Mussolini mon amour

MUSSOLINI MON AMOUR

MUSSOLINI MON AMOUR

 Il docente labronico di Filosofia in pensione Pier Franco Lisorini non finirà mai di stupirmi. Da quando ha scoperto, da almeno sei o sette anni (mi corregga professore se sbaglio), l’esistenza della presente e ospitale rivista online savonese,  che non pone veti per motivi ideologici  a chicchessia, ha continuato a inviare ogni domenica – salvo la pausa agostana – con la puntualità di un orologio svizzero, i suoi corposi articoli e ponderosi commenti politici ed etico-storici contro il cosiddetto regime o “sistema” a suo dire pseudodemocratico da cui attualmente siamo governati (o sgovernati secondo un altro punto di vista ) e contro la vulgata di un fascismo violento, criminale e guerrafondaio di contro a un antifascismo e a una  Resistenza di santi, di martiri e di eroi, alla redazione di “Trucioli savonesi”. Mi sono chiesto più di una volta che cosa spinga questo docente di una disciplina formativa per eccellenza come la Filosofia a perseverare con tanto zelo nell’opera demolitoria del mito fondativo della nostra Repubblica, cioè la Resistenza contro il nazifascismo da cui è nata la Costituzione della nuova Italia repubblicana e democratica, che, malgrado le torsioni in senso populista e sovranista che ha subito negli ultimi tempi, è pur sempre in vigore e sulla quale, immagino, anche il professor Lisorini avrà a suo tempo giurato fedeltà in quanto appartenente al corpo dei docenti statali di questo Paese.


Eppure, da quando collabora a questa rivista (che lui, per inciso, chiama soltanto “Trucioli” omettendo l’aggettivo “savonesi”, forse perché preferirebbe rivolgersi ai suoi conterranei anziché agli abitanti della città della Torretta; o se non è così sarebbe un evento da  suonare la Campanassa se chiarisse una volta per tutte i motivi di questa sua strana omissione e al tempo stesso partecipazione attiva  ad alta fedeltà a una rivista che si rivolge in primo luogo a lettori di Savona e dintorni)non ha mai perso occasione per denunciare le miserie dell’attuale  regime in cui dominano, secondo lui, i vecchi e i nuovi “compagni” confrontate con i fasti e le grandi opere del Regime littorio. Il bello (si fa per dire) è che, se, a fronte della sua ricorrente proposta di abolire festività “divisive” come il Venticinque aprile o il Giorno della Memoria e magari anche il Primo Maggio, o della sua provocatoriamente ostentata e viscerale allergia alla canzone Bella ciao e della sua dichiarata simpatia per i “ragazzi di CasaPound”a qualcuno viene in mente di definirlo un estremista di destra o, alle corte, un neofascista, si risente e reagisce rispedendo al mittente, bollato come isterico,  quelle definizioni prive di senso, dal momento che il Nostro giudica insensate e antistoriche, oggi, le categorie destra-sinistra e fascismo—antifascismo.

Sennonché, nel suo articolo “Mussolini ha fatto anche cose buone O Mussolini ha fatto un unico sbaglio” uscito domenica, che riprende in parte il titolo del libro dello storico Francesco Filippi Mussolini ha fatto anche cose buone. Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo , Bollati Boringhieri, 2019, il professor Lisorini si è autonominato difensore d’ufficio del Duce accusato dal Filippi di essersi appropriato indebitamente di meriti altrui con abili manovre propagandistiche che hanno continuato a funzionare anche dopo la caduta del fascismo, se è vero che ancora oggi si sente ripetere nei discorsi dell’italiano medio e, fatto più grave, in certe dichiarazioni di esponenti e leader politici di destra la filastrocca di Mussolini che “fece tante cose buone in vent’anni prima delle leggi razziali e dell’alleanza con Hitler. Fu Mussolini a introdurre la pensione di reversibilità per garantire la natalità nel caso morisse lui o lei. La previdenza sociale l’ha portata Mussolini, non l’hanno portata i marziani. In vent’anni , prima della folle alleanza con Hitler e delle leggi razziali, delle cose giuste le fece sicuramente: stiamo parlando di pensioni, poi le bonifiche. C’erano intere città, come Latina, che erano paludi” (Matteo Salvini, 2016). E anche: “Io non sono fascista, non sono mai stato fascista e non condivido il suo pensiero politico però, se bisogna essere onesti, ha fatto strade, ponti, edifici, impianti sportivi, ha bonificato tante parti della nostra Italia, ha creato l’ IRI (Istituto di ricostruzione industriale) e l’IMI (Istituto mobiliare italiano) ecc.” (Antonio Tajani, 2019). Bene, il libro, o, se si preferisce, il libello di Francesco Filippi intende fornire una specie di controcanto alla narrazione propagandistica del regime fascista,  un manuale di autodifesa di fronte al risorgente fascismo eterno di cui parla Umberto Eco: “Non resta che rispondere punto su punto, per mostrare la realtà storica che si cela dietro le ‘sparate’ della Rete.” 


