Meriggiare con i cocci in cima: Montale, il muro, Fassino

Montale guardava il muro cocciuto della condizione umana; oggi lo stesso muro divide la politica democratica, dove chi non grida abbastanza viene impalato. La poesia ci offre più chiavi per leggere l’attualità di quanto si pensi.
Meriggiare con i cocci in cima: Montale, il muro, Fassino
Dall’infrangibile muraglia esistenziale di “Meriggiare pallido e assorto” al gelo di silenzio politico attorno a Piero Fassino: come si diventa bersaglio, anche sotto il sole di sinistra

C’è un meriggio che non smette di ardere nella letteratura italiana, quello montaliano, pallido e assorto, in cui l’uomo osserva la vita come un moto cieco e fatale, schiacciato dal muro insormontabile dell’esistere. Ma oggi quel muro sembra trascolorare nel linguaggio politico: ancora cocci aguzzi, ancora un “camminare” sotto il sole rovente, ancora la percezione penosa di un confine che separa, esclude, lacera.

E se quel muro, oggi, si chiamasse Partito Democratico? Se il silenzio che accompagna certe ferite non fosse solo letterario ma tremendamente reale?

Il recente caso Piero Fassino, l’ex sindaco di Torino, storico dirigente della sinistra riformista, ci restituisce proprio l’immagine di un uomo che cammina in silenzio nel sole che abbaglia, circondato non più dalle cicale ma dai suoi stessi compagni. Il commento violento e agghiacciante del consigliere Pd Davide Carta, “ad ammazzarlo non si fa peccato”, ha gettato un’ombra inquietante sulle modalità interne al confronto democratico. La frase non è passata sotto silenzio: ha fatto scalpore, sì, ma non tra le fila del Pd, bensì – paradosso dei paradossi – da Fratelli d’Italia, dove si sono levate le prime parole di solidarietà.

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Un silenzio opaco, compatto, simile a quello di cui Montale diceva “sentire con triste meraviglia com’è tutta la vita e il suo travaglio”. Eccola, la “triste meraviglia” montaliana che ci prende oggi di fronte all’incomprensibile assenza di reazione da parte di Elly Schlein e dei vertici democratici. Una telefonata privata, sì, ma nessuna dichiarazione pubblica tempestiva.

L’uomo e il muro. È il vero centro tematico della poesia e, oggi, il centro della crisi politica. Quel muro che Montale ci dipinge carico di cocci – “cocci aguzzi di bottiglia” – non è solo un’immagine poetica ma un prisma ideologico: cosa sono quei cocci oggi se non i frammenti di una sinistra spaccata tra identità radicali e tentativi riformisti, tra retorica indignata e posizioni terze come quelle di Fassino sulla questione israelo-palestinese?

Il muro è sempre lì, oggi come nel 1916, quando Montale osservava la vita da un orto ligure. Solo che ora la “muraglia” non è quella cosmica del destino ma quella politica dell’incomunicabilità. Fassino si trova a “spiare le file di rosse formiche”, metafora che oggi sembra indicare i movimenti frenetici e inconsapevoli di un partito che si sgretola, che si “rompe e si intreccia” come quelle minuscole biche di vita nel verso montaliano.

Montale non dava soluzioni. Non chiedeva mobilitazioni. Osservava. Ma la poesia, quando è vera, non consola: urta, scava, inchioda. Così oggi il lettore che rilegge Meriggiare pallido e assorto non può che sentire un’eco tremenda nel modo in cui Fassino è stato lasciato solo, bersaglio di un linguaggio che la sinistra dice di voler estirpare, ma che le cresce dentro.

Davide Carta ha poi chiesto scusa. Una “iperbole”, ha detto. Ma le iperboli sono figure retoriche, non licenze morali. E se il Pd vuole ancora parlare di democrazia, rispetto e civiltà del linguaggio, dovrà prima affrontare quel muro che oggi lo divide da sé stesso.

Fassino, come il poeta, resta lì: assorto, forse, ma non cieco. E noi, lettori e cittadini, non possiamo che camminare al suo fianco, riconoscendo in quel muro la nostra parte di responsabilità.

Perché la poesia lo sapeva già: tutta la vita e il suo travaglio non è altro che un seguitare una muraglia.

Antonio Rossello       CENTRO XXV APRILE

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