Lettera aperta all’ agenzia delle entrate e …

LETTERA APERTA ALL’ AGENZIA
DELLE ENTRATE E AL TRIBUNALE DI SAVONA 

LETTERA APERTA ALL’ AGENZIA
DELLE ENTRATE E AL TRIBUNALE DI SAVONA
 

 Da ormai più di 10 anni mi occupo del sistema bancario e monetario; e poiché sembra che la cognizione della sua reale natura sia sempre più percepita dalla gente, che la considera una iattura contro cui è inutile insorgere, avendo l’avallo delle istituzioni, voglio qui provare a rivolgermi, forse ingenuamente, proprio a quegli organismi istituzionali che, in modi diversi, hanno pertinenza su un tema di così vasta portata sociale: l’Agenzia delle Entrate e il Tribunale, limitandomi in prima istanza alle loro sedi locali, nella speranza che possano supplire all’incuria della classe politica, a partire dalla provincia di Savona.

Siamo tutti sotto la loro lente; ma davvero tutti?

Mi chiedo innanzitutto se il reale meccanismo di formazione della moneta sia noto ad entrambi questi organismi: se lo è, non comprendo perché omettano di comportarsi di conseguenza, e dirò più avanti in qual modo; se non lo è, mi permetto di fare qui qualche succinta ripetizione di quanto vado scrivendo e dicendo pubblicamente da tanti anni –voce non più isolata- incontrando solo impacciato silenzio e parallela inazione proprio da chi ha titolo e anzi dovere di intervenire.

 

 Qui troppo spesso sfumano le nostre speranze

Dunque, la moneta nasce oggi per circa il 10% ad opera delle BCE, in forma digitale e cartacea (banconote), in conformità al dettato del SEBC (Sistema Europeo delle Banche Centrali); mentre il “grosso”, ca. il 90%, viene creato elettronicamente dalle banche commerciali all’atto di erogare un mutuo o un finanziamento. Entrambe sono prive di copertura (“sottostante” a garanzia), ma la moneta emessa dalla BCE è autorizzata dal trattato istitutivo dell’euro (all’epoca dipinto come una panacea, sorvolando sulla natura privatistica della BCE), mentre non c’è alcuna legge che autorizzi l’emissione di euro da parte delle banche commerciali private. Il Testo Unico Bancario (TUB), infatti, le abilita alla mera intermediazione del credito, ossia a prestare i depositi dei correntisti, non già a creare denaro a loro discrezione “dal nulla”: fiat money. Sarebbe uno scandalo se il Parlamento varasse una legge che autorizzasse un pool di banche private ad emetterlo!

 Il punto cruciale è che nulla nasce dal nulla, per cui il capitale erogato deve preesistere al prestato: non si può prestare qualcosa che non c’era. Eppure, è proprio quanto avviene quando una banca eroga un mutuo, visto che neanche un euro viene contestualmente sottratto dai depositi dei suoi correntisti o da fondi propri. Si tratta quindi di un capitale fittizio, cioè allo scoperto, in attesa che questo venga successivamente “inverato”, ossia reso concreto, dal lavoro del mutuatario

In termini più elementari, la banca dà “aria fritta”, abusivamente denominata in euro, che trae il suo valore ex post dall’accettazione del pubblico, incluso lo Stato, che ne determina il corso forzoso con l’imporla per il pagamento delle tasse. In ultima analisi, è la società che avvalora quegli eterei numeri sul computer della banca, di per sé senza valore intrinseco. La banca però furbescamente segna al passivo tale uscita fittizia, per poi eliderla quando il mutuatario ripaga il prestito e così non pagarci le tasse; ma si guarda bene dal segnare all’attivo l’altrettanto virtuale ingresso del suddetto capitale fittizio ex ante. Dovrebbe scrivere contabilmente:

+ 100 (input) – 100 (output) + 100 (rimborso) = + 100 (ricavo tassabile)

mentre preferisce ignorare il primo termine e dichiarare ricavo zero.

Ergo, nonostante la natura diversa della somma prestata (priva di sottostante) e della somma resa (avente per sottostante la ricchezza prodotta dal prestatario), la banca le tratta come fossero grandezze omogenee. Lo sarebbero se, come in un prestito tra privati, la banca prestasse banconote o disponesse di beni solidi (sottostante) equipollenti a garanzia del mutuo erogato. Stante la prassi corrente, il mutuatario potrebbe allora ripagare coerentemente la banca della stessa moneta (scoperta), accreditandole numeri con un’omologa scrittura contabile: tantundem ejusdem generis.

Si verifica, nel corrente sistema di moneta scoperta bancaria contro moneta “inverata” dal lavoro del mutuatario, una duplice infrazione da parte della banca, in quanto: a) esercita un’attività di creazione monetaria non consentita da alcuna legge; b) non paga le tasse sul patrimonio successivamente incamerato, dando luogo così ad una (inavvertita) regalia della società alla banca, che la pretende pure esentasse.

Ciò equivale alla sottrazione perpetrata e continuata di risorse dalla società verso il sistema bancario, con l’aggiunta degli interessi: un’aggiunta tanto venefica quanto immotivata, non corrispondendo essi al mancato utilizzo di capitale esistente, in quanto creato virtualmente all’atto stesso del prestare. Questa pratica è talmente illogica e vessatoria nei confronti della popolazione che sembra il frutto di un preciso progetto bancario, fatto proprio illecitamente dalle istituzioni, ai danni di chi dovrebbero tutelare.


Non affermo di avere la verità in tasca e potrei essere incorso in errori, che tuttavia vorrei fossero confutati: un esercizio che le banche non si sono mai curate di svolgere: might is right. Un esempio per tutti è stato il forfait dato all’ultimo momento da ABI, Bankitalia, Intesa e BPM, che pur avevano garantito la loro adesione, al convegno su “Banche e creazione di moneta” organizzato nell’aula parlamentare del M5S a Roma il 4 novembre 2016.

Invito quindi a riflettere su quanto sopra e ad agire, ciascuno per le proprie competenze: l’Agenzia delle Entrate con più consapevoli verifiche dei bilanci bancari, applicando le giuste tasse ed alleviando così la cittadinanza dal fardello insostenibile dell’attuale fiscalità; il Tribunale, temperando, per illiceità dei mutui ab ovo, le sentenze contro chi non riesce a sostenere il duplice onere delle tasse e degli addebiti bancari, privandolo dei suoi beni essenziali, la casa in primis: pignorarla a favore della banca rappresenta un immeritato premio –esentasse- a chi nulla di equivalente ha prodotto. È del resto una pratica non più inusuale l’intervento della magistratura laddove la politica latita.

Si profila in questa mia scarna sintesi il conflitto tra economia reale (la società che produce ricchezza) e finanza parassitaria (che quella ricchezza divora), sin qui attuato con l’avallo di istituzioni sbilanciate, specie negli ultimi 30 anni, a favore della parte parassitaria “virtuale”, abile nel prosperare a spese del mondo del lavoro. Continuare a proteggere la vorace parte “virtuale”ai danni di quella lavorativa è una colpa che chi ha i mezzi per riequilibrare la situazione sarà additato, qualora proseguisse nell’attuale inerzia, in termini di damnatio memoriae dalle generazioni a venire, incluse quelle dei loro stessi figli e nipoti.  


 Una vergogna salvare le banche e non un’umanità in bancarotta

Rivolgo questa mia esortazione anche a Papa Francesco, che su banche e finanza ha usato spesso toni di aspra riprovazione.

 Marco Giacinto Pellifroni      12 marzo 2017 

 

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