Non c’è limite al peggio nel circo mediatico del caso Poggi

In questo raccapricciante scenario mancava solo una storia Whatsapp, del tutto legittima di un avvocato fiero di una mossa giudicata vincente, ma comunicata in maniera disastrosa. Roba da far passare un avvocato serio, preparato e di successo per una sedicenne uscita vincente da una lotta per il bonazzo di classe. È vero, le stories di Whatsapp in un paese serio non fanno notizia. Ma qui? Qui, soprattutto in casi mediatici come questi, non si può pensare che non si analizzino pure le virgole. Non penso sia questione di etica della professione forense. Solo di conoscenza dei meccanismi della comunicazione. E pure di un minimo di furbizia.

“Guerra dura senza paura. CPP we love you” così l’avvocato (Avvocata è solo Maria, la Madre di Dio, e checché ne pensino le femministe resta un unicum nella storia dell’Umanità) Angela Taccia, legale di Andrea Sempio. Andrea Sempio è un ragazzo che 18 anni fa era amico del fratello di Chiara Poggi. Per la Procura c’è una sua impronta nel sangue della vittima sulle scale della villetta. Per i suoi avvocati, naturalmente, no. In ogni caso non voglio parlare di questo.

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Io vorrei parare dell’avvocato Taccia, della sua privacy e di come questo processo, già orrendo nella sue premesse (davvero abbiamo tenuto 18 anni un innocente in galera?), ancora non sia iniziato e sia già disgustoso. Prima di tutto, per l’indegna ridda di notizie irrilevanti, a partire dal profilo psicologico delle Gemelle K. Due signore ormai vicine alla mezza età, cugine della defunta Chiara Poggi, almeno una delle quali madre di famiglia, la cui unica colpa è quella di aver parlato troppo quando ne avevano meno di 20. Una roba che in un paese civile si sarebbe arrestata molto prima delle rotative. Purtroppo la cosa non finisce qua.

Abbiamo gli “amici”, i primi a vendersi le conversazioni di venti anni fa, abbiamo Fabrizio Corona, perché poteva forse non esserci? E abbiamo avuto anche, per poco per fortuna, i RIS di Parma con l’ex Colonnello Garofalo. Uscito rapidamente di scena, con grande sollievo di ciò che resta della credibilità del sistema giuridico. Non ho avuto il coraggio di guardare Porta a Porta, ma temo che non esista alternativa al plastico. Tornerà pure lui.

In questo raccapricciante scenario mancava solo una storia Whatsapp, del tutto legittima di un avvocato fiero di una mossa giudicata vincente, ma comunicata in maniera disastrosa. Roba da far passare un avvocato serio, preparato e di successo per una sedicenne uscita vincente da una lotta per il bonazzo di classe. È vero, le stories di Whatsapp in un paese serio non fanno notizia. Ma qui? Qui, soprattutto in casi mediatici come questi, non si può pensare che non si analizzino pure le virgole. Non penso sia questione di etica della professione forense. Solo di conoscenza dei meccanismi della comunicazione. E pure di un minimo di furbizia.

Qualche ora dopo l’uscita di quella story, infatti, dalla Procura è uscita la notizia dell’esistenza di quell’impronta nel sangue. Anche qui non mi interessa chi abbia detto cosa a chi. So solo che un innocente, almeno fino al terzo grado di giudizio (e questo caso rischia di minare persino quella certezza), oggi si ritrova il marchio dell’assassino senza aver potuto replicare. Era inevitabile? Forse. Di certo era evitabile quella storia. Speriamo che dopo questo assolo di trash ci sia una meritata coperta di silenzio su una vicenda che, comunque vada, non vedrà vincitori. Solo una infinita spianata di cadaveri. A partire da quello del nostro sistema giudiziario.

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