L’unica maggioranza possibile, ma…

 
L’unica maggioranza possibile,
ma non solo numericamente,
per tornare alla democrazia

 
L’unica maggioranza possibile, ma non solo numericamente,
per tornare alla democrazia

Sono settimane che tutti i telegiornali ci martellano con le beghe interne al partito democratico. Un partito che realisticamente gode oggi di un consenso elettorale inferiore al 10% di quanti hanno diritto al voto. Si potrebbe giustificare uno spazio anche eccessivo dato all’attività del governo o del parlamento, si può arrivare a capire l’insistenza con cui vengono propinate le facce e le parole del primo ministro, del capo dello Stato o del papa.


Piaggeria, conformismo, tappetino per il regime, tutto quello che si vuole ma con un minimo di fondamento, trattandosi di figure istituzionali. Ma il tentativo sfacciato e scomposto di inculcare nell’opinione pubblica l’idea che la politica, la dialettica democratica, il destino del Paese siano risolti all’interno del recinto di un partito è la dimostrazione lampante di quanto sia avanzata la deriva autoritaria dopo i colpi di Stato occulti che nel 2011 hanno liquidato l’ultimo governo legittimo. Siamo arrivati insensibilmente al Partito Unico, con l’aggravante che l’operazione è avvenuta senza alcun sostegno popolare ed ha portato alla ribalta personaggi di un’imbarazzante inconsistenza umana, culturale, intellettuale, morale oltre che politica. Siamo passati dalla partitocrazia alla anoetocrazia, il governo degli imbecilli, come l’ho definita in un pamphlet sul disastro della sinistra, che è poi il disastro del Paese causato dalla sinistra. Questo è il punto di arrivo dell’idea gramsciana delle avanguardie rivoluzionarie, del primato della politica, delle “classi dirigenti”, della nomenklatura. Siamo finiti nelle mani di mezze calzette che sopperiscono con la furbizia, la considerazione di sé, l’ingordigia sfrenata alla loro pochezza. Dopo decenni di tentativi e di assaggi abbiamo oggi la pienezza del potere della sinistra, i partiti dell’arco costituzionale e del CNL si sono unificati, il Pci diventato Pd non ha più bisogno di satelliti e di utili idioti, abbiamo il Partito Unico, il partito degli italiani, destra, sinistra e centro in un solo contenitore, dove si dibatte, si progetta, si discute e soprattutto ci si spartisce tutto ciò che c’è da spartire.


La stampa dell’opposizione a corrente alternata è caduta nella trappola tesa dal Pd all’indomani della batosta del referendum: il Pd è a pezzi, Renzi è spacciato, la sinistra è nel caos, facendo così da controcanto alla stampa di regime che si stracciava le vesti per la crisi del partito, lo scollamento della politica, identificata col Pd, dalla gente, la democrazia in pericolo e lo spettro del populismo. Così è accaduto che se prima del referendum il Pd era percepito come una delle tre forze politiche che si erano spartite l’elettorato, quella che in forza di una legge elettorale assurda si era trovata una maggioranza schiacciante in parlamento e aveva occupato tutto l’occupabile, dopo il referendum da cui il partito è uscito stracciato e al termine di un polverone fra congresso sì congresso no, Renzi dentro Renzi fuori, voto a giugno anzi no, voto a ottobre, meglio mai, vecchi arnesi alla ribalta e new entry smaniosi di entrarci, scissioni annunciate e ritirate, spacchettamento dei gruppi parlamentari, liti vere e fasulle, il Pd è diventato il palco sul quale si recita la commedia della nostra ridicola democrazia, nella quale il parlamento del tutto esautorato è il terminale del partito e il suo, assai poco probabile, scioglimento anticipato non compete al capo dello Stato ma è subordinato al congresso del partito, che prima o poi si farà, e al suo esito. Intanto, a forza di ripeterne i nomi, imporne le facce e le insulse battute autoreferenziali, si spera che acquistino un po’ di spessore personaggi che paiono cartoni animati, gente che si stenta credere di poter incontrare per strada, che siano uomini e donne in carne e ossa.


