Le nuove “masse”
Le nuove “masse”
Se a qualcuno capitasse di imbattersi in qualche libro di politica di qualche anno fa troverebbe spesso citata la parola “masse” e capirebbe nel corso della lettura cosa si intendeva con questo termine.
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Le nuove “masse” |
Se a qualcuno capitasse di imbattersi in qualche libro di politica di qualche anno fa, specialmente se racconta della sinistra italiana e internazionale, troverebbe spesso citata la parola “masse”, e capirebbe nel corso della lettura cosa si intendeva con questo termine. Oggi invece si dice che questa maggioranza di popolo muto che subisce senza fiatare non esiste più.
Invece esistono, eccome se esistono…Le ““masse”” esistono, ma non sono più concentrate e maggioritarie in poche e ben distinte classi sociali come narravano i vecchi libri, non sono più distinte dal ceto o catalogate dalla nascita, non sono più cresciute in quell’ignoranza che le rendeva obbligate a levarsi il cappello e abbassare la testa al passare delle scarpe lucide del padrone. Unica – ma nemmeno tanto – caratteristica che rende uguali le “masse” di oggi da quelle di ieri è l’estrema indigenza e la grande povertà di mezzi di sostentamento. Le “masse” più povere oggi sono ovunque, equamente distribuite, spalmate in ogni dove, imbottiscono le periferie come i centri città, le pianure fertili della nebbiosa Bassa come le montagne innevate dal meteo e dall’opulenza di facciata e dove non sempre il bianco è oggetto di precipitazioni, ““masse” racchiuse in piccole nicchie, polverizzate, ma che galleggiano dappertutto, colonizzano fabbriche e uffici, “masse” che fluttuano nella disperazione oramai concreta convinte di un’esistenza radicata nell’assenza di sbocchi futuri. Questa folla di disperazione in scarpe lise e camice da stirare indossate paventando il mostrare di una classe oramai perduta, impregna ogni strato sociale, e il suo scivolare inarrestabile nelle ristrettezze e nella povertà non sempre riesce a nascondersi nell’orgoglio del “non far sapere”, non sempre la mimetizzazione portata dall’ansia del confondersi raggiunge lo scopo. “Non far sapere” la propria condizione per non essere esclusi, tenere le persiane chiuse, uscire solo con il buio dove tutto meglio si imbroglia, rinchiudersi nella propria fierezza sperando inutilmente di potersi un giorno conformare, di potersi far accettare da quel modello sociale più elevato che è stato il faro da raggiungere ad ogni costo, il modello nuovo venduto come l’unico possibile, un mondo che ti fa arrivare all’agiatezza se ti dimentichi le regole, un modello edonico, arrogante, intollerante, un modello che insegna che l’io è superiore al noi, che esclude il diverso per religione, per sensibilità sessuale, per istruzione, per occupazione quando c’è. Le ““masse”” quindi esistono anche se non sono più quelle che goliardicamente spesso si citano con stupida allegoria dimenticandosi però che è grazie a quelle “masse” che oggi ha potuto esistere il modello sbagliato che viene venduto come acquisitore di qualunque felicità. Non più lavoro operario sfruttato fisicamente ma ancora e sempre sudore e umiliazioni legiferate in una sorta di schiavismo giurisprudenziale che rende possibile l’aggiramento del diritto e della dignità che questo comporta. Non più braccianteria latifondista che distribuiva con una mano legnate alle schiene curve sulla falci che bruciavano al sole e con l‘altra il tozzo di pane per lenire i morsi degli stomaci vuoti, pane e acqua per tenerle sottomesse con il ricatto della fame, ma nuovo negrierismo che non mette più ai ceppi e ai remi delle galere ma frusta nei campi intensivi, soffoca il respiro negli scantinati nascosti dove si produce luccichio per il modello nuovo, e tutto per un tetto di lamiera e una ciotola di minestra. Non più tessere giornaliere per avere il pane e ciò che doveva essere un diritto, ma tessere di partito per tentare di risalire dal fango, per cercare di emergere, per avere amicizie opportunistiche, per accedere alla linfa che distribuisce potere, per abbeverarsi agli otri di quell’acqua tolta a un popolo assetato. Non più l’elevazione sociale portata dal saper leggere, scrivere, far di conto ma la comparsa della fortezza inaccessibile di una elìte che non vuole contaminarsi con il Terzo Stato, con chi indossa cappotti fuori taglia, braghe usate e scarpe senza futuro, una elìte che rifiuta la distribuzione della conoscenza , che fa muro davanti agli atenei, che esclude, che isola con la forza del denaro, che respinge chi non è uguale, chi non può, che ha abbattuto la scala sociale, che rifiuta gli esterni alla casta dorata conscia del pericolo che l’essere un giorno seduti sullo stesso gradino potrebbe spezzare la catena della sottomissione portata dal bisogno.
