Libro del mese

IN RICORDO DI JEAN CLAUDE IZZO
 GRANDE ROMANZIERE
IL LIBRO DEL MESE: MARINAI PERDUTI

IN RICORDO DI JEAN CLAUDE IZZO, GRANDE ROMANZIERE

IL LIBRO DEL MESE: MARINAI PERDUTI

Il 2010 volge oramai al termine e all’improvviso m’accorgo d’aver ignominiosamente trascurato per l’intero anno il decennale della scomparsa di Jean Claude Izzo. Voglio rimediare, purtroppo assai tardivamente, questo mese, a tempo quasi scaduto, perché Izzo è stato un grande scrittore che avrebbe ancora potuto darci molto e non merita di essere dimenticato.

Izzo nacque nel 1945 a Marsiglia da madre francese e padre italiano originario di castel San Giorgio in provincia di Salerno. Frequentò una scuola professionale e, divenuto adulto, visse di mille lavori, spesso legati ai libri, e si dedicò al giornalismo.

Nella prima parte della sua carriera letteraria si dedicò prevalentemente alla poesia, pubblicando una serie di opere rimaste tutte, credo, inedite in Italia, come è d’altronde logico visto che, chissà perché, dalle nostre parti quasi chiunque prima o poi si diletta a poetare pur ignorando la metrica ma praticamente nessuno legge le poesie altrui.

Cominciò invece a rivolgersi alla narrativa solo a partire dal 1993, facendo in tempo, prima di morire per un cancro al polmone nel 2000, a scrivere 5 romanzi più una manciata di racconti, tutti pubblicati in Italia dalla editrice e/o. E chissà quanti altri scritti di valore avrebbe potuto regalarci se la falce dei cieli non lo avesse così prematuramente ghermito.

Il suo primo romanzo è “Casino totale”(tit. or.: Total Khéops), pubblicato in Francia nel 1995 e in Italia nel 1998, appunto dalla romana e/o. Casino Totale è un poliziesco e fu immediatamente baciato dal successo. Il protagonista è Fabio Montale, poliziotto attivo a Marsiglia e, come si evince dal nome, italo francese come Jean Claude. Lo spunto del plot narrativo è l’uccisione dell’amico d’infanzia Manu e il conseguente ritorno a Marsiglia, dopo moltissimi anni di assenza, di Ugo, l’altro vecchio amico di Montale.

“…Fabio era uno sbirro. Significava mettere una croce sul loro passato, sulla loro amicizia. Eppure, avrebbe desiderato rivederlo, Fabio.

 

“Più tardi. Forse. Com’è?”

“lo stesso. Come noi. Come te, come Manu. Un fallito. Non abbiamo saputo far niente delle nostre vite. Dunque, poliziotto, o ladro…”

“Gli volevi bene, è vero.”

“Gli voglio bene, sì.”

Una stretta al cuore…

Sono cresciuti insieme quei tre, hanno fatto i primi sogni insieme e sono stati legati alla stessa donna, Lola, prima d’intraprendere percorsi diversi. Ugo ora è giunto per consumare la vendetta.

La pistola, un regalo di Manu per i suoi vent’anni. A quell’epoca Manu era ormai fuori di testa. Non se n’era mai separato ma neppure l’aveva mai usata. Non si uccide come niente. Anche se minacciati. E, a volte, era successo, qui o là. C’era sempre un’altra soluzione. Sicuramente. Ed era ancora vivo. Ma oggi ne aveva bisogno. Per uccidere.

Ma nella violenta città portuale mediterranea Ugo trova presto la morte.

Giunge così il tempo per Fabio Montale di prendere in mano l’indagine tuffandosi inoltre nel passato e nei ricordi, belli e brutti. Perché è un romanzo intriso di malinconia, Casino Totale, non semplicemente imbottito d’azione. Come già si evince dal breve passaggio su riportato per primo, esso è pieno di spleen. E avete notato il suo stile? Frasi brevi, essenziali, che donano atmosfera. È uno splendido romanzo, riuscito, in grado di raccontare una città e la sua gente con classe e intelligenza. Non di semplice poliziesco trattasi, dunque.

Come già detto, Casino totale gode di un immediato successo e, inevitabile, arriva una seconda puntata, anch’essa di buona fattura, “Chourmo. Il cuore di Marsiglia”. (Chourmo – 1996). Nel frattempo, come ci spiega la quarta di copertina, Fabio Montale ha lasciato la polizia e cerca di vivere seguendo il vecchio ritmo del mare, andando a pesca, frequentando il bar con gli amici, sorseggiando un vino rosato e gustando la cucina provenzale. Ma a costringerlo a indagare giunge inesorabile un nuovo crimine. Stavolta la vittima è un suo cugino ancora adolescente e misteriosamente scomparso, la cui unica colpa è di essersi innamorato.

