Lo scandalo di un generale che pensa

In un Paese in cui il libero pensiero è fuorilegge

Stefano Zecchi

Penso che Stefano Zecchi sia un filosofo quanto io sono un astronauta e non gli assegno nemmeno titolo e ruolo di intellettuale, perché fino a prova contraria ogni essere umano è fornito di intelletto.  Per quel che ne so è stato un docente di estetica in una università del nord, una disciplina da annoverare fra le sorelle povere della filosofia e mi dicono che, con meno fortuna e meno competenza di Vittorio Sgarbi si sia occupato della bellezza.  Dei libri che ha pubblicato non ho letto un rigo come la generalità dei miei connazionali, con l’eccezione forse dei suoi studenti costretti a farlo, ma mi incuriosì un suo opuscolo sulla scuola regalato, se ricordo bene, col Giornale diversi anni fa. Vi trovai  osservazioni corrette benché ovvie e qualche sensata proposta sulla formazione tecnica e professionale.  Insomma, uno che dopo aver avuto il merito o la fortuna di approdare all’accademia è riuscito a sottrarsi all’anonimato senza che il suo nome sia legato a qualche particolare idea o dottrina, nemmeno – come il caso del suo collega e concittadino – presa in prestito oltr’Alpe.  Detto questo non ho niente contro di lui e le sue frequenti comparsate in Tv, dalle quali è uscito sostanzialmente indenne.  Poi però accade che a forza di essere considerato una mente pensante uno ci crede davvero e perde la trebisonda . Come è successo qualche sera fa nel salotto politico di rete Quattro quando, invitato a commentare le ragioni del presunto ostracismo riservato a Vannacci dai membri europei del gruppo di cui il generale (non ex, come pretendono i nostri giornalisti, che non sanno che gli ufficiali superiori mantengono il rango anche dopo la cessazione dal servizio attivo) fa parte, i Patrioti, ha letteralmente perso la testa esternando senza filtri un rancore che ha tutto il sapore dell’invidia. Invidia per la simpatia umana che riscuote, invidia la sicurezza e la baldanza fisica, ma soprattutto invidia per un successo editoriale che nemmeno mille Zecchi e tutta la paccottiglia che riempie i banconi delle librerie. riescono ad eguagliare.

Roberto Vannacci

Un vero uomo di studi e di pensiero avrebbe dovuto replicare allo stigma di omofobo appiccicato arbitrariamente a Vannacci sulla base di un’affermazione presente nel suo libro che recita “Cari omosessuali, fatevene una ragione, voi non siete normali”. Una semplice constatazione.  Non dice che gli omosessuali sono “anormali” ma che la loro inclinazione sessuale non è la norma, cosa di cui gli stessi omosessuali sono perfettamente convinti e di cui quelli più realizzati vanno fieri. Così come le persone che hanno gusti personali, le persone non influenzabili, le persone libere, le persone intelligenti non sono la norma, sono in misura maggiore o minore, in modi riservati o con compiaciuta ostentazione “diversi”.  Un artista “normale” è un ossimoro e la creatività comporta sempre una rottura rispetto alla norma,  il sale della terra è il ribelle, l’iconoclasta, chi non si alinea, chi non si identifica col gruppo, che poi è il gregge. Poi la diversità, dono degli dei, ognuno la declina a modo suo e in ambiti diversi e un uomo libero e spregiudicato non la soffre ma l’apprezza anche se non la condivide. Del resto il diverso non vuole fare scuola né aspira ad essere imitato, vive tranquillamente la propria diversità e se cercasse approvazione vorrebbe dire che ne avverte il peso e non gli appartiene pienamente. Semmai l’appunto che si dovrebbe muovere a Vannacci è quello di rivolgersi agli omosessuali come ad una categoria e, peggio ancora, di far credere che l’omosessuale aspiri alla normalità.

