Libertà e responsabilità (prima parte)
LIBERTA’ E RESPONSABILITA’
(Parte prima)
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LIBERTA’ E RESPONSABILITA’ (Parte prima) |
In questo tempo di pandemia e di conseguente crisi economica, politica e sociale, queste due parole ricorrono nei discorsi quotidiani ovunque si incontrino due persone, ovviamente a distanza di sicurezza, nei media, nei Palazzi del Potere, e naturalmente tra i nostri maitre à penser come Massimo Cacciari, Umberto Galimberti, Massimo Recalcati, Gianfranco Pasquino, Gianrico Carofiglio et alii con una frequenza impensabile anche solo un anno fa, prima che ci colpisse la prima ondata di contagi e di infezioni da covit-19.
Come succede, a quanto leggiamo sui quotidiani – giornalini, giornalacci o giornaloni che siano – nei Paesi liberaldemocratici, Italia compresa, la popolazione messa sotto stress dalle misure di contenimento del contagio adottate dai vari governi – merito o colpa soprattutto dei media, – ha politicizzato anche l’emergenza sanitaria: a destra, paradossalmente, invocano la libertà mentre a sinistra fanno appello al senso di responsabilità di ognuno. Eppure basterebbe riflettere solo un momento su questi due concetti per rendersi conto che l’uno non può stare senza l’altro: che cosa sarebbe, infatti, la libertà senza la responsabilità, e potremmo pensare la responsabilità senza la libertà? Una libertà irresponsabile sarebbe solo distruttiva, una guerra di tutti contro tutti, e una responsabilità senza libertà non sarebbe nemmeno concepibile, dato che presuppone la libertà di scegliere come comportarsi in determinate situazioni. Proviamo ora ad esaminare questi due concetti dal punto di vista filosofico; cominciamo dalla libertà.
Intanto altra è la libertà per gli antichi, altra la libertà per i moderni e per i contemporanei: Hobbes, nel De cive, nota che per i Greci la libertà riguardava, più che i singoli individui, la comunità di appartenenza e l’autonomia della polis. Vero, nondimeno qualcuno nell’Atene della fine del V e dell’inizio de secolo lV a. C. in un momento di crisi della democrazia della città-stato dopo la sconfitta nella guerra contro Sparta, venne ingiustamente accusato da alcuni suoi concittadini di empietà e di corrompere i giovani e, processato, venne condannato a morte da un potere formalmente democratico ma intimamente corrotto. Così Socrate, che avrebbe potuto salvarsi autoesiliandosi, rifiutò di fuggire, rimase in carcere e bevve la cicuta. Nella sua autodifesa davanti ai giudici del tribunale di Atene, tramandataci dal suo allievo Platone, Socrate affermò, tra l’altro, che la legge può certo condannare a morte un uomo, ma non può uccidere le idee che egli ha testimoniate con tutta la sua vita (e infine con la sua morte). D’altra parte vero è che così i Greci come i Romani distinguevano giuridicamente i cittadini liberi dai sudditi sottomessi a un re o a un tiranno e dagli schiavi (cfr. Remo Bodei, Dominio e sottomissione, il Mulino, 2018) Per Aristotele, che, oltre a dividere gli uomini in liberi e schiavi (per natura) li divideva anche in greci e barbari (cioè sotto-uomini), può dirsi libera quell’azione che ha origine nell’agente, senza nessuna costrizione esterna, sulla base di una conoscenza adeguata di tutte le circostanze particolari dell’azione medesima (Etica nicomachea III. 1).
Con l’avvento del cristianesimo si passa dalla libertà esteriore a quella interiore: la schiavitù da cui ci si deve liberare è quella del peccato Sennonché la creatura umana, data la debolezza della carne e la sua corruzione dovuta al peccato originale, da solo senza l’aiuto della grazia divina. non può riuscirci. Di qui la necessità dell’intervento di Dio Padre tramite suo figlio Gesù Cristo. All’inizio del Rinasimento, Pico della Mirandola, nella sua Oratio de hominis dignitate (1486) immagina che Dio si rivolga all’uomo nei seguenti termini: “Non ti ho fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché di te stesso quasi libero e sovrano artefice ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che avresti prescelto. Tu potrai degenerare nelle cose inferiori che sono i bruti; tu potrai, secondo il tuo volere, rigenerarti nelle cose superiori che sono divine…”.
Per questo l’uomo è la più dignitosa fra tutte le creature, anche più degli angeli, dal momento che può scegliere quale creatura essere. In ogni caso la libertà dei moderni non può eludere il problema della libertà com’è concepita dal cristianesimo, ad esempio per Cartesio la libertà non coincide con il libero arbitrio indifferenziato ma come la libera scelta di cercare la verità tramite il dubbio metodico; al contrario per Hobbes la libertà consiste in pratica nell’assenza di qualsiasi ostacolo al movimento dunque nella facoltà di agire, su questa linea della libertà negativa si muoveranno anche Locke, Hume e i filosofi dell’Illuminismo. Un caso a sé è quello di Baruch Spinoza il quale, in contrasto con la concezione cristiana della libertà, rifacendosi allo stoicismo e al neoplatonismo, toglie al singolo uomo la libertà così negativa come positiva, dato che solo la sostanza infinita è libera in quanto, come Dio, è causa sui. Kant, da parte sua, distingue tra mondo fenomenico, cioè dell’esperienza sensibile, rigorosamente determinato dalle leggi di natura, e mondo della libertà, cioè del noumeno o delle “cose in sé”, del quale, però, non abbiamo esperienza.
Questo non toglie che l’anima, considerata una cosa in sé, sia dotata della facoltà di scegliere liberamente di obbedire, ad esempio, alla legge morale innata e universale. Nella sua Critica della Ragion pratica Kant intende determinare le condizioni di possibilità per le quali il principio regolatore dell’agire sia buono quale che sia l’esperienza vissuta di ciascuno. Per questa ragione è necessario ed improrogabile esaminare criticamente la “ ragion empircs pratica” ad una critica serrata e a una analisi che individui i tratti essenziali, necessari e universali, nei quali tutti si possono riconoscere ugualmente in una morale formale indipendente dai contenuti. (continua).
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