Questi non ha voluto rinunciare alla ragazza amata nonostante gli eccessivi divieti materni che, anzi, lo hanno spinto ad agire di propria iniziativa e di nascosto, ficcandosi in un luogo in cui la sua presenza non era stata prevista e per questo ad assistere a un qualcosa che non avrebbe dovuto vedere. 

 

“…Da quel giorno non si sono più lasciati.”

“È normale alla sua età.”

“Sì. Ma ha solo sedici anni e mezzo. E lei diciotto, capisci.”

“beh, dev’essere un bel ragazzino il tuo Guitou” dissi scherzando.

Di nuvo nessun sorriso. E non si rilassava. Era angosciata.

 

E così, attraverso le serrate indagini di Montale, Izzo continua a farci conoscere Marsiglia con i suoi sapori ma anche con i suoi problemi: la malavita, per lo più di derivazione mafiosa, e l’immigrazione dall’Islam, che porta con sé razzismo e fanatismo a rendere più difficile, l’uno e l’altro, l’integrazione. Tutto ciò, come peraltro già il testo precedente, arricchito da sapori culinari e musicali e intriso fino al midollo di italianità.

Segue poi, nel 1998 (in Italia nel 2000), un terzo romanzo a completare il ciclo di Montale, “Solea” (Solea). L’ultimo perché, nonostante le richieste dell’editore, l’autore è ben deciso a interrompere la serie. Decisione saggia, essendo l’ispirazione in calo e questo terzo romanzo assai meno convincente degli altri. Risulta, infatti, confuso, eccessivo, sbilenco, primo e per fortuna ultimo suo lavoro narrativo mal riuscito. A parere di chi scrive e restando in tema d’italianità, l’unico vero merito di Solea è l’aver contribuito a diffondere almeno un poco il nome del nostro Gianmaria Testa, grande e misconosciuto cantautore, a suo tempo talmente ignorato da noi che per riuscire a pubblicare i propri dischi dovette rivolgersi a un’etichetta francese, ma stimato da Jean Claude e presente nel romanzo con i suoi testi in lingua originale:

Un po’ di là dal mare c’è una terra sincera

come gli occhi di tuo figlio quando ride”.

Basta dunque con il noir, è giunto il tempo di intraprendere nuovi percorsi.

Frattanto è però apparso in volume “Vivere stanca” (Vivre fatigue), stringata antologia di racconti, pochi, appena sette, precedentemente apparsi su rivista o su opere collettive. E anche in questo caso il risultato è ampiamente positivo. Si tratta di brevi fuggevoli bozzetti, storie di vita, amore, dolore e morte, che lasciano il segno. Dolore di vivere, soprattutto, ammantato di un pessimismo cosmico. Perché, anche le rare volte in cui le storie non finiscono male, tutti i personaggi che vi appaiono sono condannati a soffrire, sempre. Anche per scelta.

“…Ogni essere umano aveva in sé una parte di felicità e una parte d’infelicità. E che, in genere, la maggior parte si crogiolava nell’infelicità…”

– E altrove –“ È che vivere…” disse piano, come se continuasse a pensare. Vivere stanca. Non credi? (…) “Hai ragione” balbettò in un singhiozzo. “Vivere stanca.”

Si portò l’’automatica alla tempia. E sparò. Questa volta il dito non le tremò.

 Esso è pure libro ricco di profonde verità dove, come scrive nell’introduzione Izzo, benché si narri di “storie immaginarie (…) I luoghi sono invece reali e anche il disgusto che a volte ispira la vita” e ciò fino all’ultimo episodio, in cui è Fabio Montale a tornare protagonista.

E finalmente nel 1999 esce “Il sole dei morenti” (Le soleil des mourants) magnifico e tristissimo romanzo, che narra la storia di un barbone e reietto, ammalatosi per gli stenti nella bella eppur crudele Parigi, privato dell’amico a sua volta clochard, ucciso dall’inclemenza del clima invernale e dall’indifferenza del prossimo, “Jean Louis Lebrun, morto a 45 anni sul marciapiede del metrò di Menilmontant venerdì 17 gennaio tra le 10 e le 11 di sera, è stato ritrovato solo il pomeriggio del giorno dopo. Centinaia di parigini gli sono passati accanto senza notarlo” e perciò desideroso di rivedere il caldo sole del mediterraneo prima di morire. Qui Izzo ci accompagna con sentimento dapprima nelle sue disperate disavventure parigine di uomo affamato alle prese con l’indifferenza umana e poi nel suo viaggio della speranza verso il sud.