Non era mai accaduto nella storia della Repubblica, che ha visto protagonisti anche discutibili, spesso mediocri ma sempre comunque identificabili, con una loro anima, una loro cultura, non solo politica, una loro storia, di vedere governo, istituzioni, media controllati da un gruppo di potere così inconsistente, fatto di puri nomi, di personaggi senza personalità, maschere di teatro tutte uguali e intercambiabili. A volte ho l’impressione che il mio vicino di casa, un onest’uomo che tutte le mattine si reca in ufficio con la cartella che contiene la colazione, potrebbe tranquillamente prendere il posto di uno qualunque dei signori che hanno in mano il destino del nostro Paese. Questi signori si qualificano da sé classe dirigente e alimentano con la loro pochezza le riflessioni dei guru di regime sulla crisi antropologica della sinistra. Dalla quale però, secondo gli stessi guru, non si può prescindere, perché oltre la sinistra non c’è nulla, o, meglio, c’è il vuoto, il caos, l’abisso, il buio, il populismo. E le due forze alle quali, prima del referendum si riconosceva che rappresentassero gli altri due terzi dell’elettorato, ora sono dichiarate dissolte. Una, il centro destra, viene smembrata in quattro parti: una nobile, la parte sana di Forza Italia, può confluire nella piattaforma della democrazia, è destinata ad essere una delle componenti del partito unico, l’ex Pci ora Pd; l’altra, di scarto, la parte contaminata di quello che era il partito di Berlusconi, dovrà finire per decomporsi; il resto, Fratelli d’Italia e la Lega sono fuori  del recinto della democrazia, nel mirino delle truppe armate del sistema, antagonisti, no borders, centri sociali, e oggetto di riprovazione morale prima che politica da parte delle anime belle, dei radical chic e, ovviamente, delle vestali dell’antifascismo.


Restano i Cinque stelle, che i compagni non hanno ancora deciso se scardinare o sedurre facendo leva non tanto sulla debolezza della Raggi quanto sulla nebulosità del movimento, non imputabile a Grillo o al giovane Casaleggio ma alla distanza drammatica fra gli elettori, che ne hanno colto e premiato la natura anti sistema, e gli eletti, la maggior parte dei quali gareggia per pochezza e confusione mentale con i rappresentanti del Pd, che però si possono giovare dei pizzini del partito e sanno sempre quale deve essere la loro linea. Che sfugge invece ai pentastellati, soprattutto sui temi vitali dell’invasione, dell’Europa, dell’identità e degli interessi nazionali, dell’economia e del lavoro. Preparati, si fa per dire, solo sull’antipolitica, sull’invasione farfugliano e sul resto non vanno oltre penose banalità quando non prendono tempo aspettando, dicono, il parere della rete. Già, la rete, quando invece lo stesso Grillo, quando interviene, parla – come dicono i compagni – alla pancia della gente, ne avverte gli umori e li fa suoi. Il problema è che, a cominciare dalla Raggi, i pentastellati che hanno vinto a Roma come a Torino o Livorno sembra che non si siano resi conto che non hanno avuto i voti del popolo della rete ma del popolo tout court e dei tanti che al primo turno avevano votato a destra. Il problema è che sicuramente i loro elettori non si sono fatti e non si faranno sedurre dai compagni ma gli eletti, almeno molti di loro, non sembrano altrettanto disturbati dal corteggiamento. C’è su questo punto un’alleanza di ferro fra il Pd e Berlusconi, che i compagni hanno resuscitato proprio a questo scopo: spingere la Lega all’abbraccio mortale con Forza Italia allo scopo di depotenziarla per poi gettarla in pasto al sistema e impedirne l’avvicinamento ai Cinque stelle, che sarebbe nell’ordine naturale delle cose. Il populismo è la bestia nera del partito occulto assolutamente solido e compatto perché indifferente al voto popolare, paradossalmente rinforzato dalla batosta referendaria, in cui si compongono le baruffe interne al Pd e la finta opposizione dei moderati.


Secondo Mentana l’unica maggioranza numericamente possibile, allo stato attuale, è quella fra Lega e Cinque stelle. Mentana sbaglia. Quella fra Salvini e Grillo non è l’unica maggioranza numericamente possibile ma l’unica maggioranza politicamente sensata, l’unica rispondente alla volontà di un popolo che è sì disgustato dall’arroganza famelica della casta e dall’incapacità del governo di porre fine all’invasione ma è soprattutto stufo di questa politica, di questa falsa democrazia, di questa oligarchia spudorata dove a comandare è un’élite alla rovescia, il peggio del peggio.

   Pier Franco Lisorini

Pier Franco Lisorini è un docente di filosofia in pensione

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