LUDWIG GUTTENBRUNN

Ludwig Guttenbrunn Cleopatra olio su tela centimetri 40 × 31

Il quadro aveva un riferimento a scuola italiana del XVII secolo, ma è evidente non possa essere anteriore alla produzione del primo neo classicismo romano attorno ad Antonio Raffaele Mengs. In particolare risente della soluzione prospettata da Mengs attorno al 1771-73 degli affreschi per la sala dei papiri in Vaticano e nel presunto bozzetto su tela del Museo di Bassano, con l’Allegoria del Museo e della Storia, ove compare nel fondo la citazione classica della cosiddetta Arianna abbandonata dei Musei vaticani. Tuttavia all’autore della presente opera potevano essere noti, direttamente o tramite riproduzioni a stampa, anche la serie delle principesse… dipinte da…Nattier, in particolare… come vestale del fuoco, ove sullo sfondo dell’ambiente chiuso compaiono le architetture e sculture di un presunto tempio di Vesta.

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Alla citazione della classicità romana-greca l’autore della Cleopatra sostituisce una citazione neo di rinascimentale (o meglio neo-manieristica) nell’architettura del fondo di stampo vasariano e nella statua della fontana, raffigurante Nettuno che sollevo una ninfa, chiaramente derivata dal Ratto delle sabine del Giambologna, di cui travisa peraltro il moto rotatorio ascensionale con una grazia da balletto settecentesco. Ciò che colpisce soprattutto nella piccola tela e tuttavia la sottigliezza e la cura “neofiamminga” della stesura pittorica, che descrive con accuratezza i gioielli riflessi di luce sulla coppa d’oro e persino i rivoli d’acqua e gli spruzzi dalla fontana nello sfondo, con un’attenzione che non riconosciamo ad alcun pittore del tempo.
Tutti questi elementi, come pure l’impegno a rendere la rigida lucentezza della seta del vestito di Cleopatra, la tendenza a descrivere le frange dorate con l’attenzione da miniatore, la lucida, quasi metallica, resa dei pesanti tendaggi di lato, sembrano indirizzare verso la produzione di Ludwig Guttenbrunn (Kranz 1755 C – Roma dopo il 1813), pittore di origine austriaca operante tra l’altro a Torino presso i Savoia tra l’agosto del 1784 e l’agosto del 1787, reduce da un soggiorno di studio a Roma, Napoli e Firenze. Il pittore è soprattutto noto come ritrattista: il suo autoritratto viene accolto nella Galleria degli Autoritratti degli Uffizi – luogo emblematico di riconoscimento dell’eccellenza nella professione – assieme a quelli di Venceslao Verlin (1771) e di Giuseppe MacPherson (1778), altri maestri di un genere, il ritratto di piccolo formato, che sarebbe improprio definire semplicemente “miniatura”
Lo stesso aspetto levigato e miniaturizzato del presente quadro, teso alla precisa descrizione dei particolari, si ritrova ad esempio nel ritratto di Maria Clotilde di Borbone principessa di Piemonte (Vercelli collezione privata) firmata dal Guttenbrunn, teso a riprodurre consegna accurato e preciso e lucida cromia la posizione sociale dell’effigiata e la realtà mondana di mobili, vestiti e tendaggi di pregio, oppure in uno dei vari soggetti mitologici del pittore, la Venere allo specchio datata 1789, giunta alla Galleria Sabauda di Torino solamente nel 1990. La resa del vestito di seta ricorda anche il ritratto di Maria Antonietta in un paesaggio, conservato a Gorizia.
La presente tela costituisce pertanto, a giudizio dello scrivente, un importante tassello per la conoscenza della produzione non ritrattistica di Guttenbrunn, che dovete essere più estesa e complessa di quanto ora conservato, se le fonti ricordano. nel corso del breve soggiorno a Milano anche una tavoletta raffigurante il Parnaso, perduta ma di grande interesse per la tecnica utilizzata, l’encausto (di cui riscoprivano nel ‘700 gli esempi antichi dagli scavi archeologici) e per il soggetto, che riprende quel paradigmatico di Mengs a Villa Albani (1761) in Roma.
Ulteriore aspetto dalla porzione di Guttenbrunn è documentato da La lettera, piccolo olio già presso un antiquario londinese, firmato e datato 1793, in cui il pittore si accosta gli aspetti più intimistici della cultura neoclassica, anche se non dimentica la cura “neofiamminga” del dipingere il parapetto in pietra, il cane o il vaso di fiori.
Simile il quadro con Fanciulla che versa da bere ho un’aquila, presentata da Sotheby’s il 31/10/2003, in cui riferimenti all’antichità sono tuttavia predominanti.
Renato Giusto

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