Ho saltato però uno dei suoi romanzi, terzo in ordine di pubblicazione originale, uscito in Francia nel 1997, quindi prima di Solea. Ma non è una dimenticanza, l’ho saltato perché, nella personale convinzione che si tratti del suo capolavoro, oltre che di uno dei miei libri preferiti in assoluto, esso sarà tema della mia rubrica mensile, di cui non mi ero affatto scordato. Ecco a voi, dunque:

IL LIBRO DEL MESE. MARINAI PERDUTI

 

Marinai perduti (Les marins perdus) di quel grand’uomo che è stato Jean Claude Izzo.

La trama prende spunto da una situazione tanto diffusa quanto poco nota al pubblico, una nave mercantile, l’Aldebaran, bloccata sine die nel porto di Marsiglia per un qualche casino combinato dall’armatore. Come precisa Izzo in una postilla al termine del libro:

È stata completamente immaginata dall’autore (…) Rimane però la realtà. Il dramma sempre più frequente vissuto da tanti marinai in tanti porti francesi. Da Marsiglia a Rouen, numerosi cargo sono ancora oggi bloccati. Gli equipaggi, spesso stranieri, vivono a bordo in condizioni difficilissime, nonostante un’immancabile solidarietà. Ci tenevo qui a rendere omaggio al loro coraggio e alla loro pazienza.

In questo caso i marinai sono riusciti a concordare un’ultima paga a forfè e se ne sono andati, ma Abdul, capitano libanese, Diamantis, secondo di bordo greco e Nadim, membro dell’equipaggio turco, sono bloccati a bordo, ciascuno per i propri motivi o forse anche senza un vero motivo:

… Avremmo potuto tagliare la corda. Tu avrai di sicuro una spiegazione da darmi. Anch’io ne ho una. Sincera. La verità del momento. Ma, in effetti, lo sappiamo benissimo tutti e due che ci prendiamo solo in giro. Tutte storie. È tutto falso. Perché in fondo non sopportiamo niente che ci separi dal mare. Essere su una nave è comunque meno peggio che essere disoccupati. La verità è che non vogliamo tornare a casa.”

 

“O che non possiamo.” Replicò Abdul.

Insieme a loro tre, alla nave e alla città cosmopolita con il suo porto, le sue attività, i suoi vicoli e i suoi localacci, anche il Mediterraneo è protagonista di questo romanzo, è il Mediterraneo a permeare le pagine del libro, con le sue storie, i suoi intrighi, il suo fascino ma anche le sue brutture o meglio, le brutture dell’umanità che vi naviga in superficie:

“…un giovane mozzo di vent’anni, Lucio. Era il suo primo lavoro. Era terrorizzato e si era ritrovato in acqua. Il vento aveva spinto le scialuppe nella direzione opposta e nessuno era riuscito a ripescarlo. La stessa compagnia di assicurazioni aveva dato l’aut aut ad Abdul Aziz. Gli bastava sostenere la testimonianza del capitano sul naufragio del Cygnus. Avrebbe intascato un bell’indennizzo e un avanzamento di carriera. Indennizzi ce n’erano anche per i membri dell’equipaggio. Alcuni – lo scoprì dopo – erano già al loro terzo naufragio.” quipaggio. per i membri dell’ carriera. Indennizzi ce n’aufragio del Cygnus.one opposta e nessuno era riuscito a ripescarlo.

E poi ci sono i ricordi, il passato di cui i personaggi sono in cerca e magari a volte torna a galla insieme con le donne che hanno attraversato le loro vite e non sono mai state dimenticate, donne che si vorrebbero ritrovare o non si vorrebbero più perdere.

Probabilmente chi ama l’azione incalzante qui resterà deluso. La storia, infatti, si dipana con ritmo lento, filosofeggiante e meditativo. Essa tuttavia sa affascinare il lettore come poche altre. Ignorando per quanto tempo saranno costretti a restare bloccati a Marsiglia, legati alla cattività del bastimento a bordo del quale almeno uno dei tre deve sempre trovarsi presente, i lupi di mare possono dedicare le giornate alle proprie ricerche interiori ed esteriori, alla risoluzione dei problemi, a discorrere e a meditare e anche all’amore, naturalmente, perché vivere significa anche amare e perché, come scrive l’autore, “è una disgrazia non amare”.

E poi, avvicinandosi alla conclusione, all’improvviso gli eventi cominciano a precipitare, susseguendosi tanto inattesi quanto inevitabili. Quando il lettore ormai non se l’aspetta più, l’azione prende sul serio a farsi incalzante e c’è allora spazio anche per la tragedia e la morte, pronte l’una e l’altra a trasformare il racconto in un vero e proprio noir.

“Marinai perduti” è, insomma, un romanzo davvero completo ed equilibrato al punto giusto, ricco di carne al fuoco eppure privo di eccessi e senza una sola pagina di troppo, un libro convincente al cento per cento, assolutamente da non perdere. Ribadisco: capolavoro.

Massimo Bianco.

 

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