 Dal controcanto di Francesco Filippi le “cose buone” fatte da Mussolini escono drasticamente ridimensionate quando non ridotte a mere fake news. Inutile dire che questo manuale o prontuario di autodifesa antifascista non è piaciuto per niente al professor Lisorini, al quale è bastato sfogliarlo mentre si trovava in un centro commerciale in attesa che sua moglie completasse i suoi acquisti, racconta egli stesso,  per decidere che meritava una stroncatura memorabile sotto tutti i punti di vista. Ma non tutto il male vien per nuocere. Per il professor Lisorini quale miglior occasione di un pamphlet antimussoliniano per replicare con una esplicita apologia del Duce alla faccia della nostra Costituzione? Altro che “uno spietato dittatore”, per il docente di filosofia livornese “Mussolini è un personaggio complesso, era un uomo dalla personalità incredibilmente forte, dotato di un carisma straordinario, capace di sedurre protagonisti del ventesimo secolo lontani tra loro per formazione, vocazione, cultura come Gabriele D’Annunzio, il mahatma Gandhi, Pio XI, Winston Churchill e Adolf Hitler (che non era il diavolo, detto per inciso). E, come accade per tutte la grandi personalità del passato, nessuna esclusa, solo da morto e in abstracto il Duce viene definito, fissato, irrigidito come una statua o una maschera mortuaria. La vita è un’altra cosa, è cangiante, mutevole, sfaccettata e il giudizio che si può dare dell’uomo in un momento determinato non regge allo scorrere del tempo e degli eventi”.


Tra gli argomenti addotti dal professor Lisorini  in difesa di Benito Mussolini, questo della ingiudicabilità di un dittatore defunto in quanto non più in vita e quindi non più in grado di cambiare atteggiamento o di rivendicare le proprie scelte politiche e strategiche o di riscattarsi o di pentirsi o di scontare la giusta pena o di ricevere, se del caso, l’assoluzione in un eventuale processo di appello è il più curioso. In sostanza il professor Lisorini ci sta dicendo che se Mussolini fosse morto prima del fatale “Patto d’acciaio” con il Fuhrer il nostro giudizio su di lui e quello degli storici sarebbe completamente diverso. Già, peccato che il Duce sia morto non solo dopo quel Patto scellerato, ma dopo una guerra parallela disastrosa e dopo una sanguinosa e lunga  guerra civile le cui conseguenze durano ancora e che avrebbe potuto evitare se, invece che in mano ai tedeschi, si fosse consegnato prigioniero in mano agli Americani. O pensava di poter ancora vincere la guerra insieme ai tedeschi in ritirata da tutti i fronti? Ma quest’ultimo – in ordine di tempo – apologeta del Duce, invece di prendersela con il suo idolo dai piedi di argilla se la prende con chi ne ha messo a nudo il vero volto dietro la maschera di una propaganda dura a morire (cfr. sempre di Francesco Filippi, Ma perché siamo ancora fascisti? Bollati Boringhieri, 2020): “Non bastava la damnatio memoriae  a cui l’hanno condannato i Custodi della Resistenza, ci voleva qualcuno che rendesse più nitido, preciso e reciso il giudizio sull’uomo e sul politico, riducendolo a un tiranno sanguinario,un’accusa tanto scomposta, infondata e ridicola che per rimbalzo trasforma il Duce nella reincarnazione dell’ amor et deliciae humani generis. Del resto c’era già stato uno storico per il quale Mussolini aveva mandato al macello i combattenti di El Alamein. Peccato che i reduci, e lo posso testimoniare, la pensassero in modo diverso: ‘Mancò la fortuna, non il valore’ (e se proprio si vuole un esempio di capi che hanno mandato al macello i loro soldati si studi la storia e si guardi alle battaglie sul fronte dell’Isonzo)”.


