Ma il resto del tempo? Il resto del tempo è silenzio.

Ma il resto del tempo? Il resto del tempo è silenzio.

Un silenzio che pesa come piombo, più sinistro di qualsiasi urlo. Vent’anni di disaffezione hanno scavato una fossa in cui giovani e meno giovani sembrano accomodarsi volentieri, con lo smartphone acceso a fare da lumino votivo.

Quasi un terzo degli italiani non si occupa mai di politica: più di 15 milioni di corpi vivi ridotti a ombre che non leggono, non discutono, non pretendono. Tra i giovani, il distacco è totale: il futuro che dovrebbe incendiare di passione preferisce invece il riflesso dello schermo. È il segno di una generazione cresciuta senza fede nelle istituzioni, ma anche senza il coraggio di abbatterle.

Eppure, ogni tanto, dalle viscere del silenzio emerge un grido: una piazza, uno sciopero, una protesta digitale. Un sussulto che fa illudere che la società civile non sia ancora del tutto spenta. Ma dal prisma del terzomondo, dove la politica è lotta per la sopravvivenza quotidiana e la partecipazione significa scegliere tra acqua potabile e corruzione, tra vita e sparizione forzata, lo spettacolo italiano appare grottesco.

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Qui, nel cuore dell’Europa, la democrazia sembra ridotta a un optional stagionale, un vezzo da esibire quando la coscienza collettiva non sopporta più il proprio torpore. Là, nel Sud globale, la politica è sangue e polvere, è fame e repressione, è il prezzo da pagare per ogni minima conquista.

Così, mentre in Italia la “partecipazione invisibile” si dissolve nel nulla e la protesta diventa un evento mondano da consumare come un concerto, nei villaggi dimenticati del mondo la politica resta un campo minato, una trincea di sopravvivenza.

Il paradosso è lugubre: chi potrebbe lottare senza rischiare la vita si rifugia nell’apatia, chi non ha scelta deve sacrificare la vita per lottare.

La società civile italiana, ci dicono, “è pronta a farsi sentire quando serve”. Ma da lontano, molto lontano, sembra solo l’eco di una civiltà stanca, che accende candele digitali invece di incendi reali.

Antonio Rossello       CENTRO XXV APRILE

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