Nave senza nocchiero o relitti in balia delle onde

Nave senza nocchiero o relitti in balia delle onde
Il vuoto politico dell’Italia repubblicana finita nelle mani dei peggiori

Che destra e sinistra siano pseudoconcetti con una forte connotazione ma totale assenza di denotazione non è cosa di ora ma risale al momento in cui sono entrati in circolo. I due termini hanno assunto un significato politico a partire  dalla disposizione nei banchi nell’Assemblea nazionale costituente francese del 1789 da parte dei suoi membri, divisi fra favorevoli e contrari a un cambiamento radicale e immediato dell’assetto istituzionale ma all’interno di una aristocrazia accomunata  dalla volontà di riprendersi i privilegi perduti.  Codino, bigotto, moralista, reazionario, conservatore pur con qualche ambiguità e tenuto conto dell’arbitrarietà e della discrezionalità di chi le usa come strumento di polemica politica e personale sono espressioni che godono comunque di una consistenza semantica e tornano utili per qualificare atteggiamenti, comportamenti e personalità. Lo stesso si può dire di miscredente, libertino, libero pensatore, progressista, anarchico e così via. Ma tutte queste caratteristiche sono allo stesso modo contenibili nei contenitori vuoti di destra e sinistra. Ora come allora destra e sinistra non sono altro che etichette: il monarca assoluto era più vicino ai bisogni del popolo minuto e più incline all’innovazione di una nobiltà illuminata quanto si vuole ma socialmente ultraconservatrice.

I nemici della robotizzazione o della digitalizzazione sono sicuramente reazionari, ostili alle innovazioni e ai cambiamenti eppure convenzionalmente si collocano a sinistra, come il luddisti che distruggevano le macchine per paura di perdere il lavoro; ma i nemici della scolarizzazione di massa, ostili all’ingresso dei ceti popolari negli ambienti esclusivi, restii a rinunciare a pregiudizi e privilegi consolidati sono anch’essi reazionari, ostili alle innovazioni e al cambiamento e sono indubbiamente considerati di destra.

Lo stesso si può dire della trasgressione, parimenti attribuita a sinistra o a destra nonché di illustri personaggi del passato: Leopardi era un reazionario come il padre, guardava con sufficienza alle lunghe barbe protorisorgimentali ma oltre a sognare un’Italia  degna dell’antica Roma auspicava l’avvento di un mondo libero e pacificato, tanto da essere qualificato progressista dal comunista Cesare Luporini; di Mussolini si può sostenere tranquillamente e senza tema di smentite che fosse di sinistra e di destra così come è incontrovertibile che D’Annunzio scavalcava a destra la cosiddetta destra e a sinistra la cosiddetta sinistra. Ma di esempi se ne possono fare quanti se ne vuole, spaziando da Carducci a Pascoli a Pasolini.

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Perché a ben vedere ognuno di noi trova in se stesso le connotazioni attribuibili alla sinistra o alla destra o, per dirla in termini più concreti, si riconosce come mite e come aggressivo, timido e sfrontato, casto e impuro, anarchico e conformista e più ci si libera dalle catene del pregiudizio più si riconosce che homo sum nihil humani a me alienum est (ho sostituito est al puto di Terenzio). E si può concludere che le uniche serie caratterizzazioni sono quelle oggettive: grasso- magro, alto – basso, maschio – femmina e, vivaddio, intelligente – stupido. E di stupidi, vale a dire dotati di scarsa capacità di intendere e giudicare, è purtroppo pieno il mondo, con l’aggravante che la stupidità è spesso un facilitatore sociale.

Non voglio fare della stucchevole demagogia affermando che i subordinati sono più intelligenti dei dirigenti a, per quel che riguarda la mia personale esperienza, di fronte a un insegnante mi aspetto di trovare una persona intelligente e qualche volta rimango deluso ma se mi trovo davanti un preside intelligente rimango sbalordito.

Ora sta il fatto che la prosperità di un Paese, non dico il progresso, termine che andrebbe cancellato dal vocabolario, è funzione diretta del buongoverno, degli equilibri sociali e soprattutto della applicazione dell’aurea massima: le persone giuste al posto giusto. Il buongoverno dipende dalla qualità della politica, dagli equilibri sociali dei quali è direttamente responsabile lo Stato, che ha in mano la leva fiscale ed esercita una funzione perequativa nel settore privato e  da cui dipendono i livelli  retributivi di quanti operano all’interno delle sue articolazioni, la sanità, l’istruzione e la formazione, le forze armate, la magistratura, l’apparato amministrativo. È uno sconcio che, per effetto del clientelismo politico e del corporativismo sindacale gli stipendi pubblici si stendano da poco più di ventimila euro l’anno fino a venti volte di più, senza mettere in conto i vertici delle aziende partecipate dallo Stato. Ringraziamo per questo il partito comunista più forte e il sindacato più potente dell’Occidente e tutti i governi che si sono succeduti dopo il crollo della Democrazia cristiana. Intendiamoci: deve essere chiara la distinzione fra pubblico, espressione diretta della politica, e privato, sul quale la politica può solo esercitare una funzione di controllo entro i limiti segnati dal diritto naturale alla proprietà e dalla libertà d’impresa: un giocatore di calcio può guadagnare qualunque cifra purché non sia il contribuente a pagare il conto, così come non possono e non ci debbono essere tetti per i guadagni di un imprenditore, di un cantante o di un saltimbanco. A sinistra si è fatta una gran confusione su questo punto per coprire con parole d’ordine veteromarxiste l’accaparramento di privilegi e la trasformazione della politica in un mestiere tanto redditizio quanto parassitario.

