MPL E NON SOLO

MPL (Movimento Politico dei Lavoratori)
E NON SOLO

MPL (Movimento Politico dei Lavoratori)
E NON SOLO

Il 1970 fu per me un anno molto importante. Lo studio per l’Università cominciava a darmi notevoli soddisfazioni, soprattutto perchè mi costringeva a fare i conti con scuole di pensiero, penso ai francofortesi e alla psicoanalisi, che Savona, in buona sostanza, ignorava.

Fu in quell’anno che assistetti ad una bellissima conferenza dello scolopio Padre Ernesto Balducci, organizzata dalle ACLI al teatro del Pozzetto. Al termine della relazione e dello stimolante dibattito, ebbi modo di intrattenermi, per la prima volta a lungo, col dirigente delle ACLI Paolo Destefanis, che era impiegato presso l’Ente Autonomo del Porto. Trovammo, nella nostra discussione, più elementi di accordo e di nutriente confronto, che ragioni di divisione. Un’amicizia, pressoché occasionale, si rafforzò e ci lasciammo col proposito di parlare dell’ACPOL, associazione politico culturale in formazione che vedeva tra i suoi promotori, oltre che Livio Labor, presidente delle ACLI, anche Riccardo Lombardi socialista,che seguivo con grande attenzione. Lombardi non avrebbe seguito Labor nella breve e sfortunata avventura del Movimento Politico dei Lavoratori (MPL) e siamo a fine 1971 inizio 1972. Viceversa il movimento di Labor ebbe un riscontro, per numero di candidature e per capacità di mobilitazione piuttosto notevole. Ricordo in proposito Giorgio Bruzzone, Franco Caviglia, Agostino Macciò, Franco Berretta, Costantino Puddu, Giorgio Deandrea. Renato Lugaro, quest’ultimo ne fu il primo coordinatore, a cui sarebbe succeduto Luigi Sotgiu. Le ACLI savonesi, pur gelose della propria autonomia, si prodigarono alacremente nella persona dell’ottimo presidente Mimmo Filippi e dell’infaticabile segretario Tito Jacovacci. Paolo Destefanis fu il capolista in Liguria di una lista che comprendeva, tra gli altri l’economista Lorenzo Caselli e il professor Peppino Orlando. Paolo si era dimesso da Presidente regionale delle ACLI.

Livio Labor
L’esperienza della campagna elettorale, conclusasi con un insuccesso, (le elezioni politiche di quell’anno,1972, furono elezioni anticipate e, tanto il PCI quanto la DC temettero un’affermazione dell’MPL, e una trasmigrazione verso di esso dei loro elettori), fu però molto festosa.

Facemmo comizi ovunque e quando battevamo la provincia per affiggere manifesti, degustammo in allegria ogni tipologia di prodotto enologico locale dal raffinato pigato al più devastante” cancarun”. Segnavamo il territorio con inesorabili adesivi color arancio e la scritta MPL. In paesi e quartieri sopravvissero per molti anni dopo la campagna elettorale.

 
Scherzi a parte, la nostra opzione per l’alternativa di sinistra, per la necessaria rottura dell’interclassismo democristiano, per un controllo politico dello sviluppo, in particolare nel mezzogiorno, si sarebbe rivelata sempre più urgente col passare del tempo. Allora fu il PCI che prima ci fece fiducia, pronto ad aiutarci anche elettoralmente, poi non ci credette più, timoroso che nella prospettiva del compromesso storico una forza di provenienza cattolica, ma troppo risolutamente antidemocristiana avrebbe rotto le uova nel paniere

Quando, terminate le elezioni, il movimento si sciolse, alcuni di noi più legati all’esperienza decisero di proseguirla nelle fila del PDUP, con la sinistra del PSIUP non  entrata nel PCI e nel PSI. Confluivamo in una piccola, ma prestigiosa forza politica, incarnata dalla sinistra sindacale di Giovannini, Lettieri, Sclavi, Ferraris, Avonto, Andrea Ranieri e rappresentata dall’indimenticabile figura, dolcemente carismatica di Vittorio Foa.  Anche nella rottura le amicizie restarono tali.

Credo che per capire la dinamica di quella realtà siano importanti le parole che Gian Giacomo Migone, allora leader della sinistra MPL, ha usato nella sua introduzione al volume autobiografico di Alberto Tridente, a suo tempo segretario FIM CISL e poi deputato europeo di Democrazia Proletaria. Scrive Migone: “C’era, insomma, un’orizzonte ideale tracciato da protagonisti ed eredi della sinistra azionista e socialista, che si incontravano con cattolici socialmente impegnati e disposti a muovere battaglie per diritti squisitamente laici, anche contrari alle loro convinzioni private. Contribuiva a fissarne il perimetro Michele Pellegrino, arcivescovo di Torino degli anni più caldi, un tempo cappellano di una brigata di Giustizia e Libertà, un ruolo che costituiva un’ ossimoro, una contraddizione in termini. Qui la dico grossa. Penso Alberto [Tridente] la condivida, ma non si esprimerebbe mai in questi termini: Siamo quelli che hanno sempre avuto storicamente ragione, prima che altri se ne accorgessero. Comunisti mai, democratici sempre, tuttavia disposti ad ogni unità, sindacale e politica che corrispondesse al riscatto, agli interessi e ai valori di donne e uomini tradizionalmente esclusi dal governo del paese, impegnati nella conquista di diritti ancora negati”.

Queste parole di presentazione al libro di un grande sindacalista, che purtroppo non c’è più, mi pare rappresentino bene un percorso dall’utopia di Marcuse, di Bloch, di Adorno alla concretezza della quotidianità di un percorso culturale politico e soprattutto umano che son contento mi abbia visto coinvolto in prima persona.

UGO TOMBESI SAVONA     5.11.2012

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.