Le notizie comprate che ci vengono vendute

Le sfide, soprattutto quelle politiche e politico-militari, ormai si giocano a colpi di fake news, di fotomontaggi, di immagini decontestualizzate, di massicci illeciti ricorsi all’Intelligenza Artificiale, di talk show con platea sponsorizzata, di notizie taciute o enfatizzate ad arte, di pressioni o lusinghe finanziarie, di virus, trojan e altri malware in grado di mandare in tilt un sistema informatico…

Una delle nazioni più navigate nel gestire un tale tipo di comunicazione è Israele.
In termini bellici, la serie di guadagni garantita da un siffatto uso pilotato e deviato della comunicazione è considerevole, fino ad arrivare, talvolta, a contare più delle armi stesse.
Questo lo si vede chiaramente nella guerra che da più di un anno si sta combattendo in Medio Oriente, e per mano di una sola delle parti in causa, ovvero, appunto, Israele.
L’altra, la Palestina, il conflitto può solo subirlo non possedendo i mezzi materiali per combatterlo attivamente.
La sua guerra, se così si può dire, consiste nel continuare a resistere, a non cadere, e in null’altro; perché le ONG sono state screditate; i giornalisti uccisi, allontanati, o silenziati; gli intellettuali non allineati esposti al pubblico ludibrio, incarcerati, espulsi o messi in condizione di scegliere l’esilio, le televisioni oscurate, la presenza al fronte condizionata dalla supervisione della censura. Persino i più alti rappresentanti ONU sono stati dichiarati persone-non-gradite e perciò non ammesse in Israele, e l’ONU stessa, come istituzione, è stata accusata di essere una palude antisemita in un discorso durissimo di Netanyahu.

Ebbene, come sia possibile allo Stato ebraico riuscire ad orchestrare tutto ciò, sarebbe difficile a credersi se non si considerassero almeno due cose:

1) La valanga di dollari che ad esso vengono elargiti dagli Stati Uniti, i quali in barba ad ogni limite imposto dalla decenza della morale naturale e del diritto civile, militare ed internazionale, continuano ad appoggiare e a foraggiare l’alleato israeliano con la vendita delle armi e opponendo in modo sistematico il veto alle Nazioni Unite, evidentemente anteponendo a tutto ( la sete dopo la distruzione delle condutture e dei desalinizzatori, la cura dopo la distruzione degli ospedali, l’esposizione di ogni individuo in ogni circostanza al tiro dei cecchini, i continui ed estenuanti spostamenti delle famiglie in cerca di una maggior sicurezza comunque mai garantita, ecc. ) la procura assegnata ad Israele in Medio Oriente per il controllo della regione e per il ruolo di antagonista nucleare dell’Iran, nonché per il peso economico che molti ebrei della diaspora americana, tradizionalmente istruiti, intraprendenti ed abili in campo finanziario e perciò in grado di costituire una lobby, hanno negli equilibri politici ed elettorali degli States. 

2) L’impiego di 2 milioni di dollari affinché fosse artatamente portata avanti una campagna che il Governo israeliano ha commissionata alla STOIC, una società di comunicazione con sede a Tel Aviv, in cui l’avversario fosse diffamato e presentato all’opinione pubblica mondiale come il solo responsabile delle azioni più turpi.
Il tono tra l’apocalittico e il messianico della seguente frase di Netanyahu si presta bene a rendere l’idea:
Questa è una guerra tra i figli della luce e i figli delle tenebre. Non cederemo nella nostra missione finché la luce non vincerà l’oscurità.
La quale, incrociata con quella di Moshe Sharett ( all’epoca premier a seguito delle dimissioni di Ben Gurion ):
Le azioni di rappresaglia sono la nostra linfa vitale. Con esse possiamo mantenere alto il livello di tensione tra la popolazione e nell’esercito. Israele si deve inventare i pericoli e per farlo deve adottare il metodo della provocazione e della ritorsione, nonché  con quell’altra del Ministro della Difesa Yoan Gallant:
Niente elettricità, niente cibo, niente benzina, niente acqua. Combattiamo contro degli animali umani e agiamo di conseguenza, dovrebbe riuscire a mostrare come non sia così strano che siano state fatte dichiarazioni pubbliche relativamente ad episodi che, in quanto parte della narrazione del Governo, o della TV accreditata, o di giornalisti embedded istruiti preventivamente nelle loro mosse e nelle loro dichiarazioni da psicologi e sociologi specializzati nella strategia della acquisizione del consenso e nei modelli matematici della teoria dei giochi, deformano il reale ad uso e consumo delle loro finalità.

