Le perle della politica fra calcoli di bottega e…
Le perle della politica fra calcoli di bottega
e scempiaggine pura
Dalle beghe interne ai Cinquestelle
alla confusione fra politica e moralismo di comodo
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Le perle della politica fra calcoli di bottega e scempiaggine pura Dalle beghe interne ai Cinquestelle
alla confusione fra politica e moralismo di comodo
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Sallusti, il direttore del Giornale, si lamentava qualche giorno fa del degrado di una politica basata sulla delegittimazione dell’avversario, sugli insulti, sul sistematico ricorso allo scontro invece che al confronto. Si riferiva in particolare a quel Di Battista portato in parlamento dai Cinquestelle nella passata legislatura, quello che ostenta una sua immagine sudamericana sotto l’effige di Che Guevara e che speravamo ritirato, come dicevano gli antichi, a vita privata dopo la rinuncia a un secondo mandato. Aveva promesso che si sarebbe dedicato alla famiglia e ai viaggi e invece se ne va in giro per l’Italia per ricordare che lui c’è ancora, è a disposizione e aspetta solo che lo chiamino. Ma soprattutto twitta e più che esprimere delle idee, ammesso che ne abbia, attacca col fioretto il Pd e prende a martellate Salvini e Berlusconi. Il primo sarebbe il cagnolino del padrone, il secondo il “male assoluto”. Sallusti se l’è presa e ha gratificato l’avventato grillino di un “cretino assoluto”. Che Di Battista sia per davvero un bon chrétien, considerato quello che scrive, non avrei dubbi. Sull’ “assoluto” invece ho qualche riserva dal momento che la stupidità è parecchio diffusa e non se ne conosce il limite. Sta il fatto che dare a Salvini del Dudù proprio mentre sta facendo crollare il mondo addosso a Berlusconi molto più di quanto non abbiano saputo fare Fini o Alfano dimostra solo l’insipienza del soggetto e la sua scoperta e stizzosa intenzione di nuocere a Di Maio; più grave mi è sembrato il riferimento al male, per di più “assoluto”.
Si badi bene: Sallusti stesso, sia personalmente sia per la parte politica con la quale è schierato, non è il più adatto a scandalizzarsi. Sono stati, quando faceva comodo, Berlusconi e i suoi accoliti a denunciare il comunismo come il male assoluto, ai tempi in cui col Giornale si regalava Il libro nero del comunismo. Io mi sento a disagio non solo con i comunisti di vecchia data ma con tutta la sinistra attuale in tutte le sue versioni e declinazioni: non ne condivido né idee né atteggiamenti né valutazioni e sono convinto che i danni del socialismo realizzato non siano attribuibili solo agli uomini ma al progetto stesso. Vado oltre: considero le analisi e gli obiettivi di tutta la letteratura socialista, da Saint Simon a Comte e a tutto il socialismo “utopistico” fino a Marx e al preteso socialismo “scientifico” fondati su generalizzazioni arbitrarie e, nella migliore ipotesi, sulla assolutizzazione di fattori contingenti. Detto questo mi sembra orribile tirare in ballo il bene e il male. Un’analisi sbagliata non è malvagia; un obiettivo non condivisibile o una strada non percorribile non sono espressione del demonio, non sono l’epifania del male. Il male è una faccenda interiore, rinvia alle intenzioni e alla coscienza individuali, al modo di rapportarsi all’altro e al controllo delle proprie pulsioni. Ma come si fa a bollare come “male assoluto” la speranza di milioni di persone in un futuro migliore e in una società più giusta? Sicuramente era una speranza destinata a infrangersi contro la realtà dell’opportunismo dei rivoluzionari di professione, del loro tornaconto personale e della loro obbiettiva incapacità e con altrettanta sicurezza si deve riconoscere che la felicità può essere un legittimo obiettivo personale ma è ridicolo farne un traguardo sociale. Si possono realisticamente cercare strumenti per combattere l’iniquità ogni volta che si manifesta ma l’equità al massimo la possiamo perseguire sulla piccola scala della nostra quotidianità. Il comunismo, insomma, può essere giudicato una cosa sbagliata, una cosa velleitaria, una cosa stupida, una cosa che ha prodotto effetti catastrofici; ma che c’entra il Male? La questione non riguarda solo l’Italia ma tutto l’Occidente e, mi spingo a dire, tutta la cristianità. Perché la contaminazione di politica, valori morali e addirittura religiosi è un