LO SCETTICISMO È UNA CONQUISTA? *

Nel “mondo del credere”, come lo definiva il compianto prof. Girard, domande e risposte provenivano dai ranghi superiori degli intellettuali ed ecclesiastici, per cui l’uomo non doveva lambiccarsi il cervello per capire dov’era il vero e dov’era il falso. La vita era mentalmente semplificata e scandita da riti e cerimonie che rafforzavano le credenze generali, sia religiose che laiche.
Oggi è tutto più complicato, nel senso che le certezze hanno lasciato il posto al dubbio sistematico, ed è lasciato ad ogni singolo discernere il suo personale vero dal falso, senza più punti di riferimento, più libero e insieme responsabilizzato, con grande cruccio di Benedetto XVI, che ha denunciato tutti i pericoli del relativismo scettico.  

Benedetto XVI ha denunciato con forza, in pieno periodo globalizzante, i pericoli del relativismo, laico e religioso, dominante nell’attuale società, nel libro “Senza radici”, scritto a quattro mani con Marcello Pera nel 2004

Il tema è molto vasto, ma vorrei qui limitarmi a temi che spaziano dalla tutela ambientale allo strapotere delle lobby farmaceutiche ed alimentari. [VEDI]

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Sono temi di estrema attualità, in vista dell’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, che promette un drastico stravolgimento di molte certezze date sin qui come inconfutabili. E di fronte a questo ingresso sullo scenario mondiale di idee e conseguenti azioni opposte a quelle sin qui vigenti, siamo chiamati ad esprimere giudizi, a fare scelte di campo, dopo le tranquille certezze che la tanto invocata “comunità scientifica” ci aveva insegnato corrispondere alla “verità”, in perfetto stile positivista.
Cominciamo dal tema ambientale, quello per cui si sono susseguiti congressi mondiali, poi con acronimi come COP 16, COP 26 e, in chiusura venerdì scorso a Baku, COP 29 [VEDI] per proporre misure atte a contenere il riscaldamento globale e tutti i fenomeni estremi che ne conseguono, preservare la biodiversità, proteggere le specie in via di estinzione, salvare le popolazioni indigene dall’invasività della nostra civiltà, e così via. Tutti nobili intenti, che sono finora stati altrettante lettere morte, non solo per la contrarietà delle nazioni “in via di sviluppo”, che ambiscono svilupparsi seguendo il nostro fallimentare modello; ma anche per i Paesi “avanzati”, i quali, a parte qualche lodevole, ma modesto, provvedimento, non sanno andare oltre.
Dunque, propositi encomiabili, ma gli interventi si svolgono perlopiù a valle dei processi manifatturieri, che, oltre ad essere energivori, producono, oltre agli scarti di lavorazione, fiumi di imballaggi eterogenei, dove la plastica si sposa “come l’edera” ad altri materiali nei cosiddetti accoppiati, difficili da separare. E, a proposito di plastica, sempre più presente negli imballaggi, gli stessi Comuni non sanno dove vada a finire. In realtà, finisce in buona parte all’estero, in nazioni “compiacenti”, come la Turchia che, strangolata da tassi, inflazione e svalutazione a doppie cifre [VEDI], si è sobbarcata anche l’onere di tenere alla larga dall’UE schiere di migranti in sterminati campi profughi, dietro lauti indennizzi dall’UE. Del resto, anche il governo italiano sta cercando di spostare in Albania, a suon di milioni, parte del problema migranti. La pratica di spostare fuori confini fabbriche inquinanti e con manodopera a basso prezzo, ha preso l’aire con la globalizzazione, ora in declino; ma prosegue con la deviazione dei flussi migratori e dei materiali in esubero, quando non addirittura nocivi. [VEDI]

La tendopoli di Boyunyogun, in territorio turco, a ridosso della Siria. Una delle tante che la Turchia ospita, a caro prezzo, per evitare la migrazione dei profughi verso l’Europa. Circa “l’accoglienza” della plastica nelle discariche turche, vedi le immagini successive. Entrambi sono indici della risoluzione dei problemi spostandoli altrove.

C’è qualche indizio di efficaci provvedimenti a monte, oltre ai pochi a valle? La risposta è negativa: finché si sarà mercato per certi prodotti, ci sarà sempre qualcuno pronto a fabbricarli. Ad es., si parla tanto di popoli indigeni e di animali selvatici cacciati dalle loro terre, vuoi per il brutale avanzamento dell’uomo, vuoi per l’innalzamento del clima. Pensiamo all’Amazzonia, con i suoi roghi per farne pascoli per animali da allevamento, macellati per la fame di carne dei “bianchi”.
Quanto sin qui detto è solo un flash delle contraddizioni tra i proclami e la realtà fattuale, dopo decenni di discorsi green, che avevano avuto su di noi lo stesso effetto delle prediche medievali sui fedeli della domenica, suonando, a dispetto del dilagante pensiero scettico, come incrollabili certezze. Ma ecco profilarsi, ai massimi livelli, un uomo che progetta di frantumarle a partire dal 20 gennaio 2025: Donald Trump. Dopo decenni di trionfo dello scetticismo in tutti i campi, tranne in quello tecnologico, grazie alle sue prodigiose, tangibili conquiste, Trump osa dubitare, anzi negare la credenza nell’equivalenza tra riscaldamento climatico e attività umane, trasferendone le cause nel cosmo e attribuendo all’uomo una minima concausa. Negazionismo duro e puro.

