LETTURA DI UN’ IMMAGINE: Autoritratto con fiore in bocca Olio di Pier Paolo Pasolini

 Autoritratto con fiore in bocca
Olio su faesite (1947) di Pier Paolo Pasolini
Gabinetto Scientifico Letterario G. P. Viesseux – Firenze

Nei primi anni Quaranta Pier Paolo Pasolini frequenta il corso di Storia dell’Arte su Masaccio e Masolino, tenuto da Roberto Longhi all’Università di Bologna. A quell’epoca l’autore de Le ceneri di Gramsci aveva all’attivo anche un notevole corpus di opere grafiche e pittoriche molto apprezzato da Francesco Arcangeli, assistente del professor Longhi. Questo autoritratto del poeta venticinquenne non ha niente di grazioso, anzi, sembra quasi insistere sulla durezza dei tratti di quel volto dimidiato, come il resto della figura, tra luce e ombra, tra la parte oscura dell’anima e quella esposta allo sguardo e al giudizio di chiunque, amico o nemico, colto o ignorante, nobile o ignobile che sia. Inoltre, questo autoritratto non è solo diviso tra luce e ombra, osservandolo con attenzione, ci accorgiamo, con qualche turbamento, che è diviso tra vita e morte: una parte ci appare come già morta, quasi a prefigurare il destino a cui andrà incontro in quella tragica notte del 2 novembre 1975 al Lido di Ostia. D’altronde Pasolini non elaborerà mai il lutto per la morte del fratello Guido, nel febbraio del 1945, più giovane di lui, partigiano con il nome di Ermes nella divisione Osoppo, operante nella Venezia Giulia. “Egli morì in un modo che non mi regge il cuore di raccontare: avrebbe potuto anche salvarsi, quel giorno è morto per correre in aiuto del suo comandante e dei suoi compagni. Credo che non ci sia nessun comunista che possa disapprovare l’operato del partigiano Guido Pasolini. Io sono orgoglioso di lui, ed è il ricordo di lui, della sua generosità, della sua passione, che mi obbliga a seguire la strada che seguo” (Vie Nuove , 15 luglio 1961). Per non contare tutti i luoghi della sua opera in cui ricorda la tragica fine di suo fratello Guido. Altro che “immemore della fine del fratello”; quanto a Pasolini “docile strumento dei compagni” anche i sassi sono al corrente del rapporto conflittuale che ebbe con il Pci. Ma non c’è niente da fare: “Deus dementat quos perdere vult”.

Fulvio Sguerso

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