Migranti: invasione o risorsa?

MIGRANTI:
INVASIONE O RISORSA?

 

MIGRANTI: INVASIONE O RISORSA?

 Da tempo il problema della convivenza tra le popolazioni autoctone europee (per limitarci all’Europa) e  gli immigrati provenienti da Paesi diversi, in prevalenza africani e mediorientali, ma anche dai Balcani e dalle Russie,  si configura come una vera e propria  “emergenza migratoria” che sommuove e interpella la nostra societas, le nostre istituzioni politiche, i nostri stili di vita, le nostre organizzazioni sindacali e assistenziali, la nostra visione del mondo, la nostra opinione pubblica e, anche se non sempre e non per tutti, la nostra coscienza umana.


 Di fronte a questa emergenza – che si aggiunge macroscopicamente e drammaticamente alla altre che già flagellano la nostra comunità nazionale, come quella  economica, lavorativa e ambientale – così le istituzioni come i semplici cittadini rivelano tutta la loro inadeguatezza e il loro sconcerto: i cittadini, soprattutto i più esposti al rischio della povertà, non si sentono per niente tutelati da una classe politica che non appare in grado di gestire con mezzi efficaci questa emergenza che merita a tutti gli effetti la qualifica di “epocale” (rilevazioni Eurostat per l’anno 2011 stimano la popolazione immigrata nell’Unione Europea in circa 34 milioni di persone!), e le istituzioni danno l’impressione di non avere ancora ben presente la gravità della crisi e dei rischi disgregativi e degenerativi in cui tutti noi – residenti e immigrati, ospitanti e ospitati, cristiani e islamici – ci troviamo,  e comunque di non aver elaborato per tempo nessun piano organico che sia all’altezza della situazione.

 

 Ecco perché, come scrive Zygmunt Bauman in Stranieri alle porte (Laterza, 2016) “Le notizie provenienti dal campo di battaglia stanno ormai per scatenare un vero e proprio attacco di ‘panico morale’ (nell’accezione comunemente accettata dell’espressione, definita dall’edizione inglese di Wikipedia come ‘il timore, diffuso tra moltissime persone, che un qualche male minacci il benessere della società’)”. Ora – a parte il fatto che nessun muro o filo spinato è in grado di fermare i flussi migratori che vanno dal Sud al Nord e dall’Est all’Ovest del pianeta –  quando si tratta questo  tema  sarebbe bene tener presente che “i fattori che provocano gli attuali movimenti di massa nei luoghi di origine sono di due tipi, ma duplici sono anche le conseguenze nei luoghi di arrivo e le reazioni dei paesi che li subiscono. Nelle zone sviluppate del pianeta – quelle in cui cercano rifugio sia i migranti economici sia i richiedenti asilo – il mondo del business desidera ardentemente e accoglie con favore l’arrivo di manodopera a buon mercato e di capacità che si prospettano redditizie (come ha ben sintetizzato Dominic Casciani – corrispondente della BBC -: ‘le imprese britanniche sono ormai molto esperte nel procurarsi lavoratori stranieri a basso costo, e le agenzie di ricerca di personale si danno da fare sul continente europeo per individuare e assumere manodopera straniera); ma per la maggioranza della popolazione, già assillata dalla fragilità della vita e dalla precarietà della posizione sociale presente e futura, quegli stessi fenomeni significano più concorrenza sul mercato del lavoro, più incertezza e meno speranze che le cose migliorino: uno stato d’animo politicamente esplosivo, che costringe i politici a destreggiarsi a fatica tra attese incompatibili al fine di accontentare i propri azionisti di riferimento e sedare le paure degli elettori”. Questo in generale.


 Da noi, in Italia, la situazione è ancora più grave, data la nostra posizione geografica e la mancanza di una coerente politica sull’immigrazione e riguardo ai rapporti da mantenere o da instaurare con i Paesi che si affacciano su quello che un tempo si chiamava Mare nostrum e che oggi è divenuto un cimitero di disperati in fuga dalla guerra e dalla miseria, uomini, donne e bambini annegati nel tentativo di raggiungere le nostre coste su imbarcazioni di fortuna  in balia di trafficanti senza scrupoli. Come tutti sanno, il 13 ottobre dell’anno 2013, al largo del porto di Lampedusa un peschereccio libico gremito di migranti africani  provenienti dall’Eritrea – per imperizia  di un membro dell’equipaggio che  intendeva chiedere soccorso agitando una torcia e poi incendiando una coperta –  prese fuoco e, dopo aver girato tra volte su se tesso, affondò vicino all’Isola dei Conigli (descritta come una delle spiagge più belle del mondo). Tra morti accertati e dispersi le vittime furono 363, i salvati 155 di cui 41 minori. Quella tragedia scosse l’Italia. Intervenne anche il Papa: “Pregate Dio per l’anima delle vittime del naufragio”. Enrico Letta, all’epoca Presidente del Consiglio, ha parlato di “tragedia immensa”, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano si era spinto a dichiarare: “Provo vergogna e orrore; è necessario rivedere le leggi anti-accoglienza”, consapevole di avervi contribuito egli stesso con la legge Turco-Napolitano, tanto che da più parti si levò la richiesta di abrogare, o almeno riformare quelle leggi, come la Bossi-Fini e il decreto Maroni, che prevedevano il reato di immigrazione clandestina, reato quanto mai oneroso per lo Stato oltre che inefficace, e anzi dannoso perché aumentava, anziché diminuire, il numero degli immigrati clandestini che finivano nella rete della criminalità organizzata e del capolarato.


