L’implosione politica e ideale del regime e…
L’implosione politica e ideale del regime
e il terrore dei privilegiati
Il cattivo servizio reso alla sinistra dai cosiddetti intellettuali |
L’implosione politica e ideale del regime e il terrore dei privilegiati Il cattivo servizio reso alla sinistra dai cosiddetti intellettuali
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Il mezzo è il messaggio” affermava McLuhan, che intitolò così la sua opera maggiore. Voleva significare che quando si trasmette un messaggio il mezzo di cui ci si serve retroagisce sul messaggio stesso conferendogli un significato in ragione delle proprie caratteristiche. Lo studioso americano non faceva altro che trasferire nella teoria della comunicazione un’ovvietà fisica: quando un’idea si realizza deve assoggettarsi alle leggi della materia con la quale viene realizzata e che ne è, detto aristotelicamente, “informata”, come accade con le venature del marmo sotto lo scalpello dello scultore. Trasferiamo ora questo stesso principio nella politica. Il Pci (poi Pds, Ds, Pd) come mezzo per imporre la sua egemonia politica e culturale si è costantemente servito dei cosiddetti “intellettuali”, scrittori, accademici, gente di spettacolo, che una volta venivano indicati come gli “utili idioti”. Questa loro funzione ha avuto due effetti: sulla selezione che fa assurgere al ruolo di intellettuale e sulla qualità dell’intellettuale stesso. La quale si è col tempo immiserita, illanguidita, involgarita, degradando sempre più verso una banalità dolciastra e stucchevole in perfetta osmosi con l’ipocrisia e il buonismo clericali e il conformismo della politicalcorrecteness. L’ideologia della sinistra si è svuotata completamente della tradizione marxista, discutibile quanto si vuole ma degna di rispetto, ha rimosso ogni traccia delle lotte nelle fabbriche e nelle campagne, si è trasferita nei salotti e negli attici dei benpensanti fino al punto che il cortocircuito fra committente e appaltatore ha fatto perdere al Pd e ai suoi satelliti il rapporto con la realtà e gli elettori. Una cosa della quale non c’è per altro da dolersi, considerato che per oltre un secolo il comunismo e la sinistra tutta sono stati nei fatti una colossale truffa ai danni del popolo che dicevano di rappresentare. L’autorità per gli Antichi era una cosa seria. In campo politico era un’investitura etica che gravava chi ne era oggetto di una speciale responsabilità, comportava la rinuncia alla partigianeria e all’interesse personale e l’assunzione di una sorta di sacerdozio volto alla difesa della cosa pubblica e alla tutela del bene comune. In campo artistico e letterario sollevava l’artista e lo scrittore oltre la dimensione propria dello svago o del godimento estetico con l’attribuzione di una sapienza assoluta e universale negata ai contemporanei, tenuti a rimanere nel solco tracciato dagli Autori. Ed era questo il legame fortissimo che legava alla memoria, alquod traditum, aimaiores, alla tradizione. Che si trattasse di una questione morale, di un dubbio linguistico o di un nodo giuridico, si invocava come formula risolutiva un verso di Omero, una sentenza di Ennio o un aneddoto riconducibile a Catone. Scrittori, storici o poeti contemporanei non godevano mai di questo prestigio e di una tale autorevolezza. Nessuno li avrebbe mai citati a sostegno delle proprie tesi o chiamati in causa per dirimere una questione. Virgilio, in vita, era solo un cortigiano: il tempo impose la grandezza della sua opera e ne fece, al pari dei grandi che l’avevano preceduto, un Autore, e tale rimase per tutto il medio evo, depositario della summadella sapienza umana e incarnazione della ragione. Con la stessa devozione capita a noi che ci si rivolga a Dante trovando nei suoi versi un messaggio che sfida il tempo e lo spazio, finché il sole risplenderà su le sciagure umane. Ma quale autorità possiamo riconoscere ai Saviano, ai Volo, ai Corona, ai tanti di cui faccio fatica a ricordare il nome, compreso un imbarazzante Pansa che non riesce a vivere proficuamente l’ultima stagione della vita, e dei quali nemmeno sotto tortura leggerei una pagina, che si pretende di imporre nelle trasmissioni televisive e sulla carta stampata come maîtres à penser, come dispensatori di verità e di pillole di saggezza. La loro opinione non conta nulla, eppure ci vengono propinati come se godessero di una qualche Autorità, al pari degli Autori veri dei quali si continuano a citare versi e sentenze. Ci sono personaggi oggettivamente molto popolari, cantanti, giocatori di calcio, attori cinematografici, dei quali per puro gossip si può essere incuriositi di sapere cosa pensano del governo, della Lega o del futuro (breve) del Pd. La stessa curiosità che si rivolge in modi più insistiti alla loro vita privata e alle loro vicende sentimentali. Ma di quegli scribacchini grigi e sgradevoli non importa niente a