E’ alla luce di ciò che si devono leggere nel contesto dell’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 al kibbutz Be’eri, le notizie sui casi del feto infilzato con un pugnale dopo che la madre era stata squartata, di diversi bambini messi in un forno e bruciati vivi, di 40 neonati decapitati nel kibbutz di  Kfar Aza: tutte false.
Ecco le fonti che lo attestano, ovvero i giornalisti di inchiesta Nir Hasson e Lisa Razobsky del quotidiano israeliano “Haaretz” ( riguardo i primi due fatti ), e la giornalista Nicole Zedek, in forza ad una emittente israeliana vicina a Netanyahu che, sbugiardata, ha dovuto smentire se stessa e scusarsi, riguardo il terzo.

Anche per la notizia delle ragazze violentate nel corso del blitz dei miliziani bisognerebbe pretendere qualcosa di più della semplice narrazione israeliana, la quale dovrebbe alimentare qualche dubbio in coloro che si pongono verso le informazioni con un minimo di attenzione critica: in una situazione in cui tutto doveva svolgersi nella massima rapidità e in cui si doveva sfruttare ogni attimo per catturare più ostaggi possibile prima del sopraggiungere dei soldati israeliani, davvero qualche miliziano ha ritenuto di attardarsi a consumare uno stupro sul posto?

Tuttavia non esistono solo cose che si dicono e sono false, ma anche cose che non si dicono e sono vere.
Ad esempio quelle sulle persone colpite intenzionalmente alla schiena con un singolo micidiale proiettile, come lasciano intendere testimonianze oculari, immagini fotografiche e riprese video fornite da Amnesty International.
Oppure come quelle sulle vittime di un incendio che secondo l’ IDF si sarebbe senza sua intenzione propagato a seguito di uno strike su un ospedale bombardato perché ritenuto scudo umano per terroristi  della Striscia, al vicino accampamento di tende con persone sfollate. Incendio che invece era di tutt’altra natura. La testimonianza è del padre di Duua:
Un soldato […] in abiti civili è andato alle tende, ha versato benzina sul legno e sul nylon e poi gli ha dato fuoco. Ha incendiato la tenda dove giaceva mia figlia Duua. Guardavamo tutti mentre le fiamme la avvolgevano, e carri armati e soldati sparavano ovunque. Non potevo urlare; non c’era nessuno con cui parlare. Con chi potevo parlare? Con i carri armati che non smettevano di sparare? […] Sono tornato, ma di lei non è rimasto nulla.
Chi era Duua lo sappiamo da Middle East Eye, giornale indipendente on-line specializzato in questioni mediorientali: una donna 34enne disabile con paralisi cerebrale, incapace di parlare e di muoversi autonomamente.
Oppure come quelle sulle amputazioni traumatiche. Leila Al Kafarna racconta a Human Rights Watch quanto accaduto su suo figlio Malek:
Malek, mio figlio di 13 anni ed io, siamo andati al mercato. All’improvviso ho sentito qualcosa che non andava. Presi la mano di Malek e gli dissi che dovevamo andarcene, e fu allora che sentii qualcosa che si rompeva dalle pareti. Ho alzato lo sguardo mentre il missile stava colpendo il supermercato e ho perso conoscenza.
Mi sono svegliata con un fuoco vicino al viso, tipo a un metro di distanza, e stavo ancora tenendo il braccio di mio figlio.
Gli stavo urlando di correre veloce prima che bombardassero di nuovo, e poi mi sono sentita come se mio figlio fosse leggero, come se non ci fosse peso sul braccio. Quindi, ho guardato e non ho visto mio figlio vicino a me.
Ed è stato allora che ho scoperto che gli tenevo solo il braccio.

Nel frattempo Israele continua in quello che è sempre più chiaramente un genocidio verso i palestinesi.
E sempre più un suicidio verso se stesso; come, con grande inevitabile sofferenza, scrive l’intellettuale ebrea Anna Foa.

Fulvio Baldoino

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