Non più divise e fez indossati per incutere timore e rispetto ma modelli e stili di vita che sbattono la porta in faccia a chi non ha, a chi non può partecipare al circo dell’opulenza. Chi sta da una parte, chi sta dall’altra, in una medievalesca operetta portata sulla scena ogni giorno. Tutti gli esclusi, tutti gli emarginati, tutti quelli a cui sono stati soffocati diritti, tutti quelli che i diritti anche più elementari come casa, lavoro, giustizia, solidarietà non li hanno mai avuti e continuano a vederseli negati. Sono queste le “masse” oggi e tra loro la variegatezza trasversale è palesemente lucente nel buio delle strade dissestate che non si vogliono rendere percorribili da chi teme il confronto, da chi teme la verità, da chi teme l’uguaglianza delle opportunità di partenza. Costruire cammini semplici per tutti, significherebbe oggi spianare la strada ad una nuova presa della Bastiglia i cui bastioni oramai logori e sbrecciati difendono ancora privilegi, opportunismo, familismo, personalismo, malaffare, corruzione, abusi e tutto ciò su cui si regge il potere degli “eletti” e di chi è convinto della propria superiorità. Abbattere quelle mura significherebbe ristabilire una giustizia sociale oramai latitante da troppo tempo, di questo gli assalitori, le “masse” ne sono ben consce così come lo sono i castellani con i loro armigeri appostati tra le guglie a difendere la loro distinzione, il loro Bendicò impagliato. Ma chi sono i signori del castello? Sono quelli che hanno sfruttato le “masse” di ieri, sono una parte di esse quella che ha saputo con astuzia primeggiare, i più furbi, sono quelli che senza le loro palandrane dorate, senza i giullari grondanti di campanelli, senza i cantori che raccontano le loro gesta nell’etere, senza “nani e ballerine” a rallegrare le feste non sono nessuno. Ma questo popolo intriso di indigenza, queste “masse”, ancora oggi maggioritarie avrebbero la forza per ribaltare tutto il sistema? E se lo facesse sarebbe nel giusto? Troverebbe condivisione sullo scenario globale? Alle tre domande si possono dare tre risposte……Si, forse , no. Avrebbe senz’altro la forza, ma sarebbe un grosso errore, anacronistico e inattuabile, infattibile, pensare di dirigerlo, di indirizzarlo, di comandarlo, di “renderlo cosciente” compattandolo in una armata di zappe, forconi e stendardi che urlano al cielo. Il solo pensarlo significherebbe non aver capito nulla dell’evoluzione sociale. Queste “masse” sono già coscienti, vivono la loro condizione ogni giorno, la coscienza di un’esistenza difficile, spesso nei soprusi, nelle umiliazioni, nelle opportunità negate, non è un popolo ignorante, è un popolo colto, che sa, sa distinguere, sa valutare, sa decidere , sa scegliere. Ma è un popolo imprigionato dalle proprie necessità, dai propri bisogni e quindi non libero, per questo rifiuta sempre più anche la scelta sul consenso convinto che nulla potrà cambiare in ogni caso la propria condizione esistenziale. Questa convinzione oramai radicata spesso si trasforma in rabbia, in rivolta violenta di qualche periferia, in razzismo, in lotta tra poveri, in rifiuto aprioristico di qualsiasi indirizzo proposto, ed è la conseguenza naturale del crollo di fiducia, della caduta di credibilità di classi dirigenti immutabili e dedite solo al proprio benessere che ricercano spudoratamente infischiandosene altamente del bene comune e collettivo. Quindi tutti nel mucchio, tutti uguali, tutti da abbattere, tutti a casa………. Questo è il pensiero di chi rifiuta di decidere perfino del proprio destino. Sbagliano? Hanno ragione? Ma la domanda è……e poi? Poi che si fa? Quando tutti sono andati via? Quando la Bastiglia è stata presa? Quando anche il Palazzo d’Inverno è stato saccheggiato? Che si fa..poi? Ognuno per se? Dove il più forte vince? Ma allora si torna ad erigere una nuova Bastiglia, con dentro i più forti, i più furbi, e fuori tutti quelli che voglio entrare per essere anche loro rispettati, forti, e per diventarlo tramano, si vendono, rubano, diventano giullari per farsi notare, per avere il loro posto al sole nelle grazie dei nuovi castellani. Si torna al punto di partenza, “masse” che dimenticano di essere tali, che dimenticano se stesse e si fanno a loro volta elìte contro quella parte di esclusi che si rivolteranno e il ciclo ricomincia. Serve ben altro che un nuovo comandante alla testa di questa folla disperata che non seguirebbe comunque nessuno bruciata da anni da promesse mai mantenute giunte da ogni dove. Non esistono fisicamente luoghi da conquistare e non esiste la necessità di avere una Carta Costituzionale, perché c’è già. Esiste però la necessità di applicarla quella Carta Costituzionale affinché non diventi definitivamente solo un cimelio esposto sotto vetro da fotografare. Non è perfetta ma è un pilastro