L’eterno problema della corruzione

 

  L’eterno problema della corruzione

Il passato non è migliore del presente

 

 L’eterno problema della corruzione

Il passato non è migliore del presente

 Nell’antica Roma i casi di malversazione nella pubblica amministrazione erano talmente diffusi che era stato istituito un apposito tribunale speciale, la Quaestio perpetua de repetundis. Al tramonto della civiltà e delle istituzioni romane Boezio scontò con la morte la corruttela imperante alla corte di Teodorico. Quattordici secoli dopo, il passaggio di consegne dalla destra alla sinistra liberale fu segnato da scandali che travolsero Crispi e lambirono Giolitti, per dire solo dei più noti e potenti, e durante il Ventennio un uomo solo ala comando non bastò ad impedire che tanti “pescicani” nuotassero nel mare dell’economia e delle istituzioni nazionali. 

Insomma il grido di dolore ciceroniano O tempora o mores!  può tranquillamente esser fatto proprio nel presente come dalle generazioni passate e potrà tornare bene anche per quelle future.


Il verminaio nel CSM e, in generale, la miseria morale del presente non rende però meno penoso il nostro recente (per i tempi della Storia) passato. Siamo stati stretti fra il clericalismo dello scudo crociato e lo stalinismo della falce e martello, convergenti nell’odio verso la Patria, che ha finito per trovare sbocco nell’europeismo. C’è poco da rimpiangere; quando sento ripetersi, in contesti sociali diversi, la storiella di una politica più sana incarnata da leader “di alto profilo” come Almirante e Berlinguer vedo confermato il principio per il quale le idee, come le mode, più stupide sono meglio attecchiscono 

Questo per dire che non sono, come l’età mi porterebbe ad essere, un laudator temporis acti. Al contrario, nella miseria del presente sono convinto, o forse voglio essere convinto, di scorgere i segni di un cambiamento, di una svolta, un Wechsel radicale.  Così come sono convinto che lo sconcio dei primi anni Settanta, quando, tanto per ricordare eventi di cui sono stato testimone diretto, a Padova Guido Petter, che pure era assai vicino al Pci, doveva barricarsi nel suo studio per non essere preso a sputi  e buttato giù dalle scale della sua facoltà dai compagni che imponevano gli esami di gruppo, la presenza del commissario politico e il controllo proletario sui docenti e devastavano le librerie sospettate di mettere in vendita libri privi dell’imprimatur rosso o a Livorno si organizzavano giornate di spesa proletaria nei grandi magazzini sotto gli occhi di poliziotti impotenti. 


Guido Petter

Il falso problema della corruzione, diventato uno specchietto per le allodole

Quello della corruzione è solo apparentemente un problema etico o politico: in realtà è un problema di organizzazione e di funzionalità del sistema. Se lo spostiamo sul terreno dell’etica si scivola immediatamente nell’ipocrisia o nel qualunquismo (ogni uomo ha un prezzo, gli italiani sono tutti ladri, con la variante nordista: da Roma in giù sono tutti ladri, e così via); sul terreno politico è un’arma per colpire gli avversari o per coprire l’inefficienza del sistema. Nella sua dimensione soggettiva la corruzione rinvia ai sistemi di sicurezza individuali, alla interiorizzazione delle figure parentali, all’educazione ricevuta, all’autostima, alla percezione di sé e dell’altro,  all’attribuzione di senso alla realtà, ai quadri assiologici di riferimento; in quella oggettiva dei comportamenti osservabili si intrecciano e si confondono situazioni diverse, ispirate al tornaconto personale o alla difesa della comunità di appartenenza, familiare, amicale, di parte. Ma al di là del suo carattere multiforme, la lotta alle radici psicologiche della corruzione o la pretesa di identificarne e neutralizzarne i moventi, portano dritti ad urtare contro la natura umana e finiscono inesorabilmente in chiacchiera. Nei rapporti interpersonali si ha a che fare con persone fragili e insicure, con persone orgogliose e dal carattere forte e ognuna di esse fa i conti con la propria coscienza; c’è chi non è in grado di farlo e vive bene lo stesso, forse anche meglio; buon per lui. Come dice il Poeta “non ti curar di lor ma guarda e passa”.