Giovanni Gentile

Quanto alle persone giuste al posto giusto si devono fare i conti con le disfunzioni del sistema formativo, col potere delle camarille partitiche e sindacali, con la corruzione endemica, coi concorsi truccati che si aggiungono ai mali antichi mai sradicati, come le bustarelle, le tangenti, il familismo, le raccomandazioni. La scolarizzazione di massa è una cosa buona e giusta purché non comprometta la selezione,  il merito, la valorizzazioni delle attitudini e le esigenze della società. Per questo aspetto l’avvento della repubblica è stato uno spartiacque che ha segnato la fine di un  sistema che, con tutte le sue pecche, garantiva bravi artigiani, ottimi insegnanti, professionisti  competenti, ricercatori all’avanguardia. E quella riforma che porta il nome di Giovanni Gentile, così ferocemente contestata nei primi decenni del dopoguerra e tacciata di classismo era in realtà un ascensore sociale di cui si è perso traccia. Le scuole di arti e mestieri, comunque vengano chiamate, sono la base della formazione e la condizione per il riscatto sociale: la padronanza del saper fare non è solo un bene prezioso per l’economia del Paese ma è anche un’arma formidabile per i lavoratori. Negli anni Cinquanta le menti più lucide all’interno del Pci ne erano consapevoli poi ha prevalso una falsa idea di cultura come merce octroyée e non come conquista personale e l’idea che l’avviamento al lavoro manuale fosse discriminante. Ha prevalso la chiacchiera in tutti gli ordini di scuola, dai licei agli istituti professionali.  Poi la battaglia condotta da don Milani contro il latino, considerato come un filtro di classe quando era esattamente il contrario: uno spauracchio per i figli della borghesia messi in pericolo da quelli dell’operaio; quella borghesia che è stata ispiratrice e protagonista del Sessantotto nella sua versione italica, teso a trasformare l’università in un diplomificio.  Quello che era chiaro al filosofo di Castelvetrano è sfuggito del tutto ai politici e ai pedagogisti: studi classici, formazione tecnica e scientifica,  avviamento ai mestieri – che non sono mai umili -,  se perseguiti correttamente hanno in comune l’impegno, il rigore, il sacrificio; e quale che sia il percorso e la finalità formativa scuola e università dovrebbero assicurare che alla fin fine chi tiene il bisturi in mano come chi usa la livella o sta dietro la cattedra occupano il posto giusto per loro e lo fanno  con la stessa intelligenza e competenza.

Ma è un cane che si morde la coda: è inutile che  dal sistema formativo escano persone preparate se la società civile e  il sistema istituzionale sono indifferenti rispetto al merito e alle competenze. A un circolo virtuoso, con la società civile che ha bisogno di competenze e obbliga il sistema formativo a fornirgliene, si è sostituito un circolo vizioso: la struttura della società civile si affloscia e il sistema formativo contribuisce ad aggravarne il disfacimento.

Il sistema sociale è come ogni sistema dotato di meccanismi di controllo che ne garantiscono l’equilibrio, in questo caso la magistratura.  Ma se la stessa magistratura gode di privilegi rispetto agli altri corpi dello Stato senza che le modalità di accesso garantiscano piena trasparenza e selezione dei migliori, è quantomeno illusorio aspettarci un correttivo interno al sistema che ne impedisca il collasso, che infatti si è puntualmente verificato. Un interessato qualunquismo tende ad attribuire al carattere nazionale le disfunzioni del sistema rovesciando le responsabilità. I cittadini sono vittime di quelle disfunzioni e cercano di sopravvivere con l’arte di arrangiarsi; non è l’arte di arrangiarsi che le crea.

Tutto origina dal si salvi chi può seguito alla disfatta e al crollo del regime e alla corsa a rifarsi una verginità di quanti col regime si erano arricchiti. L’Italia repubblicana si fonda sull’amnesia e la rimozione, sul compromesso fra revanscismo clericale e amor di patria, non la propria ma quella socialista (sovietica), sulla rinuncia a una piena sovranità, che una lenta deriva ha portato ora  a perderla del tutto.  Ne è nata una grottesca caricatura di democrazia, causa ed effetto di un clima tossico, di un’aria irrespirabile per le persone probe, intelligenti, consapevoli del dovere di custodire un lascito ineguagliabile di cultura e di civiltà. In questa caricatura di democrazia, in questo clima tossico e putrescente si sono affermati i peggiori, i furbi e gli stupidi che hanno costruito la loro identità sulle categorie vuote di destra e sinistra per evitare la vera alternativa capaci-incapaci. La terribile attualità dell’invettiva di Dante* suggerisce due ipotesi: quella nave era ormai naufragata e ne restano solo pochi relitti oppure, come testimoniano il Rinascimento e la temperie risorgimentale, aveva superato la tempesta allora e può superarla ora. A patto però che una ventata di aria pura rianimi e dia forza alla probità, all’intelligenza, alla coscienza nazionale.

* Ahi serva Italia, di dolore ostello, Nave senza nocchiero in gran tempesta,  Non donna di province ma bordello. (Purgatorio, VI, vv. 76-78).

Pierfranco Lisorini

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