moderati unitevi
IL PERICOLO ROSSO |
IL PERICOLO ROSSO |
E’ stato sufficiente l’esito (positivo, dal nostro punto di vista) della manifestazione indetta dalla Fiom, sabato scorso, 16 ottobre 2010, per ricompattare di colpo tutti gli estremisti “di centro” presenti nel sistema politico italiano, al grido di “moderati unitevi”. E’ accaduto tante altre volte nella storia d’Italia: dalle cannonate di Bava Beccaris, al 1922, dal 1948 al 1960, al 1968 al 1976, fino alla “discesa in campo” del 1994 ( è proprio vero che quando la storia si ripete lo fa in farsa): l’allarme è sempre quello, quello appunto del “pericolo rosso”. Tutti si impegnano allora in analisi accurate e la più raffinata recita, dopo aver parlato di “segretario della CGIL prigioniero della piazza”, di FIOM che si fa partito: ohibò! |
Nel centro – sinistra italiano emergono, invece, divisioni incongrue e entusiasmi facili (anche troppo facili) e risalta, mal comune, una scarsità di riflessione accurata. Proviamo, allora, a fornire un contributo: sicuramente del tutto al di sotto delle esigenze che ci sarebbero di capacità di ragionamento e di proposta. Purtuttavia proviamo: il dato che risalta evidente è quello del riaffermarsi dell’antica frattura capitale/lavoro, quale contraddizione sociale di fondo; una contraddizione così nettamente avvertita che, per la prima volta da molto tempo, il segretario della FIOM ha incontrato, nei giorni successivi, gli studenti della Sapienza di Roma per avviare un percorso di confronto sulla realtà dei diversi movimenti che percorrono la nostra vita sociale ( dalle tematiche dell’università e della ricerca a quella dei beni comuni). Soprattutto la contraddizione “capitale/lavoro” , che potremmo ancora definire dello “sfruttamento” di “classe”, non rimasta appannaggio dei soli dirigenti FIAT appare indispensabile da valutare appieno e da considerare come elemento pienamente “politico” proprio sul terreno dell’aggregazione da realizzare per contrastare lo strapotere degli interessi dominanti e la capacità di chi li detiene di dividere il nostro fronte. La contraddizione “capitale/lavoro” è da assumere, ancora e sempre, nella sua interezza sul piano politico: ed è, in questo senso, che si rivolge questo nostro breve intervento. Non esistono margini di supplenza: autonomia della politica ed autonomia del sindacato debbono agire nella più perfetta reciprocità (anche dal punto di vista dei contenuti programmatici: deve essere la politica ad avere la prevalenza nell’indicare il “che cosa produrre” e “per chi produrre” prospettando una alternativa di società ed un processo complessivo di trasformazione sociale). Dal versante dell’autonomia della politica, quello di cui intendiamo occuparci in questa occasione, è necessario intendere come sia indispensabile una piena capacità di rappresentanza sociale e una presenza di soggettività che a tutt’oggi latita: una soggettività adeguatamente provvista di meccanismi di partecipazione e di protagonismo collettivo che si connetta con l’autonomia sindacale intesa quale organizzazione degli interessi della rappresentanza sociale, ponendo il tema del ruolo dello Stato al riguardo degli interessi, generali e specifici. Si tratta di un tema che viene da lontano e che, nello specifico, fa risaltare l’insufficienza, prima di tutto di analisi della realtà e di progetto di tutti i soggetti ancora esistenti nella sinistra italiana, costretti sulla piazza a fare passerella ( o a raccontare di “nuove narrazioni”) senza riuscire, però, ad esercitare un minimo di concreta capacità di interlocuzione con il movimento, al di là delle opportunità contingenti ( in una fase molto complessa, laddove la deriva del “sindacato di servizio”, ben al di là delle divisioni tra CGIL, CISL, UIL esercita tutta la sua forza e la FIOM appare invece in positiva controtendenza)e di prospettare una ricerca di nuova egemonia, culturale, sociale, politica (certo viviamo in una società sfrangiata, divisa, separata, dove il tema dello sfruttamento si incrocia con quello di vaste aree di precariato: ma non possiamo fermarci a considerare queste divisioni come insuperabili, aderendo ai meccanismi di super-sfruttamento che il padronato cerca di imporre e che buona parte del sistema politico accetta). Egemonia, si scriveva e si tratta (come si diceva una volta) di una “parola grossa”, ma è indispensabile come definizione di una prospettiva di trasformazione sociale ma anche di ricerca, nel breve periodo, di un “compromesso alto”: il nostro sistema politico si trova ancora in una fase di transizione, esistono tempi e spazi a patto di leggere con attenzione e sicurezza le contraddizioni cui riferirci. Savona, 19 Ottobre 2010 Franco Astengo
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