Lettura di un’immagine: Fiducia in Dio
LETTURA DI UN’IMMAGINE 15
Fiducia in Dio Scultura in marmo (1834-36) di Lorenzo Bartolini Museo Poldi Pezzoli – Milano
|
LETTURA DI UN’ IMMAGINE 15
Fiducia in Dio Scultura in marmo (1834-36) di Lorenzo Bartolini Museo Poldi Pezzoli – Milano |
L’opera fu commissionata a Lorenzo Bartolini (Savignano di Prato , 1777 – Firenze !850) dalla marchesa Rosa Poldi Trivulzio – madre di Gian Giacomo Poldi Pezzoli, il collezionista, studioso d’arte e fervente patriota fondatore dell’omonomo museo milanese – dopo la morte del marito, nel 1834. La vedova chiese a Bartolini, scultore all’apice del successo non solo a Milano ma anche a Parigi, ammirato da David e da Ingres, considerato il maggior interprete italiano del purismo, di rappresentare il suo dolore per la perdita dell’amatissimo marito e la sua totale devozione a Dio. Questo progetto piacque molto, tra gli altri, al critico e letterato Pietro Giordani (l’amico e corrispondente di Giacomo Leopardi) e all’ incisore e architetto parmense Paolo Toschi.
La scultura venne terminata nel 1835 e rimase in esposizione nello studio fiorentino dell’artista fino al 1837, quando viene esposta a Brera, in occasione della mostra annuale dell’ Accademia. Il lutto e la devozione a Dio della vedova vengono interpretati da una giovane donna nuda inginocchiata con le mani intrecciate in grembo in atteggiamento di abbandono e di preghiera, che ricorda laMaddalena penitente del Canova; notevole la cura dell’artista per l’anatomia di quel corpo femminile, della precisione naturalistica con la quale ha modellato i seni, il ventre, le braccia, le gambe, la schiena, le mani e i piedi della dolente; notevole soprattutto l’espressività di quel volto estatico, di quegli occhi rivolti al cielo che significano, insieme, l’abbandono alla volontà di Dio e il totale distacco da questa valle di lacrime. Particolare commovente, che ricorda i giorni felici dell’amore e della giovinezza, l’acconciatura dei capelli finemente disegnati e raccolti sulla nuca in un elaboratissimo chignon. L’opera suscitò l’ammirazione anche di Giuseppe Giusti, che, nel 1837, le dedicò un ispirato sonetto. Ne riporto qui solo le due terzine finali: “E par che dica: se ogni dolce cosa /m’inganna, e al tempo che sperai sereno / fuggir mi sento la vita affannosa, // Signor, fidando, al tuo paterno seno / l’anima mia ricorre, e si riposa / in un affetto che non è terreno”. |