L’ultimo sussulto della primavera araba: la caduta di Assad e un altro passo verso l’Iran
E così dopo tredici anni dal brutale assassinio di Gheddafi e quando ne sono passati diciotto da quando Sadam Hussein è stato impiccato e Milosevic fatto morire in carcere, il cerchio si è chiuso. I terroristi islamici sotto l’ombrello americano, col beneplacito turco, il silenzio assenso di Israele e le armi raccattate dappertutto -Ucraina compresa- hanno dato il colpo finale alla Siria di Bashar al-Assad. Che però a differenza delle altre vittime della Nato, in barba all’occidente democratico che pregustava la fine sua e della sua famiglia e alla stampa che vaneggiava sul suo aereo dirottato o fatto esplodere, è stato tratto in salvo dall’alleato russo. I media italiani non si sono fatti sfuggire l’occasione per primeggiare in servilismo e dabbenaggine trasformando i terroristi in ribelli, oppositori e addirittura, a vedere le immagini, liberatori Per la verità su questo non c’è ancora piena compattezza: qua e là si avverte una certa titubanza in attesa che venga dettata la linea. quando il nostro governo zerbino avrà ricevuto ordini precisi.
Perché a destra, sinistra e centro non ci sono dubbi sul fatto che bisogna dare addosso ad Assad col solito copione preparato per Milosevic, Saddam Hussein e Gheddafi ad uso e consumo dell’opinione pubblica americana sensibile alla questione morale (la nostra non ne ha bisogno). I “dittatori” fatti fuori debbono essere liberticidi, oppressori, torturatori e feroci assassini colpevoli di aver sterminato decine di migliaia, centinaia di migliaia o milioni di vittime innocenti e conseguentemente andavano eliminati per rendere il mondo migliore. Ma non è del tutto chiaro quale atteggiamento si debba prendere di fronte a chi ha rovesciato il cattivo. Tanto più che turchi e israeliani non si sono accordati sulla spartizione del bottino, gli ebrei ora temono di aver lanciato un boomerang e i turchi di essersi dati la zappa sui piedi. Gli unici che non hanno motivo di ripensamento sono gli yankee, ai quali basta e avanza che l’area sia destabilizzata o, meglio, in preda al caos.
Pare che Biden abbia detto che il dittatore “sarà punito” – nel frattempo il Padre Eterno o chi per esso ha provveduto a punire lui – incoraggiando i più zelanti a iniziare il fuoco di fila delle calunnie e della disinformazione per giustificare la mattanza appena iniziata e ordinando di tacere accuratamente la circostanza che con Assad la Siria si era liberata dall’oppressione islamista e aveva chiuso con una storia secolare di guerre tribali. I terroristi hanno sì un passato discutibile ma, si sa, a venti anni siamo tutti teste calde, ora di anni ne hanno almeno quaranta e sono moderati e ansiosi di instaurare la democrazia e il kalashnikov da cui non si staccano è un simbolo di libertà. È vero che hanno devastato l’ ambasciata iraniana ma quei brutti sciiti se lo sono meritato e poi dentro non c’era nessuno; e se sono entrati senza invito anche nella nostra – territorio italiano – creando qualche apprensione fra carabinieri e personale Tajani è tranquillo: va bene così, tutto regolare. Ed è vero che nei viali di Damasco come addobbi natalizi ci sono corpi appesi ma sono quelli dei torturatori e dei complici di Assad. Del resto il popolo è con loro, come mostrano le immagini (chissà se gli ucraini dopo aver dato una mano ai ribelli con le armi gliela stanno dando con i filmati che sono il loro forte): quelli che affollano gli aeroporti sono ectoplasmi. Ma politici e giornalisti nella stessa frase riferiscono dell’esultanza di fronte all’esercito liberatore e anticipano l’ondata migratoria che si abbatterà sul fronte balcanico: strani questi siriani: prima esultano e poi se la danno a gambe.