che regge la nostra società e al quale fare riferimento per ricominciare ogni qualvolta esiste un tremolio istituzionale, come succede oggi. Ripartire dai suoi articoli fondamentali, e applicarli finalmente, spazzare via la sporcizia che rende opache le sue pagine, che oscura i suoi articoli scritti con il sangue di tanti patrioti. Applicare, non abbattere, applicare. Richiamarsi alla nostra Carta in modo intermittente solo quando fa comodo, solo quando serve a ricompattare il consenso, solo quando c’è bisogno di cercare un elettorato, è cosa meschina, quei fogli non sono un paravento dietro cui occultare innominabili malefatte, non è un simbolo da mostrare al mondo come un trofeo. Spesso si dimentica volutamente di spiegare che li dentro, in quelle pagine è scritto l’indirizzo di quella casa di tutti che ancora dopo tanti anni non abbiamo ancora raggiunto, persi come siamo nel sottobosco fumoso dell’individualismo , delle divisioni forgiate ad arte per indebolire, delle lotte intestine tra chi ha poco e chi ha niente. La Bastiglia si abbatte oggi senza archibugi, consapevoli che la forza deve ritrovarsi principalmente nel percorso culturale che una società evoluta come la nostra richiede, nella convinzione che l’utilizzo del consenso può comunque scardinare il male e ristabilire con equità la giusta distribuzione del bene comune. Per farlo non servono solo le piazze a catalizzare la protesta perché dopo la piazza sempre tutto si squaglia, si diluisce, si dimentica, e spesso si ottengono nuove divisioni tra chi non capisce che ha già un sèguito, ma di dimensioni ininfluenti, divisioni e parcellizzazioni tra chi vuole le decisioni itineranti nell’oblìo mediatico e chi vorrebbe imporsi centralisticamente come guida delle coscienze. Ci si domanda a cosa sono serviti i sacrifici di ieri, a cosa servono e se servono le sofferenze di oggi, ci si domanda se esiste anche una sola possibilità di riscatto per le “masse” moderne già coscienti di quanto sta succedendo alla loro esistenza. Ma se è vero che queste sono già “coscienti “ della loro difficile esistenza, se è vero che solo nella disponibilità di pochi si concentra ciò che a loro manca, allora è anche vero che ogni riscatto è possibile, senza sopraffazione degli uni sugli altri, senza eclatanti sommosse. Ma come? Come riportare a un equilibrio sociale che sia per tutti sostenibile? Come garantire i diritti e avere il rispetto dei doveri? Come estirpare le condotte malavitose che hanno incancrenito le Istituzioni rendendole dei bancomat dove pescare a piene mani? Come costruire la città del rispetto reciproco? Sembrerebbe impresa improba, impossibile. Ma non è così. Nulla è impossibile se esiste la volontà, nulla è negato se nasce una nuova cultura politica. Come scalare l’Everest senza bombole di ossigeno? Forse…… E’ solo la cultura politica alla base di ogni evoluzione, alla base di ogni società, se va nella direzione sbagliata ci saranno sempre i furbetti che vorranno e potranno riempirsi le tasche a discapito di tutti gli onesti, ma se va nella direzione giusta ognuno avrà ciò di cui avrà bisogno senza prevaricare i diritti degli altri. Ma va invertita la rotta con saggezza e ragionamento, senza ascoltare le sirene virtuali che lanciano anatemi dalle loro torri, dai loro loculi virtuali evocando distruzione senza costruzione. Ed è la cultura politica che porta all’aggregazione e non viceversa come da sempre sbagliando si tenta di fare nelle riunioni catacombali di chi si atteggia a nuovo generale del popolo. Federare, unire, tentare di amalgamare per convenienza, per timore di perdere privilegi, ciò che non può essere unito o amalgamato porta al declino, non solo dei soggetti ma dell’intero sistema, forzare su questo convincimento unitario senza basi condivise ha breve durata, prima poi la divergente veduta sulle questioni rende verità, si evidenza, e gli esempi non mancano. Non va incastrato in un paio di braghe troppo strette il destino di un popolo solo per la bramosia del potere di un gruppo. Oggi le “masse” sono strette in questa morsa qui, da una parte nessun luogo dove trovare ascolto e dove creare una cultura politica nuova in grado di essere davvero condivisa, dall’altra la casta dei Don Rodrigo che prima chiede il consenso e poi le respinge, da un’altra ancora cantori dell’etere urlanti che lanciano anatemi attirando coscienze inquiete e facilmente condizionabili da improbabili costruzioni di nuove “Città del Sole”. Ma è dunque possibile riequilibrare il nostro sistema senza per questo abbatterlo? È possibile. Partendo da ciò che di solido esiste nella coscienza degli uomini, perché non tutto è da gettare, anche nelle Istituzioni. Ma serve quella volontà che al momento sembra ancora latitante…
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