Letture d’evasione e letture di formazione

La stupidità non abita solo a sinistra né è patrimonio esclusivo dei compagni. A dimostrarlo, ammesso che ce ne fosse bisogno, ci ha pensato Susanna Tamaro, scrittrice di successo che ha il merito di non pascolare nel gregge degli intellettuali e di non condividerne la sdegnosa superiorità morale e l’impegno civico ma è rea di aver confuso il suo successo editoriale col valore letterario.

Successo che le ha evidentemente dato alla testa se l’ha spinta a rivendicare un posto d’onore nella letteratura italiana contemporanea scalzando cariatidi ammuffite come Giovanni Verga. Non sa l’autrice di “ Va’ dove ti porta il cuore” che se c’è correlazione fra best seller e valore letterario è una correlazione assai debole se non addirittura negativa. E c’è da crederle quando confessa che la scuola non le ha dato molto altro che una gran voglia di dormire, altrimenti saprebbe che Giacomo Leopardi non scriveva per dare la stura al suo bisogno intimistico di frugare dentro se stesso ma spinto da un’ambizione fortissima, che ancora poco più che bambino lo portava a confezionare in forma di libro pensieri e poesie.

Ma quando con l’età, e col padre come battistrada, il suo orizzonte e le sue frequentazioni si allargarono oltre l’ambito familiare incontrò non pochi ostacoli per riuscire a pubblicare i suoi Canti e quando lo fece non si pensi che la platea dei potenziali lettori e il mondo dei letterati lo abbiano accolto come Alceo redivivo. Poche vendite e qualche giudizio duro come quello del purista che gli sanzionò il procomberò della canzone All’Italia. Per spalancargli le porte dell’empireo letterario ci vorrà Francesco De Sanctis: peccato però che il grande critico aveva solo venti anni quando Giacomo morì soffocato da un boccone di gelato. Non è un caso isolato: la vera grandezza è per lo più riconosciuta troppo tardi: il giovanissimo autore delle Confessioni di un ottuagenario (poi diventate di un italiano) non seppe mai che il suo sarebbe stato considerato con i Malavoglia e i Promessi sposi fra i pochissimi romanzi italiani capaci di non sfigurare nella grande stagione della letteratura romantica europea. E saprebbe anche che il migliore romanzo italiano del dopoguerra, il Gattopardo, l’unico, almeno finora, destinato a durare, non ha portato al suo autore né soldi né fama (da vivo, s’intende) e nemmeno la piccola soddisfazione di vedere il suo libro stampato.
La Tamaro con un fulmineo insight ha scoperto l’acqua calda: solo una minoranza irrisoria di italiani conosce Dante per averne letto le opere, gli altri, non dico del De Monarchia ma della celebratissima divina Commedia, sanno appena il nome; e i Promessi Sposi, del cui autore ricorre in questi giorni il centocinquantesimo della morte, sono un incubo per i nostri studenti.

Lei se la prende con Verga, che le ha fatto da sonnifero e io potrei aggiungere che nessuno ormai legge le Confessioni di un italiano, che gli adulti, quelli istruiti, ricordano Boccaccio come autore di racconti scollacciati ma di Petrarca hanno perso ogni traccia, che nelle case dei nostri concittadini i libri sono grandi assenti e quando ci sono fungono da soprammobili.
E con ciò? prima che Facebook, internet e telefonini le dessero la mazzata decisiva a mettere in un canto la lettura ci avevano pensato cinema e televisione; ma non si creda che prima l’italiano medio, terminati gli studi, tenesse sul comodino le Confessioni di Agostino d’Ippona, il Principe o le Novelle della Pescara. Più che in libreria ci si riforniva all’edicola: nel dopoguerra furoreggiavano i fotoromanzi, Grand Hotel e Bolero Film; ma se questa era roba da massaie e ragazzine sognatrici le persone “serie” divoravano gialli, sfornati in quantità industriale anche da autori nostrani con pseudonimo inglese e i più sofisticati la fantascienza, che aveva i suoi idoli in Asimov, Bradbury, Clarke, per dire i primi che mi vengono in mente. Secondo la Tamaro tirava più un romanzo di Urania preso a caso o Cesare Pavese?

Fra i libri più letti dagli italiani nello scorso secolo non c’è la Montagna Incantata né il Castello ma ci sono i parti della fantasia di Jules Verne e del nostro Salgari: che facciamo? seguendo la Tamaro dovremmo deciderci a sostituirli nei programmi scolastici a Pirandello o all’odiato Verga?. L’insegnante di lettere lasci perdere l’Uomo col fiore in bocca o Rosso malpelo e disserti sull’eterna sigaretta di Yanez, quello di francese invece di scendere all’inferno (en enfer, per carità se no qualche saputelluncolo si adonta) si addentrerà nelle viscere della terra. E agli esami di maturità i liceali compilino diligenti tesine su dove li porta il cuore facendo attenzione a non ruzzolare di sotto mentre camminano tre metri sopra il cielo. Così facciamo coincidere Paese reale e Paese ideale, Sein e Sollen, e la scuola sarà saldamente impiantata nel mondo.

