Non svolta, rigida continuità

Non svolta, rigida continuità

È singolare che, pur non essendoci più la sinistra da molti anni, si abbia una specie di timore bloccante nel cercare di capirne i perché, le ragioni e le responsabilità.

 

Non svolta, rigida continuità

È singolare che, pur non essendoci più la sinistra da molti anni, si abbia una specie di timore bloccante nel cercare di capirne i perché, le ragioni e le responsabilità.

 

Non vorremmo esagerare nel dire che l’incredibile remora a comprendere l’attuale crisi della sinistra significhi che si ha pure poca voglia di rimetterla in piedi facendosi scudo delle più varie scuse, compresa quella che, in fondo, una sinistra c’è, rappresentata dal Pd.

 


 

Questa è la più bugiarda poiché il Pd può essere interpretato in vari modi, ma non certo in quelli che denotano una forza di sinistra. Di essa manca la vocazione, l’intenzione, il motivo culturale, il senso della storia, la concezione della lotta; manca ogni motivo ideologico connotante. Il Pd può essere definito di sinistra solo in quanto non è di destra, ma se una vocazione ce l’ha – tramontata oramai la ridicolaggine della vocazione maggioritaria – è di essere centro democratico, espressione di ceti sociali medio alti, della borghesia delle professioni e dei saperi; niente di male, ma non è questo il lievito del blocco sociale della sinistra che è, e rimane, di classe. Da qui, poi, ci si deve allargare per fare massa critica riformatrice e non parolaio democraticismo invocante il riformismo. Al proposito: saremmo curiosi che qualcuno ci spiegasse che senso ha oggi la parola. A nostro avviso nessuno.

 

 

Come siano andate le cose in Italia è noto; sia per il PSI sia per il PCI di cui Achille Occhetto – lo ha fatto anche recentemente – continua a far risaltare la svolta. Quando il PCI ha svoltato il PSI era in stato preagonico, ma il PCI no. Tuttavia, se svolta significa cambiare direzione, il cambio sarebbe stato naturale che fosse, per la maggiore forza della sinistra, allora addirittura l’unica, indirizzarsi verso i lidi del socialismo europeo. La Bolognina, preparata in tre giorni di gran silenzio da Occhetto era necessitata da un quadro del comunismo internazionale che vedeva i comunisti italiani fermi a se stessi, oramai ultimi rimasti, dopoché anche i bulgari si erano mossi. E alla Bolognina Occhetto si mosse, ma chiamò svolta un gesto acrobatico per saltare l’ombra del comunismo italiano e andare a nuova vita, non verso il socialismo, ma verso l’essere democratici di sinistra.

 

 


 

Poi, tramite i Ds, verso il partito democratico il quale, non dimentichiamolo mai, Walter Veltroni giustificò con un articolo su “la Repubblica” dal titolo che era tutto un programma: Il socialismo è morto e la sinistra è finita. Si avverava il sogno di sempre: l’abbraccio coi i cattolici. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Ora, se fossero riusciti a fare un partito vero, qualche cosa di positivo poteva nascere, ma si trattava di due entità incapaci a costituirsi insieme: il modo con cui sono andati al governo – fatto pur  necessario – con i 5Stelle ne è la prova provata.

 

 

Dicevamo: saltare l’ombra. Scegliere il socialismo nemmeno a parlarne; ma il bello è che, finito il PCI, hanno continuato a comportarsi e a ragionare come comunisti. Talmente incistati nei loro modi di fare che dopo aver tentato di istituzionalizzare Di Pietro, e si è visto come è andata a finire, si sono poi ripromessi di farlo coi grillini a conferma di una ben viva diversità dalla forte incidenza pedagogica. Per ora sono stati grillinizzati; l’aver votato il taglio dei parlamentari con le motivazioni apportate e senza nessuna seria garanzia, ci dice quanto si sia andato perduto quello che era uno dei punti più alti dei comunisti italiani: il senso e la difesa delle istituzioni. Mai, crediamo, che il PCI avrebbe votato un qualcosa di simile motivato in spregio al Parlamento medesimo. Si tratta di una macchia indelebile, per lo più dopo tre votazioni contrarie.

 


 

Nonostante la fine del PSI e quella del PCI la sinistra aveva avuto una forte occasione per rifondarsi allargandosi nel solco di un’ampia cultura e tradizione riformatrice, resa ancora più consapevole del proprio ruolo a fronte della nuova destra rappresentata da Berlusconi. Fu nel 1994. Lo schieramento dei Progressisti perse, sì, le elezioni – e chi mai aveva detto che avrebbe dovuto risultare vincitore? – ma se dopo il voto si fosse lavorato a farne un partito vero e proprio sicuramente si sarebbe salvata la sinistra; la si sarebbe allargata e le cose, con quasi certezza, non sarebbero andate come poi sono andate. Il gioco era nelle mani degli ex-comunisti i quali, privi di ogni pensiero politico all’altezza degli eventi e abbacinati dalla sola idea di andare al governo a tutti i costi, sbaraccarono tutto e nemmeno timorosi della vecchia ombra tornarono alla sola linea strategica che avevano dal tempo di Palmiro Togliatti: l’intesa coi cattolici. Il resto è cronaca di oggi.

Ma quale svolta. Furono gli eventi epocali di allora a spingere Occhetto. Egli – e non solo lui – era incerto su tante cose, ma di una era più che sicuro: non bisognava svoltare verso il socialismo occidentale. Bisogna riconoscere a Occhetto e ai suoi compagni che sono stati coerenti.

 

Paolo Bagnoli   Da CRITICA LIBERALE “NONMOLLARE”

 

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