Con ciò non voglio dire che la corruzione non sia un problema o che non comporti danni per la società. Al contrario. Voglio dire che la corruzione non si combatte con l’educazione, con le esortazioni, con le minacce e tanto meno con i giudici, piccoli uomini e piccole donne non più affidabili di quelli sottoposti al loro giudizio. L’unico modo serio di combattere la corruzione è quello di evitare le condizioni perché essa abbia luogo. Faccio un esempio concreto su un campo che mi è familiare. Nell’ultimo screditatissimo concorso per dirigenti scolastici (quello da cui sono usciti l’attuale ministro e la madre del vicepremier pentastellato) era stabilito che le singole commissioni regionali formulassero le tracce delle prove scritte. Soltanto un ipocrita può credere che i testi di quelle tracce siano rimasti chiusi nel sancta sanctorumd elle commissioni. Un commissario di esame per qualsiasi concorso non fa a tempo a ricevere la nomina che subito viene stretto d’assedio, cellulare e telefono di casa squillano in continuazione, scopre di avere parenti di cui ignorava l’esistenza, si ritrova pieno di amici, autorevoli personalità lo prendono metaforicamente a braccetto, e messo con le spalle al muro se è persona mite e amante del quieto vivere non gli resta che sperare che chi gli ha estorto la dritta non ne riveli la fonte. Questo se è persona onesta; figuriamoci se non lo è. Nel corso della mia carriera, senza contare gli esami di maturità, sono stato presidente o commissario in corsi abilitanti, concorsi per posti di educatori di scuola materna, per insegnanti elementari e in almeno tre occasioni per cattedre di filosofia nei licei.


Lotti, Ermini e Palamara

Se avevo qualche amico l’ho perso e quanto alle autorità me la sono cavata con un “caro dottore le garantisco un atteggiamento di grande disponibilità e scrupolosa attenzione da parte della commissione”, un proposito del quale non c’è questore o prefetto o provveditore che non si possa dichiarare insoddisfatto. Ma io faccio, facevo, un mestiere che fra tanti inconvenienti ha questo vantaggio: non c’è carriera che si possa velocizzare o bloccare, si è praticamente inamovibili e quello che si fa nella propria classe è insindacabile se si rispetta la propria professionalità (come non ha fatto la collega di Palermo). È così anche per un funzionario della pubblica amministrazione, per un dirigente, per un impiegato? È così per un accademico? Si ha idea delle pressioni, dei ricatti incrociati, dei favori ricevuti e da ricambiare negli ospedali e nelle università? In Calabria e in Umbria i compagni hanno esagerato e probabilmente sono entrati in conflitto con altri poteri organizzati ma qualcuno pensa che nelle altre regioni o nelle altre aziende sanitarie le cose vadano in modo molto diverso? Posso dire senza tema di essere smentito che si fanno graduatorie modulate sui titoli dei concorrenti destinati a occupare le posizioni utili, che si mette a concorso un posto di cui è già noto il vincitore, che chi conta sulle sue qualità e non fa parte di alcuna cordata fa bene a fare le valigie e migrare per altri lidi.


L’occasione, si dice, fa l’uomo ladro; sicuramente la possibilità di imbrogliare genera l’imbroglio. Americani, tedeschi, inglesi o francesi sono forse antropologicamente diversi dagli italiani? No davvero. Ma l’ospedale o l’università americani per funzionare bene hanno bisogno di gente preparata e sono impegnati ad accaparrarsi quanto di meglio offre il mercato. Lo stesso accade, in modo più attenuato e meno diretto, nei grandi Paesi europei.  In Italia lo fanno le squadre di calcio, non lo fanno né gli ospedali né le università né le grandi aziende, che ormai non si sa più se sono pubbliche o private. Conosco un’insegnante elementare che ha mandato il proprio curriculum a un college nell’Ohio: l’hanno contattata, invitata ad un colloquio e ora insegna letteratura italiana. Una cosa impensabile dalle nostre parti.

Il fatto è che il dirigente di una squadra di calcio ha bisogno di bravi giocatori perché se la sua squadra non vince lui perde il posto ma al dirigente dell’Asl della bravura dei medici non gliene importa nulla e meno di nulla gli importa della salute dei cittadini. Però, come si è visto, qualche rischio lo corre. Va meglio nelle università, che si autovalutano, se la cantano e se la suonano, tanto paga lo Stato: l’autonomia da noi funziona così.

   Pier Franco Lisorini  docente di filosofia in pensione

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