nessuno, semplicemente perché loro per “la ggente” – come dicono i compagni – non sono nessuno, nessuno li conosce e nessuno avverte il bisogno di conoscerli. Il Pd e la sinistra si sono messi nelle loro mani, nelle loro povere teste, nel loro simulacro di pensiero, col risultato di perdere quel bagaglio di storia, di cultura e di richiami che ne avevano segnato il cammino e la ragion d’essere. Ora il “quarto stato” non sono più gli operai ma gli africani; la giustizia sociale ha come soggetto gli stranieri, la Costituzione “più bella del mondo” è stata scritta per i migranti, il cuore batte nel terzo mondo, l’italiano che lavora è tenuto evangelicamente a togliersi il mantello per darlo a chi è più sfortunato di lui, non esistono popoli ma c’è un unico popolo, non esistono maschi e femmine ma persone che decidono autonomamente da che parte stare in camera da letto, la più grande conquista è quella di farsi ammazzare se non servi più e sei solo un peso, la genitorialità è un fatto culturale. Una miscela di banalità, un misto di sagrestia e di supponenza salottiera, un distillato del peggio del sessantotto, del femminismo, dell’ecumenismo religioso, del terzomondismo con la benedizione dei nuovi padroni del vapore, interni e soprattutto esterni. Di questa miscela è colmo il turibolo fatto oscillare sulla testa del popolo della sinistra dai suoi scalcagnati officianti e quel popolo per non esserne intossicato se l’è battuta rifugiandosi in ambienti più salubri. Intendiamoci: come nel passato ai dirigenti comunisti apicali e minimali degli operai o dei contadini non gli interessava altro che il voto, sul quale poggiavano il loro potere e il loro reddito, allo stesso modo i sepolcri imbiancati della sinistra attuale, i ras del partito e gli intellettuali che ora dettano la linea – si fa per dire – personalmente non sono nemmeno sfiorati dal buonismo che professano e dei migranti, dei diritti, delle adozioni o delle unioni civili non importa loro assolutamente niente e se si parla di eutanasia fanno le corna; sotto questo aspetto si può tranquillamente riconoscere che niente è cambiato. È cambiato il messaggio, anche perché quello vecchio non poteva più reggere il confronto con l’evidenza. Ma quello nuovo è solo una burletta, una penosa e irritante burletta. Io non sono un uomo di fede, tanto meno sono disposto ad affidarmi ciecamente ad un mio simile. Ho creduto in un governo gialloverde quando pareva un’ipotesi assurda, rimango convinto che sia la migliore soluzione per il Paese e che sia coerente col voto degli italiani, sono pronto a scommettere che durerà per tutta la legislatura e mi appare evidente che di quella che è oggi la sinistra resterà solo un brutto ricordo. Però mi aspetterei da Salvini meno proclami e più risultati, meno dichiarazioni di intenti e più fatti, a cominciare da una pulizia radicale nelle prefetture, nelle questure e in tutte le stanze in cui si prendono decisioni sulla nostra pelle. Non nascondo che sulle questioni fiscali gli economisti della Lega menano il can per l’aia, so benissimo che il problema vero non sono le pensioni d’oro a d’argento ma gli stipendi pubblici, che non bisogna confondere quel che succede fra i privati e quello che è a carico dei contribuenti, sono esterrefatto per la non-politica scolastica e potrei continuare. E dico della Lega, alla quale mi sento più vicino. Quanto ai Cinquestelle, se è vero che si vede nel piccolo quel che succede nel grande, mi guardo d’intorno c’è da rabbrividire per l’insipienza, l’incompetenza, l’incapacità di affrontare il cambiamento degli amministratori pentastellati. Ma quando sento il livore dei compagni, le gufate di Sallusti, l’apprensione della Gruber, le farneticazioni di Pansa, che vede alle porte un golpe militare per salvare l’Italia dal governo gialloverde, il delirio di Sgarbi, la disperazione di quanti temono di perdere grandi o piccoli privilegi, grandi o piccole porzioni di potere, allora i miei dubbi si dissolvono d’incanto e mi rinforzo nell’idea che questo governo segna per davvero una frattura col passato, che i dioscuri ispirati dai lari che vegliano sulla Patria ci porteranno fuori dal pantano in cui ci ha lasciato la sinistra bifronte che ha recitato due parti in commedia e, senza squilli di tromba, senza proclami altisonanti, senza simboli e monumenti di cartapesta, potranno restituire al nostro popolo il posto che gli compete nel mondo. Post scriptum Ho insistito sull’autore del Sangue dei vinti perché le sue affermazioni durante la trasmissione condotta dalla Gruber sulla Sette la sera del 18 settembre le ho sentite con le mie orecchie; mi fossero state riportate non ci avrei creduto. Ma la cosa più incredibile è che la conduttrice non ha fatto una piega e l’altro ospite della trasmissione, un giornalista, annuiva pensoso. Roba da matti. Pier Franco Lisorini è un docente di filosofia in pensione |