L’omertà colpevole della sinistra sull’invasione
L’omertà colpevole della sinistra sull’invasione
Domande che attendono una risposta
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L’omertà colpevole della sinistra sull’invasione
Domande che attendono una risposta
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Qualcuno, ai livelli alti della politica e dell’informazione, deve finalmente porsi le domande che si pone ogni testa pensante nel nostro e non solo nel nostro, Paese, riguardo allo stillicidio dell’invasione dall’Africa. È verosimile che il nostro apparato difensivo non sapesse che Ong, guardia costiera, navi di mezza Europa andassero fino al limite delle acque internazionali per effettuare il trasbordo dai barconi avallando per anni la bufala che intervenissero in mare aperto per salvare naufraghi alla deriva? Ed è verosimile che fossero all’oscuro dei contatti telefonici fra scafisti e Ong per effettuare l’operazione in un punto concordato a ridosso della costa turca o libica? C’è voluto un ragazzo con l’hobby delle telecomunicazioni per scoprire la manfrina e costringere i magistrati a vedere chiaro in una faccenda che non è in sé oscura ma semplicemente tenuta dolosamente nascosta. E chi l’ha per tanto tempo tenuta nascosta deve rimanere impunito? Nel balletto di cifre sulle tariffe pagate per essere imbarcati sui barconi e poi trasferiti sulle imbarcazioni dirette in Italia si va da fonti autorevoli che parlano di 7000 mila euro per chi parte dalle coste orientali, 5000 per chi affronta un viaggio meno sicuro dalle cose libiche, ai 1000 euro attestato da altre fonti ma le dichiarazioni rese dagli scafisti ai magistrati italiani e le inchieste della stampa inglese fanno ritenere più verosimili le prime cifre. Nessuno che si sia posto seriamente il problema della compatibilità di questi esborsi col reddito medio nell’Africa subsahariana. Anche riconosciuta l’ovvietà, spudoratamente negata, che le vittime della fame e della miseria restano a languire nella loro terra e non hanno nulla a che fare con la massa di africani in rotta verso l’Europa, cioè l’Italia, rimane il mistero di chi finanzia il viaggio fino alla costa e il successivo traghettamento. In Mali il reddito è di 2.000 euro annui e il salario di un operaio non supera i 40 euro mensili; in Costa d’Avorio il pil pro capite è di circa 1300 euro e gli stipendi medi sfiorano i 100; in Senegal con un pil pro capite simile al Mali lo stipendio medio si aggira sugli 80 euro, ma un insegnante può fermarsi a 40; in Nigeria, dove le disparità sono ancora più marcate, a fronte di un prodotto medio pro capite di 3000 euro uno stipendio non arriva a 75 e per un dipendente pubblico a 40 (s’intende al mese); in Gambia, secondo Paese di origine del flusso migratorio, il pil pro capite è di 1300 euro, in Camerun, che in questo fa compagnia a Eritrea e Somalia, anche il capo dello Stato condivide le ristrettezze dei comuni mortali, con emolumenti che non superano i 200 euro. Per la precisione in Eritrea il pil pro capite è di 800 euro e gli stipendi oscillano intorno agli 80. Ovviamente è escluso che i viaggi vengano pagati con monete locali, che fuori dei rispettivi Paesi sono solo carta straccia: la moneta accettata è l’euro o in alternativa il dollaro americano. Qualche giornalista fantasioso, seguendo le statistiche Unicef, inattendibili perché non elaborate su dati raccolti in Italia, opina che il viaggio venga pagato dai parenti che lavorano in Europa. Osservo che il familiare di lavoratori stranieri stabilizzati in Italia, in Francia, in Germania o nel nord Europa ha tutta la possibilità di cercare un’occupazione, ottenere un visto d’ingresso, e servirsi del passaporto per un viaggio più sicuro, più confortevole e molto meno costoso. Qualcun altro farnetica di intermediari e di una serie di passaggi di mano senza però chiarire che alla fin fine qualcuno i soldi li deve tirare fuori. Qualcun altro parla di prestiti che, tolto il caso di uomini e donne già incanalati verso il traffico di droga o la prostituzione, non si sa come verrebbero restituiti, tenuto conto che i più fortunati potranno contare sulla paghetta di 2 euro e 50 giornalieri. Insomma, buio pesto. Grillo, qualche anno fa invocava la mafia, l’entità astratta buona per tutto ma che non spiega niente. Gli osservatori, per lo più di destra, che si azzardano a ipotizzare che sui barconi si imbarchino i ricchi rampolli delle famiglie agiate (ce ne sono) dimostrano solo che lo scarso acume non è una prerogativa esclusiva della sinistra. Un africano ricco, a casa sua è un nababbo, non so per quale vocazione masochista verrebbe a fare la fame da noi. Butto lì questa osservazione: 2000 euro (mi tengo basso) sono una somma spaventosamente alta per l’africano medio ma un miliardo e seicentomila (le spese di viaggio calcolate sulla cifra minima per gli 800.000 sbarcati sulle nostre coste con gli ultimi governi targati Pd) sono un terzo di quanto l’Italia ha speso in un anno per l’accoglienza ma soprattutto sono pochi spiccioli per