 Per scongiurare altre tragedie simili, il governo italiano di allora predispose un piano di pattugliamento del Canale di Sicilia sotto il controllo della Marina Militare, denominato Operazione Mare nostrum. Questa operazione, conclusa ufficialmente il 31 ottobre del 2014, ha comunque permesso di recuperare, secondo i dati diffusi dalla Marina Militare, 11. 499 migranti alla deriva nel corso del 2013, e ben 156.362 nel 2014; a dimostrazione delle dimensioni dei flussi migratori dalle  coste africane e mediorientali del Mediterraneo verso le nostre coste. Questo significa che, prosegue Bauman “quel che è accaduto negli ultimi anni è un enorme aumento del numero dei profughi e richiedenti asilo, e quindi del totale dei migranti che bussano alle porte dell’Europa; aumento dovuto al moltiplicarsi degli Stati falliti o in via di fallimento, che in pratica diventano territori senza Stato e senza legge, teatro di interminabili guerre tribali e settarie, di stragi e delle imprese di predoni che spadroneggiano senza sosta e nel disprezzo di qualsiasi regola”. E qui Bauman (e, con lui, tutti gli osservatori onesti e gli storici contemporaneisti) chiama in causa le nostre dirette  responsabilità di occidentali: “Tutto questo è, in larga misura, il danno collaterale provocato dalle malcalcolate, malaugurate e disastrose spedizioni militari in Afghanistan e in Iraq, che hanno sostituito precedenti regimi dittatoriali uno scenario di caos senza fine e un’orgia di violenza spalleggiata e fomentata da un mercato globale delle armi privo di qualsiasi controllo e alimentata da un’industria bellica assetata di profitti, con il sostegno tacito di governi disposti a tutto pur di aumentare il Pil”. E dobbiamo a queste sciagurate guerre anche la nascita dell’Isis e la predicazione dell’odio nei confronti degli “infedeli” materialisti e atei che, non paghi di bombardare la popolazione civile uccidendo donne, vecchi e bambini, si permettono di irridere il Corano e il Profeta, propiziando così l’avverarsi dello “Scontro di civiltà” di cui parla il politologo statunitense Samuel P. Huntington, cioè l’esatto contrario della coesistenza pacifica tra superpotenze mondiali auspicata all’epoca della divisione del mondo tra Est comunista e Ovest capitalista. Oggi questa divisione è sostituita da una sorta di disordine mondiale che porta a conflitti permanenti e interreligiosi tra le diverse correnti islamiche o religiosi come avviene in Medioriente tra Ebrei e Palestinesi,  e in Africa, tra musulmani e cristiani.


 Tutti questi conflitti endemici non promettono niente di buono anzi fanno temere un estendersi della guerra o scontro di civiltà anche in Europa, come si è visto con gli attentati di Parigi, di Bruxelles, di Nizza e di Berlino. Il mondo, quindi, è tutt’altro che in pace e, a pensarci bene, non potrebbe essere diversamente, date le enormi disuguaglianze tra Paesi ricchi e Paesi poveri, tra l’abbondanza (ma fino a quando?) degli uni e la miseria degli altri. Finché ci saranno questi squilibri spaventosi sarà un pio desiderio quello di fermare “la marea di profughi, costretti dalla violenza e dall’arbitrio a lasciare le proprie case e tutto ciò a cui tengono, e di persone che fuggono dalle deportazioni e dai massacri”. E’ chiaro, quindi, che l’umanità si trova a un bivio: o si trova il modo di convivere pacificamente con i portatori di culture, abitudini, mentalità e fedi diverse, considerando che, così come loro hanno certamente molto da imparare da noi, anche noi abbiamo l’opportunità di allargare il nostro orizzonte fino a comprendere che non c’è che un unico orizzonte universale che abbraccia tutti i diversi orizzonti particolari e individuali senza soffocarli ma facendoli respirare in quel  più vasto e ultimo orizzonte che, volenti o nolenti, tutti ci comprende (a meno che non smettiamo di essere umani); oppure procediamo sulla via dell’opposizione amico-nemico, noi-loro, inclusione-esclusione, connazionale-straniero, e così via verso la guerra di tutti contro tutti.

Fulvio Sguerso

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