portato del cristianesimo che non ha riscontro nel mondo classico e che un’intelligenza libera e laica dovrebbe combattere. La lezione di Machiavelli è stata presto dimenticata. Se non altro in tutto il corso del medio evo le categorie etico religiose venivano applicate ai rapporti col mondo esterno, di fatto coincidente con l’Islam, e non ai conflitti interni. Questo fino a che gli americani non sono usciti dai loro confini e non hanno infettato col loro moralismo quacchero l’Europa intera. Loro intervengono in guerra non per difendere interessi materiali, non per imporre le loro merci e il loro dominio finanziario: loro intervengono in guerra perché sono buoni e come tali compulsivamente spinti a combattere i cattivi. Che ieri erano i giapponesi, poi i tedeschi e gli italiani –fascist– poi i comunisti e infine Saddam Hussein, Gheddafi e Assad. Del resto avevano sterminato i nativi non per portargli via le terre ma perché erano sanguinari, senza dio e senza morale e poco vestiti. Osservo di sfuggita e lo propongo all’attenzione del bravo cinefilo che scrive su questi Trucioli che il cinema americano ha dato il meglio di sé quando si è liberato della pregiudiziale moralistica sia nella rievocazione della sistematica distruzione delle culture indigene – basta mettere a confronto Ombre rossecon Il piccolo grande uomodi 30 anni dopo – sia nella rivisitazione della seconda guerra mondiale e si è impegnato a mostrare nell’altro la stessa umanità, le stesse paure, le stesse debolezze. Ma evidentemente, nonostante la Bibbia puntualmente presente nelle camere d’albergo, da quelle parti si fa fatica a vedere nell’avversario di turno la propria immagine riflessa, è più rassicurante e meno complicato ridurlo a “diverso”, non solo cattivo ma alieno: non è casuale l’ossessione, anche cinematografica, degli americani per l’invasione dallo spazio. La morale, la religione, i valori sono stati e rimangono un pretesto, uno strumento psicologico di difesa dal senso di colpa. Gli americani sanno di essere colpevoli di un genocidio e hanno bisogno di rappresentare gli indiani come esseri subumani; sanno che l’atomica su Hiroshima e Nagasaki è stato un crimine contro l’umanità e lanciano accuse a dritta e manca di crimini contro l’umanità; si tengono ben stretta l’opzione nucleare e accusano gli altri di produrre armi di distruzione di massa. E allora se potessi prenderei Di Battista per un orecchio e gli impartirei una lezioncina semplice semplice: tu sei libero di considerare Berlusconi un avversario politico, sei libero di pensare e di sostenere che come capo del governo ha commesso solo errori o si è limitato a tutelare i suoi interessi, non sei obbligato a motivare le tue opinioni e ti si perdona se i tuoi sono solo pregiudizi; ma se affermi che Berlusconi è il male o sei un paranoico o sei un imbecille. Poi però una vocina interiore mi sussurra: perché te la prendi per queste sortite? Il ragazzo pentastellato, almeno per ora, è un signor nessuno e semmai te la dovresti prendere con i giornali che riportano le corbellerie che scrive sull’web, dove, ti ricordo, c’è posto per tutti. Ci sono cose più gravi e persone molto più pericolose per il ruolo che ricoprono, mi dice, e mi fa notare che in barba alla caduta del muro, alla distensione internazionale, all’implosione dell’Urss, alle nuove categorie geopolitiche, il nostro presidente del Consiglio, fortunatamente ancora per poco, Paolo Gentiloni è convinto che si sia ancora in piena guerra fredda e che il mondo sia diviso fra Est e Ovest, mondo libero e blocco sovietico. Ha detto testualmente, non davanti al terzo bicchiere di amarone ma in parlamento, che l’Italia non è neutrale, che è schierata con gli Stati Uniti e come tale considera la Russia il nemico. Capito? Non siamo neutrali, il che presuppone che calda o, per ora, fredda che sia, siamo in guerra. E questo è il capo del governo. E, nella stessa circostanza, ha anche rivendicato il debito di riconoscenza verso gli angloamericani «che ci hanno liberato dal fascismo». Che lo vada a raccontare ai ragazzi della divisione Ariete che i carri contro i quali correvano a schiantarsi erano quelli dei liberatori. Berlusconi, che quanto meno è scolarizzato, ringraziava gli americani per aver impedito ai comunisti nostrani e di Tito di prendersi mezza Italia: già meglio. Pier Franco Lisorini è un docente di filosofia in pensione |