L’evidenza della verità e l’ottundimento delle coscienze

La funzione della filosofia è quella di restituire alle parole il loro significato, ripulirle,  riportare alla luce tutto quello che il sedimento dell’uso aveva finito per occultare e nel contempo rendere facile e comprensibile la falsa complessità e mostrare la complessità di ciò che è fatto passare per ovvio e scontato; è questo in buona sostanza il lavoro degli artigiani della conoscenza, ispirati da quella onestà intellettuale di cui tanti si riempiono la bocca senza avere idea di che cosa sia.

E se, nella scuola, chi è esplicitamente chiamato a svolgere questo compito è il docente di filosofia, ad esservi impegnato è il docente in quanto tale, quale che sia la sua specifica competenza. In questo senso la scuola è l’antidoto all’informazione di massa, che è un prodotto del potere politico e di quello economico, dei quali è fatalmente al servizio. E quando, come accade in Italia, essi coincidono e in ciascuno di essi prevale l’uniformità, l’informazione diventa sistematica disinformazione, manipolazione subdola e larvata o minacciosamente scoperta della pubblica opinione. Il linguaggio stesso è vittima di questa manipolazione, viene infarcito di stereotipi, pregiudizi, pseudoconcetti, false evidenze alle quali risulta difficile e quasi impossibile sottrarsi, col risultato paradossale che più uno è informato più è disinformato e manipolato.

I cambiamenti climatici  sono una teoria alla quale si può dare o non dare credito, della quale però si può tranquillamente  riconoscere che, come accade con i dogmi della religione, non è supportata dai fatti e, per dirla con Popper, non è falsificabile: però è utile per giustificare scelte di politica industriale interessate, è utile per stornare l’attenzione da precise e documentabili responsabilità umane, è utile per sostituire un’ideologia ecologista alle concrete rivendicazioni dell’autentico ambientalismo.

I manuali di storia dedicano un intero capitolo allo sbarco sulla luna con tanto di foto dell’orma  degli astronauti  che passeggiano sul suo suolo violato.  Era l’estate del 1969 e c’era da credere che di lì a pochi anni si sarebbero costruite basi permanenti e organizzati voli charter. Dopo 54 anni si scopre che l’allunaggio morbido di un mezzo di grosse dimensioni è un problema, che la propulsione che consenta a quel mezzo di tornare indietro è un problema, che l’effetto delle radiazioni sugli eventuali navigatori è un problema. Qualcosa non torna. Forse ai tecnici della Nasa avevano dato una mano inviati della divina provvidenza o di una civiltà aliena. Eppure all’epoca in tanti avevano sollevato dubbi senza ricevere alcuna risposta convincente, salvo forse quella di Umberto Eco:  se si fosse trattato di una messinscena ci avrebbero pensato i russi  a smascherare gli americani. Ma gli scettici rimasero tali, in anni in cui c’era molta più litigiosità all’interno dei mezzi di informazione  e il pensiero unico era considerato materia da fantascienza.