PUBBLICITA’

Evidentemente la Tamaro, e non solo lei intendiamoci, non ha la più pallida idea di cosa sia la letteratura e la confonde con i suoi sottoprodotti ed ha inoltre una concezione molto personale – è un eufemismo – della funzione della scuola. Che non è un luogo di divertimento né lo specchio della contemporaneità, non è al servizio delle mode o degli interessi delle case editrici; la scuola progetta il futuro perché è ancorata al passato, non è accattivante, per molti risulta frustrante o irritante come la parola di Socrate, non si modella sull’allievo ma costringe l’allievo a spogliarsi del suo orgoglio, della sua presunzione e dei suoi pregiudizi. E a scuola ci si annoia, certo; càpita di guardare fuori della finestra come un insofferente giovane Manzoni, a scuola si fa i conti con i propri limiti, si subiscono giudizi sanzioni e valutazioni che ci segnano per tutta la vita. Questo è la scuola e quando la scuola non è così tradisce il suo mandato e la sua funzione. Se vuoi star bene, se ti vuoi divertire, se ti vuoi sentire al sicuro vai in palestra, ai concerti o allo stadio ma non a scuola. Perché a scuola ci puoi star male, anche molto male e a scuola ti può anche capitare che il libro che ti era piaciuto, che ti aveva appassionato e fatto sognare diventi scialbo e indigesto filtrato dalle pagine del manuale o nelle parole un po’ spente e senz’anima dell’insegnante. È lo scotto da pagare per fortificare lo spirito e organizzare la mente; una disciplina simile a quella del chierico o del militare, più servitù che grandezza, per dirla con De Vigny. Ma, come scrive Luft, un mediocre docente può essere un’ottima guida, forse migliore di quello che ti schiaccia con la sua personalità, il suo carisma e la sua cultura.
E non importa se siano tanti o pochi quelli che ne escono fortificati e temprati perché sono loro il sale della terra. La rovina delle Nazioni capita quando a scegliere i migliori non è più la scuola ma la società, quando si afferma il principio che la vera selezione avviene dopo, nella cosiddetta vita reale, quando il denaro, l’ambizione, la furbizia, la sfacciataggine, la mancanza di scrupoli oscurano il merito, la competenza, la dirittura morale, la fatica e il sacrificio e quando tutte le scorciatoie che consentono di arrivare per primi al traguardo vengono impunemente e felicemente percorse. Il successo è frutto di tante variabili che originano dalla struttura sociale e la cementano. L’emergere dei mediocri dipende dalla mediocrità della compagine sociale e la loro presenza ne ribadisce la mediocrità con una spirale perversa. Per questo la scuola si deve liberare dal controllo sociale, non deve venire a patti con la volgarità del mainstream, deve fare esattamente il contrario di quello che suggerisce la signora Tamaro. Già ora crea sgomento vedere chi sono e che panni vestono i signori saliti a bordo della politica, dell’arte, della letteratura, figli e nipoti del Sessantotto e dintorni; ma ci conforta la speranza che nelle scuole, negli istituti di ricerca, nei laboratori crescano e operino nell’oscurità uomini e donne capaci di costruire un Paese migliore proprio perché passati al vaglio di studi severi, duri e, perché no, anche noiosi.

Voglio concludere con una cattiveria: dalla penna e dalla mente di scrittori autentici escono personaggi dotati di vita propria come Raskolnikov, Julien Sorel o la signora Bovary e non c’è storico o sociologo che faccia rivivere il passato o ricostruire ambienti come fa don Lisander: non c’è saggio che ti introduca nel Seicento o rimetta di nuovo in battaglia i secoli “ormai fatti cadaveri”, ci riescono l’immaginazione visionaria e la capacità di immedesimazione del vero artista. Tamaro e tutte, tutte, le firme della paccottiglia di cui traboccano le librerie sono altra cosa, anche se vendono un miliardo di copie.

Pierfranco Lisorini

FRA SCEPSI E MATHESIS Il libro di Pierfranco Lisorini  acquistalo su…  AMAZON


Condividi

2 thoughts on “Letture d’evasione e letture di formazione”

  1. …scrive Luft, un mediocre docente può essere un’ottima guida, forse migliore di quello che ti schianta con la sua personalità, il suo carisma e la sua cultura”. Questo passaggio del suo articolo mi ha colpito per due motivi: 1) la rivalutazione della mediocrità del docente, bestia nera di tutti i pedagogisti a me noti; e 2) Luft, chi era costui? (A proposito del “Promessi sposi”). Se avesse la cortesia di illuminarmi su entrambe le questioni gliene sarei grato. Attendo con fiducia la sua risposta.. Un saluto da Fulvio Sguerso

  2. Di fronte al suo ostinato silenzio ho due spiegazioni: 1) Chiedere è lecito, rispondere è cortesia; 2) misteri dell’animo umano. Stia bene.
    Un saluto da Fulvio Sguerso.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.