Netanyahu, l’incendia-mondo con la maschera del difensore d’Israele
Benjamin Netanyahu, l’uomo che ha fatto della guerra un piano pensionistico, è riuscito ancora una volta a non farsi cacciare: basta un attacco aereo ben assestato, un raid chirurgico, un paio di conferenze stampa in stile “difendiamo la democrazia dai barbari”, e il premier più longevo e più incriminato d’Israele guadagna un altro giro di giostra.
Con la scusa del 7 ottobre, Netanyahu ha scatenato non una guerra, ma una ristrutturazione geopolitica a colpi di missili. Gaza, Cisgiordania, Libano, Siria, Iran, Yemen, Iraq: in venti mesi ha aperto sette cantieri di distruzione, come se stesse giocando a Risiko su un tavolo che non è il suo. Eppure nessuno gli ha ancora chiesto: “Scusi, ma lei è a posto?”

PUBBLICITA’
Il capolavoro è riuscire a farsi passare per vittima anche quando si radono al suolo interi quartieri, si colpiscono convogli umanitari, si azzerano centrali nucleari. In altri casi avrebbero già piovuto sanzioni, boicottaggi, tribunali internazionali. Ma Israele no: Israele può. Perché è nostro alleato. E gli alleati, si sa, vanno coperti. Anche quando trasformano il Vicino Oriente in un videogioco apocalittico con armi vere e morti veri.
Netanyahu lo sa. Sa che finché agita lo spettro dell’Iran atomico, può bombardare il mondo e restare impunito. Sa che in Europa basta un paio di discorsi sulla “minaccia islamica” per tornare nei salotti buoni. Sa che se gli americani si innervosiscono, prima o poi arriva comunque un nuovo presidente disposto a farsi trascinare per il ciuffo nella prossima guerra. Trump ci ha provato a starne fuori, ma Bibi, puntuale, ha bombardato pure il tavolo dei negoziati. Letteralmente.
E noi? Noi, europei con la schiena flessibile, oscilliamo tra indignazione postuma e appoggio servile. Dopo due pigolii su Gaza, l’Italia è tornata all’ovile: nessuna sanzione, nessuna condanna. I “sovranisti della domenica”, che si riempiono la bocca di patriottismo, si sono dimenticati che appoggiare un piromane in Medio Oriente significa disegnare un bersaglio sulla schiena dei propri cittadini. Il ponte tra Europa e mondo arabo è stato smontato pezzo per pezzo, e oggi siamo tutti potenziali bersagli – senza nemmeno il beneficio del dubbio.
La verità? Netanyahu non sta vincendo nessuna guerra. Sta solo prolungando la propria sopravvivenza politica, trasformando Israele da Stato “assediato” a Stato “assediatore seriale”. Con un nemico che non ha bisogno di vincere, ma solo di esistere: più Gaza resiste, più lui può bombardare; più l’Iran risponde, più può gridare all’apocalisse.
E mentre Bibi gioca al martire armato fino ai denti, Israele si isola, la società si lacera, la diaspora trema. L’alleato fedele sta diventando un alleato tossico. Ma finché regge la retorica del “noi contro il Male assoluto”, il mondo continua a tacere. E Netanyahu continua a comandare.
Fino a quando? Finché non si spegnerà l’ultima telecamera. O finché il terzo conflitto mondiale non bussa sul serio alla porta.
T.S.