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Poi, piano piano, lo spazio del dubbio si è ristretto, è stato confinato ai margini della paranoia o della bizzarria. La religione ha perso seguito ma la credulità se n’è avvantaggiata. La credulità che ha fatto di Gheddafi un oppressore del suo popolo, una minaccia  per il pianeta e un terrorista non si sa bene al servizio di quale causa. Comunque uno che andava tolto di mezzo. Stessa sorte  per Saddam Hussein cinque anni dopo e nessuna voce levata per chiedere perché accanirsi contro la diga al califfato e alla jihad, nessuno che rifiatasse sulla bufala delle armi di distruzione di massa evaporate miracolosamente o sul genocidio senza cadaveri. Fatto sta che fin dall’inizio del nuovo millennio si cominciava a respirare una brutta aria. Un’opinione pubblica intorpidita aveva consentito la brutale aggressione alla Serbia, l’incriminazione di Milosevic, la sua eliminazione. Non era sempre stato così. Quando gli americani, sulla scia della guerra mondiale, erano intervenuti nella penisola coreana smaniosi di ripetere il crimine di Hiroshima e Nagasaki e quando anni dopo al termine di un lungo periodo di ingerenze nella penisola indocinese senza alcun passo diplomatico, senza una dichiarazione di guerra cominciarono a bombardare il Vietnam in Italia come nel resto del mondo occidentale  si manifestarono perplessità,  scoperte contrarietà e sollevazioni di piazza.  La stampa, il cinema, le maggiori personalità della cultura esprimevano opinioni diverse e contrastanti e al di là della posizione dei partiti politici ognuno era messo in condizione di farsi una propria opinione, di assumersene la responsabilità ed eventualmente cambiarla. Era il bello della democrazia, che si esprimeva anche in modo violento, come nell’America stanca di pagare un tributo di sangue per una causa incomprensibile. Per quanto lontani fossero, anche da noi ci si appassionava a favore o contro Ho Chi Min, a favore o contro il fantoccio Syngman Rhee. Il dubbio, la critica, la voglia di vederci chiaro; certo anche la partigianeria ma sicuramente un po’ di spazio per le menti libere e spregiudicate.  Poi è calata la cappa di piombo del pensiero unico, delle verità ufficiali, del dogmatismo laico. L’intellettuale diventa orpello e megafono del potere, sui temi cruciali si crea un tacito accordo fra gli attori dell’industria, del capitale finanziario e della politica. E il concetto di democrazia subisce una metamorfosi, diventa un feticcio senza alcuna corrispondenza con la sovranità popolare, con  i diritti delle minoranze, col pluralismo e con la dinamica sociale. La democrazia si risolve nel consumismo, nel finto benessere,  in un individualismo di facciata che maschera appiattimento e gregge.

 E torniamo così al ruolo di chi deve restituire senso alla parola, dipanare la nebbia e strappare il velo dell’ovvietà. La democrazia è partecipazione e consapevolezza:  di democrazia in Italia non c’è rimasta traccia. I partiti non esprimono null’altro che interessi di gruppi e di lobby; le poche idee, quando ci sono, sono specchietti per le allodole;  e se  la democrazia è solo una parola vuota la libertà alla quale è abbinata non è da meno: Che senso ha la libertà in un sistema in cui non c’è né modo né motivo per esercitarla? libertà del non-pensiero, libertà di vegetare, libertà di subire senza sapere con chi prendersela, libertà di accettare la propria condizione di sudditanza, la propria inconsistenza politica e civile, libertà risolta nella rassegnazione. E proprio in questi giorni ci troviamo di fronte  l’energia, la partecipazione, la voglia di contare dei turchi, le loro rivendicazioni e, perché no, anche la loro violenza. E se Erdogan, il dittatore, il tiranno, il corrotto Erdogan, prevale sul suo avversario  questo è democrazia, e se rischia di essere rovesciato questo è democrazia e se ci sono nel Paese spinte verso il futuro o rimpianti per il passato, tradizionalisti o aperti al nuovo, laici e osservanti, anche questo  è democrazia. E se ci sono voci diverse nella stampa, se ci sono partiti veri, se ci sono divisioni vere su questioni vere, anche questo è democrazia. Esattamente quello che da noi è un miraggio. Eppure, con una disinvoltura che ha dell’incredibile, ci viene imposto il dualismo democrazia-autocrazia e lo si fa nel peggiore dei modi, prendendo a modello della democrazia l’Ucraina governata da una banda di criminali che dopo aver costretto in tutti i modi la Russia a intervenire nel Donbass per salvare la maggioranza russa ora rischiano di scatenare la terza guerra mondiale e con essa il collasso della civiltà umana.

