Libertà va cercando ch’è sì cara (Prima parte)

LIBERTA’ VA CERCANDO CH’E’ SI’ CARA (Prima parte)

LIBERTA’ VA CERCANDO CH’E’ SI’ CARA
(Prima parte)

 Siamo sicuri di sapere che cosa significa essere veramente liberi? Intanto liberi da qualcosa o per qualcosa? Liberi da o liberi di o liberi per? Un prigioniero, o uno schiavo liberato, è finalmente libero dalle proprie catene, ma poi? Voglio dire, una volta liberato che uso farà della ritrovata o mai conosciuta libertà?


Che senso avrebbe essere liberi per niente? E che differenza intercorre tra l’essere liberi e l’ essere liberati? Non è la stessa cosa, infatti, liberarsi da soli ed essere liberati da qualcuno (ammesso che qualcuno ci possa liberare). Gli schiavi incatenati in fondo alla caverna nella famosa allegoria platonica non vogliono essere liberati e anzi uccidono chi ha aperto i loro occhi ottenebrati (allusione alla condanna a morte di Socrate, perché con la sua maieutica e la sua ironia metteva a nudo le ipocrisie, le manipolazioni e gli ingannevoli discorsi  dei potenti). La libertà è un peso insopportabile per la maggioranza degli uomini che, non per niente, preferiscono le tenebre alla luce, come è scritto all’inizio del Quarto Vangelo. Se la libertà non fosse un peso, Jean Paul Sartre non direbbe che siamo condannati a essere liberi. E ancora: si nasce liberi, come sostiene Jean Jacques Rousseau o si diventa liberi, come pensa Immanuel Kant?


In altri termini: la libertà è un dono o una conquista? Certo è che un neonato tanto libero non è: può solo piangere, poppare e dormire nella sua culla, accudito dalla madre e dai parenti, e sotto questo aspetto è simile a un animale. Ma una volta cresciuto e arrivato alla cosiddetta età della ragione, la sua libertà fin dove può giungere? Io posso fare tutto quello che voglio o posso esercitare il mio libero arbitrio solo entro determinati limiti? A questo punto la domanda è: in che cosa consistono e da dove provengono questi limiti insuperabili? Semplice (si fa per dire): dalla necessità. Si possono infatti trasgredire tutti i limiti posti dalla legge positiva o dalla morale o dalla religione o dal codice della strada o dal regolamento delle giovani marmotte, ma non quelli posti dalla necessità: di fronte alla necessità dobbiamo arrenderci (“non può nascere l’aquila dal topo”, ha scritto un poeta italiano del Novecento).  Ma cosa dobbiamo intendere con il termine necessità? Anzitutto occorre distinguere tra necessità naturale e necessità logica; nel primo caso ci si riferisce alle leggi iscritte nella natura: è evidente che un uomo, essendo fornito di polmoni e non di branchie, non può respirare sott’acqua (ovviamente senza l’attrezzatura da sub ), così come un pesce non può respirare fuori dall’acqua né un gatto abbaiare come un cane o un asino correre come un cavallo; prima di tutto ogni essere vivente nasce, cresce e infine muore secondo il codice genetico della specie a cui appartiene.


Questi sono  limiti posti dalla natura che nessuno si sogna di superare se non nella fantascienza (benché non manchi chi continua a cercare l’elisir di lunga vita). La necessità logica  invece riguarda le  proposizioni riconosciute universalmente come vere; una proposizione come “Per morire è necessario essere vivi” è vera in questo come in qualsiasi altro mondo e in qualsiasi altro tempo. La logica che si occupa degli enunciati relativi alla necessità o alla possibilità si chiama modale. Rientrano nella logica modale anche enunciati relativi all’etica, quindi a quello che è bene fare o non fare. E qui si tocca un’altra questione antica, cioè quella della relazione tra etica e logica. Atteso che senza libertà gli umani non sarebbero responsabili di quello che fanno o non fanno, nel senso che se tutto fosse già scritto prima ancora della nostra nascita, peccati compresi, che colpa avremmo noi per averli commessi? Il sofista Gorgia nel suo Encomio di Elena  sostiene la tesi dell’innocenza della bellissima donna corteggiata da molti e rapita dal troiano Paride al marito Menelao, onde la guerra decennale tra Achei e Troiani. Ebbene, secondo la tesi di Gorgia, Elena è incolpevole perché vittima delle circostanze, delle passioni umane e del volere degli dei.


Agostino d’Ippona

Per Socrate, invece, gli uomini compiono il male solo per ignoranza del vero bene: le loro colpe derivano da ragionamenti sbagliati, da qui  la funzione decisiva della logica anche riguardo a una vita  vissuta degnamente, e solo una vita degnamente vissuta, cioè virtuosa, può considerarsi veramente libera; quindi, per Socrate (e per il suo discepolo Platone), è la conoscenza a renderci liberi, mentre l’ignoranza ci rende schiavi. Nella visione cristiana la questione della libertà concerne più la volontà che l’intelletto; ma, come sappiamo e sperimentiamo quotidianamente, la nostra volontà può arrivare fino a un certo punto e non oltre, a causa del peccato originale e del peso della “carne”; ragione per cui l’uomo, per liberarsi di questo peso, ha bisogno di un aiuto sovrannaturale, questo aiuto si chiama “grazia”. Per Agostino d’Ippona la grazia è necessaria alla salvezza dell’uomo peccatore il quale, da parte sua, essendo dotato di libero arbitrio, può corrispondere o meno a questo dono gratuito di Dio, anche perché, se fosse obbligato a rispondere solo di sì e a credere nella Parola di Dio, non sarebbe più libero, e, se viene meno la libertà, viene meno anche la colpa, con tanti saluti alla responsabilità e, di conseguenza,  al premio e al castigo eterno. La questione della libertà umana si è poi ulteriormente complicata in seguito al determinismo che caratterizzò la rivoluzione scientifica e la secolarizzazione: se ogni fenomeno, ogni accadimento è determinato dalle leggi universali della natura, come si fa a credere che solo la  volontà degli uomini sia libera da condizionamenti interni ed esterni? Già gli stoici negavano la libertà, per l’uomo, di sottrarsi alla legge universale del Logos che governa il cosmo: Ducunt volentem fata, nolentem trahunt (è un verso dello stoico Cleante citato da Seneca in una delle sue Lettere a Lucilio). Così pensano anche Hobbes e Spinoza:  per Hobbes l’uomo non rappresenta un’eccezione nella grande catena degli esseri che compongono la macchina dell’universo ma è anch’esso un elemento dell’ingranaggio, della concatenazione di cause ed effetti in cui consiste la natura; per cui  la sua libertà è solo apparente in quanto  condizionata da cause indipendenti dalla sua volontà. (Continua)
  FULVIO SGUERSO 

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