Liguria: l’ultimo ricatto del bischero
Matteo Renzi, il grande biscazziero della politica italiana, si aggira ancora per la scena come un vecchio giocatore d’azzardo che non riesce a lasciare il tavolo, anche quando le fiches sono finite da un pezzo. Un tempo, era l’architetto degli intrighi di palazzo, capace di far saltare governi e ridefinire alleanze con una scrollata di spalle. Ma oggi, ridotto a guidare un partitello irrilevante, Renzi si trova ai margini della politica nazionale, ignorato e inascoltato, mentre il suo ego resta intatto, alla disperata ricerca di una partita da giocare. Come un lupo che ha perso il pelo ma non il vizio, non riesce a darsi pace, e così decide di spostare i suoi giochetti su scala regionale. La Liguria diventa il nuovo terreno di battaglia per l’ex enfant prodige, che ancora non ha capito che fuori dalla sua Toscana il vento soffia in modo diverso. Qui, il rischio è che stavolta le penne le perda davvero.
Renzi, nel corso della sua parabola discendente, ha saputo costruirsi attorno un vero e proprio “cerchio magico” fatto di nani e ballerine, un esercito di yesman pronti a dire sempre di sì. Gente che non osa contraddirlo, e che condivide con lui quella compulsiva inclinazione a gestire la politica come un intrigo da salotto, lontano dalle reali necessità del Paese. È in questo contesto che nasce l’ultima manovra del bischero: la ritirata strategica in Liguria. Un colpo di scena inaspettato? Forse, ma solo fino a un certo punto. La politica italiana, del resto, ci ha abituato a un livello di fluidità che rende ogni mossa al contempo sorprendente e prevedibile.
Raffaella Paita, la coordinatrice ligure di Italia Viva, esce di scena con una nota che sa di commedia ben orchestrata: “Abbiamo offerto la massima disponibilità e lavorato con generosità per costruire anche in Liguria un centrosinistra credibile e riformista.” Parole che suonano come l’ennesima autodifesa del circolo renziano, sempre pronti a lanciare la colpa su qualcun altro quando il piano non va come previsto. Paita racconta di aver accettato di non presentare il simbolo del partito e di essere confluiti, con ammirevole sacrificio, nella lista ‘Riformisti uniti per la Liguria’, insieme a +Europa e Socialisti. Ma, ovviamente, tutto ciò non è bastato.
Cosa ha fatto saltare il piano? Uno scontro di potere che si consuma, questa volta, sui vertici Rai. Il Movimento 5 Stelle, ormai padrone di quel che resta del “campo largo”, ha imposto il veto finale. Renzi e il suo manipolo di “riformisti” sono stati messi alla porta. Andrea Orlando, il candidato dem, lancia disperati appelli all’unità, mentre dietro le quinte si cerca di ricucire gli strappi. Ma è chiaro che il gioco del bischero non regge più: i documenti erano stati depositati, gli accordi fatti, eppure la miccia accesa dalle nomine Rai è esplosa in faccia al fragile centrosinistra.
Per Matteo Renzi, che sogna ancora di essere il grande manovratore, la verità è amara. Il suo peso politico, un tempo ingombrante, si è ridotto a un gioco di carte con pochissimi spettatori, e perfino quelli stanno iniziando a perdere interesse. Il bischero ha tentato di orchestrare l’ennesima mossa a sorpresa, ma non ha capito che i tempi sono cambiati. Il bluff è stato scoperto, e non è rimasto nessuno disposto a coprirlo.
Forse, per Renzi, l’unica opzione sensata sarebbe davvero quella di tornare a “far l’amore” con Carlo Calenda. È stata una relazione difficile, segnata da litigi e incomprensioni, ma almeno insieme qualcosa contavano. Avevano un progetto, o perlomeno la parvenza di un progetto: ricostruire un Centro politico che sembrava poter avere una chance. Certo, un progetto perennemente appeso a un filo, ma infinitamente più dignitoso del mendicare un piatto di lenticchie nelle stanze di partiti in cui non si è più benvenuti. Renzi e Calenda, con tutti i loro difetti, avevano una visione comune che li rendeva qualcosa di più della somma delle loro parti. Ma adesso, separati, vagano per la politica italiana come due naufraghi alla deriva, incapaci di trovare una rotta.
Renzi, che non accetta di essere relegato a una nota a piè di pagina nella storia politica del Paese, continua a cercare il suo momento di gloria. Ma questa volta, in Liguria, potrebbe scoprire che il tavolo del gioco è stato capovolto. E che, per la prima volta, il suo solito gioco di ricatti e bluff non funziona più.