A latere delle prodezze spaziali, qui sulla Terra vigono le più spudorate menzogne, come quella sul riciclo della plastica, che si continua a produrre, nonostante la sua difficile riciclabilità, che ne causa il massiccio trasporto in discariche, italiane ed estere, turche in particolare 

Solo una sparuta cerchia di scienziati è negazionista; e tra essi spiccano il prof Carlo Rubbia, Premio Nobel per la fisica, e Antonino Zichichi, insigne fisico nucleare, che confutano i modelli matematici alla base del “climazionismo”. [VEDI]
A questo punto, ciascuno di noi è chiamato a giudicare da che parte stia la verità. Il vero scettico, alla Pirrone, consiglierebbe di sospendere il giudizio. Ma il quesito è troppo importante per non cercare di scoprire chi sia nel giusto: c’è di mezzo la vita sulla Terra.
Intanto, l’uomo senza dubbi, il futuro presidente USA, entrerà come un elefante in un negozio di porcellana nell’amministrazione federale americana, progettando, anche grazie all’aiuto di Elon Musk e Robert Kennedy jr, un radicale sconvolgimento nella pletora di Agenzie federali, all’insegna del risparmio nella spesa pubblica, per fare ancor più spazio al privato, pur in una nazione dove il privato è sempre stato predominante. Lo shock che la sua squadra provocherà negli apparati pubblici sarà paragonabile a quella di Ronald Reagan (e della sua controparte britannica Margaret Thatcher, ma elevato alla n potenza). Se solo penso ai reiterati quanto vani proclami di abolizione dei nostri enti inutili e delle vetuste voci nelle accise!

Niente di nuovo sotto il sole: Donald Trump è una riedizione delle ricette di Ronald Reagan e Margareth Thatcher, nonostante la moltiplicazione e l’aggravarsi delle minacce ambientali susseguitesi dagli anni ’80. Una radicale controtendenza allora, come lo sarà il Donald Trump di oggi; sempre sotto il segno GOP

In campo ambientale, sarà messa in subordine, se non addirittura soppressa, l’EPA (Environmental Protection Agency), vista come parte di un paradigma volto a inibire l’uso di combustibili fossili, che invece faranno una trionfale rentrée sulla scena americana. Nella mente di Trump l’EPA è da intralcio a tutte le fabbriche a causa della cappa dei suoi parametri anti-inquinamento, giudicati troppo restrittivi; e, in base all’annosa dicotomia “inquinamento o disoccupazione”, sceglie senza titubanze l’inquinamento, come simbolo di libertà dell’apparato industriale. Insomma, una inversione a U, con l’indifferenza, fino al disprezzo, per i movimenti ambientalisti che ammoniscono dei guai di una politica lassista.
Siamo quindi di fronte ad un giro all’indietro della manovella temporale; come se quanto accaduto dal 1968 in poi non fosse mai accaduto. Un modo antiquato di vedere il progresso, con occhi quasi ottocenteschi. Ma attenzione: il programma di Trump è come una medaglia il cui rovescio positivo è la sua dichiarata lotta, da ostinato NO VAX, alle lobby di Big Pharma e al sistema alimentare americano, quanto mai malsano; [VEDI] nonché all’apparato militare e delle armi, che prospera sulle guerre.
Ma intanto brindano i petrolieri, che non troveranno più ostacoli nel piantare trivelle per terra e per mare, incluso il travagliato Mediterraneo. E petrolio significa energia e plastiche. [VEDI] Senza più ipocrisie: inquiniamo, ma è necessario per il business e l’occupazione.
Sarà interessante vedere come le idee di Trump riusciranno a convivere con quelle di Musk nel settore delle auto elettriche. Di certo, se non fosse per lui, finirebbero nel nulla, lasciando spazio ai soli motori termici. Del resto, non saprei come catalogarle, se davvero riduttrici dell’inquinamento o soltanto specchietti per le allodole, se guardiamo ai vari stadi della loro produzione, anziché limitarci all’assenza di fumi una volta in funzione.
In conclusione, stiamo per passare dall’ipocrisia del politically correct alla rude ammissione di voler sacrificare una natura già sofferente alle esigenze di un’industria pigliatutto dietro il paravento della riduzione della disoccupazione. Il tutto accompagnato dalla falcidia dei diritti civili sui quali s’era sin qui retta la sinistra democratica. Non così lontano dai vituperati modelli autocratici extra-occidentali.
*Sulla deriva dalla credenza nella verità assoluta al moderno scetticismo-relativismo ho già fatto mie riflessioni in precedenti articoli, tra cui [VEDI] e [VEDI]

Marco Giacinto Pellifroni     24 novembre 2024

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