Già. L’Ucraina. La Piccola Russia sedotta dalla sirena occidentale, crogiuolo di etnie caduta nelle mani degli epigoni di Bandera, l’ultranazionalista massacratore di ebrei a fianco dei tedeschi, piegata al più antistorico e becero nazionalismo contro il volere di una maggioranza silenziata e martoriata. Sulle ragioni dell’intervento armato di Mosca c’è poco da disquisire. Fra chi se la cava con la formula dell’invasione e dell’imperialismo russo e chi invoca cause complesse scoperte e sotterranee non saprei chi scegliere: entrambi chiudono gli occhi di fronte all’evidenza, semplice, cartesiana evidenza.  I compagni hanno messo in soffitta Marx e con Marx si sono disfatti anche del buonsenso e di quel che in Marx era confluito del pensiero economico e politico. L’imperialismo ha un’indiscutibile matrice economica anche quando è mascherata dall’ideologia e oggi è connaturato  al capitale industriale e finanziario americano, espansivo e invasivo più di qualunque credo religioso del passato. Croce e mezzaluna insieme non hanno esercitato una pressione pari al capitale finanziario americano e non c’è gara fra le morti e le devastazioni imputabili al dollaro e quelle perpetrare in nome di Cristo o di Allah. L’impero russo, che per questo aspetto ricorda quello romano, si è ampliato per difendersi, era in sé intimamente conservativo  e aveva bisogno di stabilità;  la stessa Unione sovietica aveva una politica estera difensiva e non offensiva e quanto alla nuova Russia  liberata dall’oppressione comunista, il suo è un sistema economico tendenzialmente chiuso,  non esporta manufatti, meno che mai di largo consumo, ma materie prime e si regge, checché se ne dica,  su un’omeostasi  sociale politica  ed economica.

Al contrario, l’energia imprenditoriale  finanziaria e speculativa americana è rivolta verso l’esterno, e  mentre le grandi ricchezze che si sono affermate in Russia sono l’effetto sostanzialmente passivo di un’economia basata sullo sfruttamento di risorse interne sul quale si è allentato il controllo dello Stato, i detentori del potere economico finanziario americano sono condannati ad attaccare, devono esportare la loro democrazia per imporre la loro finanza; un mondo in pace è una iattura per l’America per quanto è una garanzia per la Russia. E quello che era il baricentro del pianeta, l’Europa, con la seconda guerra mondiale ha perso qualsiasi consistenza politica, è diventata l’appendice orientale degli Stati Uniti che devono impedire a tutti i costi  che il contrappeso della Russia le faccia recuperare il proprio peso e la propria autonomia. Tanto basta per usare l’alleanza atlantica come un cappio da stringere al collo all’orso russo.

Draghi e  Meloni

Affermare che la Russia costituisce una minaccia per la nostra libertà e la nostra democrazia o attribuire alla Russia mire egemoniche sull’Europa  è una farneticazione che in bocca a politici come Draghi o la Meloni suona come un insulto all’intelligenza degli italiani. Il mandato che  la signora Meloni ha ricevuto dagli elettori non comprende il diritto di prendersene gioco.  Una mancanza di ritegno, una spudoratezza  possibili solo in un Paese in cui mancano del tutto sistemi di controllo, in cui un potere privo di freni  ha perso  perfino il senso del ridicolo e la politica tutta ha debordato oltre i limiti della decenza. Sembra di vivere in un brutto sogno: il Pnrr considerato come la manna dal cielo quando è un’ipoteca sul futuro, i continui sbarchi sulle nostre coste  fatti passare per un ineludibile evento epocale quando sono  solo uno sconcio affare al quale questo governo truffa si era impegnato a porre fine – il blocco navale, i respingimenti – per dimostrarsene alla prova dei fatti complice; e tutto il mare di chiacchiere  trionfalistiche a fronte di un drammatico impoverimento della popolazione, della mancanza assoluta di un piano serio per le infrastrutture (col pone sullo stretto che parte dal nulla e va a finire nel nulla), della resa incondizionata nei confronti di una dissennata antropizzazione del territorio, per non dire della non-politica su lavoro e investimenti. E su tutto la vanteria di Giorgia Meloni: l’Italia è il Paese (lei usa il termine Nazione, bisognerebbe farglielo rimangiare) che fin dall’inizio è stato il più vicino all’Ucraina (in realtà è in buona compagnia con inglesi e polacchi) quando la stragrande maggioranza degli italiani non ne può più di Zelensky e delle armi di cui l’Ucraina strabocca.

