazzisce

La piccola Chicca Loffredo
Ci sono giorni in cui scriveresti dalla mattina alla sera, senza sosta, ispirato da una rabbia lucida o da un bisogno urgente di dire. E altri giorni, invece, in cui anche buttare giù un appunto ti costa fatica. Per me, questi ultimi tredici giorni sono stati così. Distratto, frastornato, nauseato da notizie vere, presunte, false… come la tragedia annunciata di Villa Pamphili. Un giorno ne parleremo davvero, magari in parallelo con altri “angeli” dimenticati, bambini invisibili a cui non è stato concesso neanche l’onore del pianto pubblico.
Oggi, però, è la giornata del ricordo per la piccola Chicca Loffredo, e lì è giusto fermarsi.
Tornando a ciò che ci passa sopra la testa – letteralmente – i missili, i droni, le esplosioni: siamo sempre più insensibili, meno stupiti, come lobotomizzati cronici. Si racconta di stragi sventate, poi si leggono “8 morti” e ci si schiaffeggia da soli per capire se si è svegli o anestetizzati.
I giornalisti “programmati”, come ai tempi del green pass, ripetono lo spartito dell’invasione russa, della difesa dell’Europa, dei miliardi da spendere nel riarmo, mentre la sanità e gli stipendi languono. E guai a chi, come Cacciari, prova a dire qualcosa fuori dal coro: diventa subito un pazzo, un disadattato.

Zelensky, Putin
Oggi ci parlano di “difesa comune europea”, come se fosse tutto naturale. Peccato che chi ci guida spesso sembra uscito da un laboratorio di improvvisazione. Ricordate quella dichiarazione in mondovisione? “Russia e Ucraina combattono da così tanto che ormai non sappiamo nemmeno più che cazzo stanno facendo…” Parole di un presidente, non di un comico ubriaco.

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Nel frattempo, l’Afghanistan è stato mollato in piena notte. Da “non possiamo lasciarlo ai talebani” a “ce ne andiamo di corsa”, come il truffatore che abbandona l’hotel senza pagare il conto. La Russia giustificava l’invasione come un’operazione lampo per spaventare, l’Ucraina reagiva sostenuta dai carri armati e dai missili dell’Occidente. E il tempo passava. Mesi su mesi. Nessun dialogo. Solo Erdogan che si candidava come mediatore, lui, lo stesso che non è riuscito nemmeno a far luce sul caso Khashoggi, il giornalista saudita fatto letteralmente a pezzi dentro l’ambasciata a Istanbul. Tutti sapevano, nessuno ha fatto nulla.
E a proposito di Israele: nel 1996, durante uno dei corsi internazionali a cui ho partecipato, ho conosciuto un membro della scorta personale di Netanyahu. Era già allora un leader tosto, freddo, inflessibile. Primo ministro per la prima volta nel 1996, sull’onda lunga dell’assassinio di Rabin per mano dell’estrema destra israeliana. Un duro, espressione del Likud, il “partito di ferro”. L’America di Clinton tentava la pace, ma fu tutto inutile.
Quando sento Tajani dire che “faremo capire a Netanyahu cosa occorre fare”, mi viene da ridere. Bibi è l’esatto contrario del politico parolaio: lui fa, agisce, e spesso fa più di quanto dice. Tajani, al confronto, conta come il due di picche quando si gioca a fiori. Eppure si continua a credere che bastino le “telefonate diplomatiche”.
Nel frattempo, si parla di guerre come di malanni stagionali: “La guerra dei dodici giorni”, come fosse una bronchite. L’antibiotico, però, qui lo prescrivono i signori della guerra, e servono solo per guadagnare tempo e vendere nuove armi. Si bombardano ospedali, scuole, treni, e non fa più effetto. Ci vorrebbe un corso mensile di umanità obbligatorio per i potenti del mondo. Ma ormai anche questo sembrerebbe inutile.
La guerra infinita, quella vera, è quella tra Israele e la Palestina. Una storia che si ripete da decenni. Un popolo che ha saputo sopravvivere all’Olocausto con coraggio e organizzazione, ma che ora esercita il suo diritto alla sicurezza con un cinismo che lascia senza fiato. Dall’altra parte, bambini palestinesi privati dell’infanzia, ospedali pieni di feriti accolti “con grande spirito umanitario”, ma sempre dopo averli colpiti.

Putin, Zelensky, Putin, Trump e Netanyahu
Chi fermerà tutto questo? Nessuno. Perché i “giusti del mondo” non esistono più. Rimangono solo figurine che parlano in tv, nelle conferenze, mentre il rumore delle bombe copre tutto.
E se oggi ho sessant’anni, e ricordo quando la maestra, prima ancora del prete, ci diceva che bisognava parlare, accordarsi, pensare, usare la testa per evitare nuovi orrori… oggi posso solo constatare che non è servito a niente. Ottant’anni dopo la Seconda Guerra Mondiale abbiamo avuto tutte le guerre possibili. E i “pensatori”, quelli veri, sono scomparsi. Sostituiti da teste gonfie, ma vuote, fatte di altro materiale.