il Qatar o per l’Arabia saudita, nel caso che avessero avuto qualche interesse a spedirli a casa nostra. E lo sarebbero anche se dovessero essere il doppio o tre volte tanto. Mi astengo dalle altre, pur legittime domande: se, come appurato, chi si imbarca deve lasciare a terra i telefoni, com’è che non c’è un africano privo dello smartphone, che, a parte il suo costo, per funzionare ha bisogno di una connessone che a nessun italiano viene regalata? E le cuffie stereo di cui i poveracci in fuga da guerre e miseria sono puntualmente dotati fanno parte del pacchetto di sopravvivenza, forse perché gli africani senza musica non sopravvivono? Ma perché mai uno di quei Paesi, il Qatar o l’Arabia saudita, dovrebbe avere interesse a spedirli a casa nostra? Dal momento che nel nostro Paese il giornalismo d’inchiesta latita e quelli che sanno, perché sicuramente molti nei palazzi del potere sanno più cose di quante non ne diano a vedere, si guardano bene dal parlare, non ci resta che violare l’impegno di Newton e formulare delle ipotesi. Che vanno dalla più cauta: stornare da sé la pressione migratoria, alle più inquietanti: destabilizzare i Paesi occidentali, e in primis l’Italia e/o installare in Italia un esercito potenziale. Ipotesi inquietanti ma non campate in aria. Che la presenza di minoranze sia sempre un fattore di instabilità è banale. Che i giovani adulti che arrivano abbiano tutte le caratteristiche di preparazione atletica, conoscenza di base della lingua inglese, dimestichezza con le tecnologie informatiche, che rinviano ad un addestramento militare e sono in ogni caso assolutamente incompatibili con l’essere “disgraziati che fuggono dalla miseria” – ora si insiste meno con la fuga da guerre inesistenti – è altrettanto banale. Emma Bonino ha tranquillamente confessato che durante il governo Letta – lei era ministro degli esteri – “siamo stati noi” a pretendere che tutti i profughi raccattati in mare venissero portati in Italia, esclusivamente in Italia, per mettere su, aggiungo io, il business dell’accoglienza (questa è una spiegazione vera, ma di primo livello, sotto c’è altro, e molto peggio). Lo dice ora, che è fuori dal sistema di potere e di omertà del Pd. Un po’ come Penati, l’ex presidente della regione Lombardia, ormai in rotta con i compagni, che solo ora che anche lui è fuori di quel sistema si decide a riconoscere che si sta consumando un disastro, che è in atto un’invasione e così via. È impressionante invece come tutti, proprio tutti, quanti rimangono interni al potere del Pd e della sinistra continuino a mentire, a negare l’evidenza, a cercare, inutilmente, di manipolare la pubblica opinione, senza che fra di loro si levi uno solo che esprima qualche dubbio, qualche perplessità, qualche segno di aspirazione alla verità. Quando, quale che ne sia il motivo, si trovano fuori dal sistema recuperano la memoria e la capacità di intendere. L’idea che l’Italia sia finita nelle mani di questa gente è raccapricciante. Concludo con una nota desolata sulla qualità umana e politica di chi è stato proiettato in parlamento dai voti guadagnati da Grillo e dal suo essersi presentato come simbolo di una sacrosanta protesta. Tale Frusoni (o Frusone?), intervenuto in una trasmissione della televisione di regime farfuglia sull’invasione come il peggiore dei comunisti, se la prende con Maroni e i governi di centrodestra, che avrebbero dato il via ai flussi migratori, se la prende con la Lega e sostiene che mai e poi mai Cinque stelle e Salvini potranno fare causa comune per difendere i nostri confini. Se il movimento non vuole risolversi in una buffonata capace di far rimpiangere il partito della bistecca degli anni Cinquanta bisogna che si sappia che chiunque viene messo in lista rischia di essere eletto e poi se ne vedono le conseguenze. Un po’ di attenzione. Intanto per i compagni nostrani e i loro mandanti nubi fosche si addensano all’orizzonte. Dopo il voltafaccia, o la resipiscenza, di Bill Gates, che si è smarcato da Soros e denuncia anche lui il pericolo dell’invasione, c’è stata la mossa a sorpresa di Trump. Volato a Varsavia per punzecchiare la Russia e confermare l’invio dei missili Patriot promessi da Obama – al quale si dovrebbe chiedere quale dovrebbe essere il loro impiego –, proprio nel momento in cui la Polonia è sotto attacco di Bruxelles e, per quello che può valere, dell’Italia perché non fa entrare nemmeno un musulmano nel suo territorio, ha pronunciato il discorso più impegnativo dall’inizio del suo mandato, tranquillamente ignorato dalla nostra stampa di regime, sulla funzione storica di quel Paese, baluardo della civiltà occidentale e cristiana. Un discorso in difesa della famiglia, della tradizione, dei nostri valori, antitetico rispetto all’ecumenismo e al globalismo bergogliani e sicuramente non indirizzato contro la santa Russia che Putin devotamente rappresenta. Un assist per la Polonia, e di riflesso per l’Ungheria, e un colpo da knockout per il povero Gentiloni. Pier Franco Lisorini è un docente di filosofia in pensione |