Lo sfruttamento dei poveri e la crescita

Per consumare sempre di più sfruttiamo la forza lavoro e le risorse del mondo povero. E questo per soddisfare bisogni superflui mentre loro non riescono a soddisfare quelli essenziali. E guai se poi ce li troviamo sull’uscio di casa. Assurde ipocrisie. Il mondo povero è diventato la fabbrica, la miniera ma anche la discarica al servizio dei nostri deliri consumistici.

Dietro a spot avvincenti ed eleganti centri commerciali, si nasconde lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e quello del pianeta. Coi nostri vestiti alla moda cuciti dalle ragazzine del Bangladesh sottopagate e che passati di moda buttiamo sulle Ande inquinando nel mentre cieli e mari di cherosene e il nostro spirito di nullità. Un suicidio collettivo globale in nome dell’avidità e della superficialità materiale. Da una parte mercati e politica al guinzaglio che hanno in testa solo profitto e crescita economica ad ogni costo, dall’altra cittadini ridotti a consumatori che cercano di riempire il vuoto interiore che li affligge con qualche prodotto a buon mercato.

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Basterebbe questa consapevolezza per salvare il mondo eppure l’ideologia del profitto sembra inarrestabile. Ego individuale che diviene collettivo che diviene globale. Lo dimostrano addirittura gli studi scientifici. Per i poveri i soldi sono essenziali perché da essi dipende la loro sopravvivenza, ma oltre una certa soglia i soldi diventano sempre meno rilevanti per il benessere degli esseri umani. Vale per la vita delle persone come per i paesi. Per il mondo povero la crescita puramente economica è fondamentale affinché riesca a mangiare ma anche a vivere decentemente oltre che a curarsi ed istruirsi. Una crescita che li renda indipendenti e autosufficienti e che noi ancora oggi impediamo sottraendogli più risorse di quelle che poi ipocritamente gli doniamo. Noi del mondo ricco siamo invece in una fase differente. Risolto il problema della sopravvivenza, viviamo nello spreco e produciamo e consumiamo molto di più di quello di cui abbiamo bisogno. Ma invece di prenderne atto, continuano a produrre e consumare sempre di più con l’unica differenza che invece di cose utili produciamo e consumiamo cose inutili per soddisfare bisogni superflui. Una assurdità. Pompati da una pubblicità perenne e da mercati sempre più famelici, accumuliamo roba che non ci serve, usiamo e gettiamo di continuo, passiamo a modelli sempre più performanti, inseguiamo mode infantili e perseguiamo ridicoli lussi. Tutto automaticamente, per cercare sollievo o per acquisire status ed ottenere conferme sulle nostre false certezze ed identità. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Successo materiale compensato da un disastro interiore epocale. Ma invece di cambiare rotta, insistiamo come se non vi fossero alternative. Eppure il nostro problema non è la quantità, ma la qualità della nostra crescita. Abbiamo un enorme problema di distribuzione della ricchezza ma anche di consapevolezza che produzione e consumo a vanvera ci portano solo all’autodistruzione personale e planetaria. Il mondo ricco deve produrre e consumare di meno e meglio. Deve limitarsi alle cose utili riducendo sprechi e sbarazzandosi dei deliri egoistici favorendo lo sviluppo del mondo povero invece di sfruttarlo. Altro che numeri e grafici economici, la crescita deve mirare ad una vera qualità della vita delle persone che passa anche attraverso i valori della società in cui vive, la qualità dei servizi pubblici che riceve, la profondità e genuinità della sua esistenza. Invece che farci usare dal profitto, lo dobbiamo usare noi. Generandone la quantità necessaria ed investendolo in maniera intelligente. Più che una crescita economica, al mondo ricco serve una crescita interiore. Nuove consapevolezze che diventino nuove politiche capaci di imporsi sui mercati e garantire una vita dignitosa per tutti e salvare il pianeta.

Tommaso Merlo 
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