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A farla breve: la normalità non è un valore e un signore che è stato pagato per provvedere all’alta formazione dovrebbe saperlo.  Come dovrebbe sapere che nel rapporto fra normalità e diversità la società è esposta a due pericoli: quello della marginalizzazione del diverso e quello della sua imposizione.  La via d’uscita è semplice da teorizzare ma difficile da praticare: considerare i membri della società in astratto, privi di connotazione, né maschi. né femmine, né giovani né vecchi ma semplicemente cittadini, le cui peculiarità vanno respinte quanto più è possibile nel privato. Sullo Stato grava la responsabilità di garantire a tutti i diritti fondamentali:  la sicurezza, le cure (mi rifiuto di dire diritto alla salute, una sciocchezza perché  nessuno può garantirlo), la soddisfazione dei bisogni primari: vitto e alloggio. Il problema è che le cosiddette democrazie , mi riferisco soprattutto all’Italia, non si curano della sicurezza, non garantiscono le cure ospedaliere di base, lasciano all’iniziativa privata il sostegno alimentare e fanno del diritto a un allogggio una questione politica.

Ma Zecchi non entra nel merito delle convinzioni di Vannacci.  Se lo facesse dovrebbe confessare di essere d’accordo con lui, soprattutto per quanto riguarda la scuola. La sinistra, senza trovare opposizione, ha trasformato la scuola in un servizio sociale e spinge da decenni per abolizione della lezione ex cathedra, per la sostituzione del voto con umoristici giudizi, per lo svuotamento dei contenuti disciplinari, per la selezione dei docenti sulla basa di un pedagogismo d’accatto che invera l’espressione mutuata dal motto della Sapienza pisana: “Chi sa sa e chi non sa insegna”.  Vannacci ha fatto scandalo per aver detto un paio di cose che corrispondono alla organizzazione scolastica di tutta l’Europa:  le classi di livello e gli interventi mirati per gli alunni con difficoltà cognitive.  Cose che Zecchi sicuramente condivide ma in bocca a Vannacci non vanno più bene.

Ma a Zecchi, lo ripeto, le idee di Vannacci non interessano e lo lascia volentieri in pasto ai compagni che gli danno dell’omofobo, del misogino, del classista, del razzista.  Per lui – come per il compagno cachemire erre moscia che ha liquidato il generale con l’epiteto boomerang di c.- non ha alcuna importanza quello che Vannacci dice o scrive: quel che conta è che il personaggio fa schifo: non solo non gli piace ma gli risulta insopportabile per come parla, per come si atteggia e, in buona sostanza, per quello che è. Un atteggiamento emotivo e irrazionale – considerato che i due non si sono mai neppure incontrati – che stride col ruolo di uomo politico, di insegnante e di opinionista.  Accecato da una rabbia incontrollata è arrivato a dire che non è degno del ruolo che ha ricoperto perché nel suo tempo libero va a giro indossando una polo come un comune mortale. Un generale, secondo Zecchi, deve mantenere un certo decoro anche quando è in vacanza e non si può permettere un abbigliamento sportivo. Poi ci si sorprende dei musulmani che costringono le loro donne a fare i bagni di mare vestite .

Vannacci fa paura anche a destra

Ma perché ?  ho già detto dell’invidia per il successo editoriale. Non è solo questo;  quello che più disturba è l’irruzione della società civile nell’hortus conclusus della politica e la conseguente rottura degli schemi  e dei rituali che accomunano esponenti di tutti i partiti.  Vannacci è troppo diretto, dice quello che pensa, e non si è lasciato intimorire  dai guardiani  del politicamente corretto.  Una minaccia per la sinistra che ha completamente perso il contatto con la realtà, una minaccia per la destra che si è accreditata tradendo i suoi potenziali elettori, uno scandalo per intellettuali abituati a nascondersi nelle tenebre della chiacchiera e del nulla concettuale, profondamente immersi nel sonno della ragione e terrorizzati come vampiri dalla luce del buonsenso.

Pierfranco Lisorini

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