Certo bisogna capirli e compatirli. Al Qaida, L’Isis, il califfato fino a ieri hanno compiuto stragi in tutta Europa, con azioni militari ben organizzate e pianificate o con lupi solitari fuori di testa: l’islam radicale era fino a ieri la bestia nera dell’occidente e ora in quattro e quattr’otto sono gli islamisti sono diventati gli alleati, i buoni, i nuovi partigiani. Per la verità lo stesso problema si era posto per la primavera araba ma allora la metafora aveva funzionato e il giochetto di far passare per un vento di libertà e di progresso il ritorno al medioevo era riuscito. Oggi è più complicato , ci sono più variabili in gioco e si rischia che le mistificazioni entrino in conflitto fra di loro. Fra le più gettonate c’è “il vero sconfitto è Putin, che ha dovuto rinunciare alle sue mire espansionistiche nel mondo arabo”. Ma una palese politica espansionistica nel mondo arabo si può attribuire alla Turchia nostalgica del suo impero perduto, si può attribuire a Israele che si sente legittimata a espandersi in tutte le direzioni da una promessa o da un patto che Dio in persona avrebbe stipulato con gli ebrei tre o quattromila anni orsono. La verità è che nel pianeta non si muove foglia che lo zio Sam non voglia e le ambizioni di Erdogan o di Netanyahu devono avere l’avallo degli Stati uniti, che dal dopoguerra in poi non hanno mai smesso di gonfiarsi come una rana (e, come quella, prima o poi scoppieranno). E, se è vero che il passato condiziona il presente, Russia ha piantato le sue basi in Siria e ha puntellato Assad fin che le è convenuto non per espandersi – che non ne ha bisogno – ma per difendersi, com’è nella sua vocazione storica. Ma gli opinionisti di casa nostra continuano a cullarsi nell’illusione di n Putin sempre più debole e di una Russia sull’orlo del collasso, salvo poi doversi arrendersi di fronte all’evidenza dei fatti per ricominciare non appena se ne presenti l’occasione. A parte il travisamento della realtà ci sarebbe da chiedere loro quale vantaggio trarrebbero l’Europa e l’Italia da una scomparsa di Putin o dal crollo della federazione russa.
Non è il caso di insistere: che non sono analisi serie ma arrampicate sugli specchi è evidente e i primi a rendersene conto sono gli stessi autori. Che trovano un terreno più solido nella condanna del regime, che indirettamente promuove chi l’ha abbattuto.. Un crescendo rossiniano per stordire l’opinione pubblica: un regime autoritario, una dittatura imposta con la forza o la corruzione, una tirannide sanguinaria, un carnefice senza scrupoli. Con Milosevic si limitarono a enfatizzare le vittime musulmane e occultare quelle cristiane, con Saddam sprofondarono nel ridicolo con milioni di curdi gasati da gas che l’Iraq non possedeva, Assad, l’oftalmologo che sarebbe volentieri rimasto a Londra con la moglie, è il macellaio che ha sulla coscienza centomila vittime.
Al solito si fa affidamento sulla amnesia di massa. La famiglia Assad non era certo immune dai mali cronici di un’area avvelenata dall’odio fra fazioni avverse, dalla minaccia incombente dell’integralismo islamico, dai contrasti interni all’Islam e dalla corruzione ma aveva avuto il merito di tenere unito il Paese, di averlo in qualche modo pacificato e di averlo consegnato a un giovane medico dal temperamento mite e con una moglie per dirla all’americana glamour e aperta alla cultura occidentale. Il torto di Assad è di essersi opposto alla islamizzazione delle istituzioni,. che condanna il mondo arabo al caos a meno che, come accade in Iran, il potere politico non assorba in sé quello religioso. Il potere religioso torna più gradito al nuovo colonialismo americano – quello che ha lasciato l’Afghanistan in mano ai talebani -, perché instabile, impedisce una maturazione delle coscienze, lascia covare sotto la cenere il fanatismo religioso, una vera patologia di massa.
Il regime di Assad in modo più coerente rispetto alla Libia di Gheddafi o alla dittatura di Saddam Hussein, al quale lo accomunava la radice baathista, o alla stesso Kemal Atatürk era svincolato dalla fede, anche negli aspetti esteriori. E proprio questo spaventava gli americani e i loro fantocci europei: la laicizzazione del mondo arabo. Sono gli americani che hanno che hanno vestito, armato, protetto i jihadisti e soffiato sul fuoco dell’integralismo sunnita; e quando i liberatori di Damasco dopo aver trucidato i veri o presunti carcerieri del regime e dato la caccia agli assadisti cominceranno a massacrare sistematicamente gli alawiti, i “maiali alawiti”, i “finti musulmani alawiti”, riportando la Siria indietro di cinquecento anni, i morti peseranno sulla coscienza della Cia, del Pentagono e dei loro servi europei.
Il 20 gennaio i democratici leveranno finalmente le tende: vedremo se Trump sarà la soluzione o parte del problema. Una cosa è certa: non c’è futuro per il pianeta se gli Stati Uniti non se ne torneranno dentro i loro confini.
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