Ma questo è un altro argomento fallace (come avvocato, sia pure d’ufficio, il professor Lisorini non è proprio il massimo reperibile nei dintorni): Mussolini, come stratega, non si è dimostrato migliore di Luigi Cadorna, ed è sufficiente leggere il documentato studio dello storico Alfio Caruso (che evidentemente il difensore del Duce non ha letto) L’onore d’Italia. El Alamein: così Mussolini mandò al macello la meglio gioventù, Longanesi, 2011. Lo storico e scrittore siciliano spiega come tanti giovani e valorosi soldati italiani furono mandati al massacro dalla follia sanguinaria del duce e dal tradimento degli ammiragli: “ Mussolini nel ’41 e nel ’42 preferì inviare undici divisioni e il meglio dell’artiglieria  nel mattatoio sovietico anziché in Africa dove avrebbero potuto cambiare il corso della guerra, inoltre i capi della Marina rivelarono agli inglesi le rotte dei trasporti verso Tripoli e Bengasi privando in tal modo l’armata italo-tedesca dei rifornimenti indispensabili per raggiungere il canale di Suez. Pur ignorati dalle ricostruzioni ufficiali, bersaglieri, parà, fantaccini, genieri, aviatori scrissero pagine di memorabile abnegazione persino a dispetto del regime che li aveva abbandonati nel deserto. Ma gli italiani non scapparono, non alzarono le mani, spesso morirono in silenzio nella loro buca. Gli stessi successi di Rommel furono frutto, finché il nemico non se ne accorse, di una straordinaria operazione di spionaggio condotta dal maggiore dei carabinieri Manfredi Talamo, in seguito fucilato alle Fosse Ardeatine. A El Alamein cominciò la presa di coscienza dei ragazzi della generazione sfortunata, che avrebbe indotto i sopravvissuti della Folgore ad arruolarsi con gli americani”. Come si vede, neanche da queste pagine Mussolini esce molto bene.

Ma l’avvocato d’ufficio del Duce non si arrende: “Cerco di essere più esplicito: nonostante il lavoro immane compiuto da De Felice e le centinaia di saggi che lo precedono e lo seguono c’è ancora molto da scoprire su Mussolini e il fascismo e sono tuttora aperte questioni molto più serie delle presunte bufale smascherate dal Filippi. Chi o che cosa ha spinto il Duce dopo un anno di saggia neutralità a entrare in guerra? Si dice perché la Germania aveva vinto e ci si poteva sedere al tavolo dei vincitori senza aver sparato un colpo; a me è sempre sembrata una sciocchezza. Più plausibile la paura di perdere il consenso plebiscitario di cui Mussolini godeva…”. Più plausibile? Ma in tal caso la famosa volontà granitica del Duce si sarebbe sottomessa alla volontà volubile e cangiante di una massa cieca e violenta che da tempo anelava alla guerra? L’apprendista stregone non era più in grado di rompere l’incantesimo da lui stesso creato? Ma allora non sarebbe stato meglio  che il Grande Seduttore si fosse dedicato a opere di pace e all’educazione di un popolo per tanti versi ancora primitivo? Dopo tutto quello che è successo rimane da capire perché siamo ancora fascisti anche se, dicono, il fascismo è morto e sepolto. 


FULVIO SGUERSO 

 

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