Tajani e Salvini

Ma se la Meloni è un caso umano oltre che politico gli altri che si sono accomodati nelle stanze del potere  non sono meno ciechi muti e sordi di lei nei confronti della verità e dell’evidenza. Per scongiurare la prospettiva di essere costretto a sedersi ad un tavolo di pace, nel quale inevitabilmente i problemi relativi al Donbass (e mettiamoci pure la Crimea) non potrebbero che essere risolti con un voto popolare sotto egida internazionale dall’esito scontato, Zelensky  ha superato un limite che appena qualche mese fa pareva invalicabile bombardando  i contadini russi di là dal confine. Una chiara provocazione per costringere la Russia alla guerra totale. Come hanno reagito i nostri Salvini e Tajani? Silenzio di tomba. Si dirà: nemmeno il lugubre Custode della costituzione ha avuto niente da ridire, anzi ha ribadito che se pace ci deve essere dovrà essere giusta, con lo sgombero dai territori “occupati” (ma questa gente c’è o ci fa? non lo sa che quei territori sono stati sì oggetto di un tentativo di occupazione, ma da parte ucraina). Ma nessuno ha mai votato Mattarella e di quello che fa o dice sono responsabili i partiti che non riuscendo a mettersi d’accordo lo hanno inchiodato per altri sette anni al Quirinale.  Salvini e Tajani – lasciamo stare Berlusconi, che sopravvive a se stesso – hanno invece  l’obbligo morale e politico di rappresentare  gli italiani e di difendere i loro interessi e la loro sicurezza. Zelensky sta facendo di tutto per scatenare la rabbia del popolo russo e la reazione del suo governo;  detto diversamente sta  accendendo la miccia di una polveriera nucleare che, con la Nato, investirà anche il nostro Paese. E questi miserabili politici, questa destra che si sta dimostrando cento volte peggiore della peggiore sinistra, ci costringono ad augurarci che a Mosca si mantenga la calma, che Putin resista alle pressioni dei suoi ministri e della Duma o che, al di là dell’atlantico, affluisca abbastanza sangue al cervello del cattolico Biden per indurlo a dare ascolto se non alla ragione almeno alle parole del vicario di Cristo.

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2 thoughts on “L’evidenza della verità e l’ottundimento delle coscienze”

  1. Quadro lucido e impietoso di un’Italia che si è consegnata ad una parte politica più per esasperazione dopo il bavaglio impostole dalla sinistra per troppi anni che non per convinzione di questo nuovo accrocchio auto-etichettatosi di destra, mentre è solo un gregge di pecorelle al soldo del dollaro. Dietro al traffico congestionato di SUV ed auto di lusso, che proiettano un senso di falso benessere, si nasconde una crescente porzione di italiani che vivono allo stremo. A costoro solo qualche mancetta, ma non si fanno mancare armi e munizioni a profusione all’eroe Zelensky, per provocare il nuovo Male Assoluto, Putin, fino alla sua reazione estrema. I nostri governanti stanno giocando a fare i soldatini che si illudono di farlo solo per procura, preludendo ad una chiamata alle armi degli italiani in età arruolabile. Criminali

  2. Insomma la colpa della guerra russo-ucraina è tutta dell’Ucraina, della Nato, di Biden, del Regno Unito, dell’Unione Europea (Italia compresa). mentre Putin non ha fatto che difendere la Russia dai signori della guerra occidentali. Questo significa che i crimini di guerra contro la popolazione civile ucraina vanno messi in conto dell’imperialismo americano e occidentale? Altrimenti detto: Zelensky doveva arrendersi subito senza opporre resistenza all’armata russa (non rossa!) pro bono pacis? E’ questa la tesi etico-politica dei russofili amanti della pax putiniana? Complimenti per la chiarezza filosofica del discorso. Un saluto da Fulvio Sguerso

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