Note a margine degli Xenia: Xenia I, 1
Xenia I, 1
Caro piccolo insetto
che chiamavano Mosca non so perché,
stasera quasi al buio
mentre leggevo il Deuteroisaia
sei ricomparsa accanto a me,
ma non avevi occhiali,
non potevi vedermi
né potevo io senza quel luccichìo
riconoscere te nella foschia.
Lei è mancata ormai da più di due anni.
Il poeta inizia questo suo canzoniere-omaggio mostrando subito che sarà un canzoniere dai toni bassi, che andranno a pescare nella quotidianità. Nell’intima valenza che gli oggetti e i gesti più ordinari sanno far risuonare quando sono rivisitati dalla nuova prospettiva imposta dalla morte.
Ecco allora che Drusilla Tanzi, compagna di vita per lunghi anni, ma moglie per uno solo, l’ultimo, è pensata nella certezza di non sminuirla se ricordata con l’epiteto di “piccolo insetto”.
Non necessariamente una mosca, accostamento estrinseco, coniato da altri ( “/ che chiamavano Mosca non so perché / “).
Non da lui, dunque, ma da quelli che potevano indicarla caricando l’attenzione sugli occhiali spessi, contrassegno facile e immediato; non malevolo e tuttavia per forza di cose, superficiale.
Un piccolo insetto che non voleva apparire e non voleva invadere.
E se ora lo fa ormai senza saperlo, per una consuetudine acquisita che in automatico ne esprime il carattere lo fa sotto traccia, nella discrezione del quasi-buio, visitando il poeta mentre lui legge il Deuteroisaia in cerca di risposte, o consolazione, nelle parole del profeta che canta il ritorno dall’esilio del popolo da Babilonia alla propria terra.
Parole che non giungono: Drusilla non indossa più gli occhiali. Non sono consentiti nel regno dell’incorporeo. Non le serve più leggere delle cose del mondo.
E’ semplicemente un’immagine, diafana. Un dono che il poeta le dà in una dialettica vagheggiata affinché glielo ritorni, sia pure sapendo che una lastra di vetro si interpone tra loro: gli occhiali che le mancano sono il vetro che li separa. Lei sembra smarrita nella nebbia che cancella la profondità del paesaggio come la cancella l’oro per le icone delle Madonne bizantine, e che è anche la nebbia dei suoi occhi.
Ma può essere un dono solo sfiorarsi in un incontro evanescente? Faticare a riconoscersi?
Perché gli Xenia sono i doni per l’ospite. Ma “ospite”, fenomeno raro nella lingua italiana, ha di volta in volta significato opposto, per chi ospita e per chi è ospitato.
Un fenomeno che pare fatto apposta per questi Xenia. Perché in essi vi è uno scambio di doni, che l’asimmetria non degrada ad utilitaristico vantaggio per l’uno o per l’altro: da un capo si offre il ricordo che in quanto trascelto avvalora ed enfatizza i fatti rendendoli eventi, dall’altro si permette una gamma di piccole o menome cose da cui distillare il sentimento che da sempre ben occultato vi albergava.
“Consolate, consolate il mio popolo…” l’incipit del Deuteroisaia, ovvero “Il libro della consolazione”.
Il poeta ne legge le pagine.
Quasi al buio perché vi si è avventurato a cercare speranza e ancora vi brancola.
E lei, similmente, che da quelle pagine pare animarsi, è però priva di un oggetto, gli occhiali, che abitualmente la vestivano e le permettevano di piegarsi e di porgersi sulle piccole, disconosciute, essenziali cose del reale, ravvicinato e reso intimo e intenso dalla miopia, cifra, a questo punto, esistenziale.Ma a questo punto anche una potenziale contraddizione, che coinvolge tutti gli ultimi cinque versi: come coniugare “sei ricomparsa accanto a me,” che implica il riconoscimento, con “ma non avevi occhiali, / non potevi vedermi / né potevo io senza quel luccichìo / riconoscere te nella foschia”?
Non è che quella foschia è il modo di rappresentare come la moglie abbia in quell’occasione voluto idealmente cedere al poeta i suoi occhi offuscati, ed egli perciò nello stentare a distinguere la sua figura, accetti di identificarvisi, in una immedesimata reciprocità? : “né potevo io senza quel luccichìo / riconoscere te nella foschia”.
Il rammemorare in questo modo Mosca è dunque un dono che egli le fa e si fa. Desiderato sempre e sempre doloroso. Pegno e pena.