Le condizioni della democrazia

Le condizioni della democrazia
liberare le coscienze e la società dalle nuove forme di soggezione e di classismo

I parvenus, gli arrivati, quelli che hanno avuto successo, sviluppano una sicurezza e una stima di sé che fa perdere loro non dico la misura ma il senso stesso della realtà.  Quando poi hanno accesso ai media, e a quei format televisivi a mezza strada fra lo spettacolo e il dibattito politico, tutto il loro disprezzo verso il popolo bue ha modo di manifestarsi appieno. È il caso di quel borioso editorialista del Corriere che qualche tempo fa, nel talk show condotto da Del Debbio, ebbe a definire Putin un dittatore comunista e sovietico l’esercito russo.  Sentendolo pensai che avesse bevuto qualche bicchiere di troppo o assunto qualche sostanza obnubilante.  Passi dare a Putin, presidente regolarmente della federazione russa, del dittatore ma accusare di essere comunista uno che il comunismo reale lo ha distrutto funditus nella teoria e nella pratica e definire sovietico l’esercito russo quando in Russia rimane tanto poco del regime sovietico che, a differenza di quel che accade in Italia col fascismo, non solo non fa più paura ma nella coscienza collettiva la sua eredità è stata elaborata e storicizzata senza bisogno di continuare a dar calci al suo cadavere e senza perdere il sentimento nazionale e la memoria storica, che si mantengono intatti.

Poi però a distanza di diverse settimane vedo lo stesso borioso giornalista pontificare nel corso di un dibattito televisivo vivacizzato, si fa per dire, dalla giovane coppia di conduttori che fingono di battibeccare fra di loro.  E di nuovo tira in ballo il “dittatore comunista” russo – ci mancava il pazzo e sanguinario, ma forse era sottinteso -, andando oltretutto fuori dal tema del salotto, che verteva sul divorzio alla Casa Bianca fra Trump e Musk.  Ora per quanto boria e ignoranza possano essere strettamente correlate è impossibile che il nostro uomo non sappia che il suo giudizio su Putin è campato per aria.  Si può dire che sia un pessimo governante, che abbia preso decisioni sbagliate, si può esprimere qualsiasi opinione per quanto arbitraria ma se uno in buona fede sostiene che Putin sia comunista e che in Russia ci sia ancora un regime moralistico e ideologizzato come il collettivismo dei soviet non c’è che ricorrere al trattamento psichiatrico. Ma il nostro non è matto:  è convinto che ai telespettatori, e, in generale, al popolo bue, si possa somministrare qualsiasi sciocchezza ed è rafforzato in questa convinzione dai suoi pari, gli altri parvenus, gli altri e le altre opinioniste di successo, che nessuno legge sulla carta stampata ma adempiono scrupolosamente attraverso la televisione e i social la funzione di brainwashing assegnatagli dal sistema di potere politico ed economico-finanziario.

In un campione sufficientemente ampio di individui estratto all’interno di gruppi della società civile diversi per ruolo e status, operai, imprenditori, artigiani, militari, insegnanti, dirigenti pubblici e privati, ecc., l’intelligenza come ogni altra caratteristica della personalità si distribuisce in modo normale.  La probabilità che ci siano persone eccezionali  o borderline, con Super Io severissimo o psicopatici privi di coscienza morale, conformisti o creativi è la stessa.  Mattarella potrebbe essere il vicino della porta accanto, la Meloni la commessa della panetteria davanti a casa, il governatore della banca d’Italia un impiegato del catasto.  A questa regola non sfuggono nemmeno i creativi di professione, la maggior parte dei quali di creativo hanno ben poco e quegli stessi che lo sono a pieno titolo devono ringraziare le circostanze che hanno loro consentito di mostrarsi per quello che sono.  L’unico grande romanziere italiano del dopoguerra, Tomasi di Lampedusa, ha avuto un riconoscimento postumo e del tutto casuale: la sua opera poteva tranquillamente rimanere in un cassetto e andare perduta.  In tutti i campi è la fortuna, quella che ha i beni del mondo nei suoi artigli, a far emergere dall’anonimato quelli che ne sono toccati e portati al centro della scena ed è un puro caso se fra di loro ci sono individui all’altezza del ruolo che si trovano a ricoprire.  Nessuna meraviglia allora se il prestigioso editorialista di un prestigiosissimo quotidiano usa quel ruolo per accreditare delle palesi assurde menzogne.

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“Non abbiate paura”; chi non ricorda le parole del papa polacco rivolte al popolo dei credenti;  a me viene voglia di dire “non abbiate soggezione”, rivolgendomi ai miei connazionali.  Non vi fate intimorire dal denaro, dalle uniformi, dallo status.  Non c’è niente di peggio di un popolo di pecore, che tali restano anche quando si imbizzarriscono e esplodono in una rabbia sfrenata.  L’esercizio della ragione, dell’intelligenza, del pensiero critico è l’arma più temuta dai potenti, dalle nuove oligarchie, da quanti hanno tratto vantaggio da un sistema che genera disuguaglianza.

Questa consapevolezza è alla base di una autentica democrazia, nella quale l’égalité illuministica e rivoluzionaria non è una graziosa concessione di scrittori aristocratici alla plebaglia ma un’evidenza che si impone in ogni ambito:   un’uguaglianza di principio che si concilia con la diversità dei singoli individui, per la quale nella piramide sociale chi è al vertice sa che deve temere il giudizio di chi alla base è probabilmente migliore di lui.

La scolarizzazione di massa ha messo a nudo i potenti, ha abbattuto steccati secolari, ha restaurato il senso della comune umanità ma espone ad altri strumenti di intruppamento e di distrazione:  il consumismo, le ideologie – nuova versione degli idola theatri,- e, non ultimo, lo stordimento delle nuove generazioni attraverso il culto del fisico, la musica, le sostanze stupefacenti. Ma il sistema di potere minacciato dalla emancipazione culturale delle masse ha nelle sue mani un’arma più micidiale:  il depotenziamento della funzione formativa attraverso l’appiattimento dei diversi ordini di istruzione.  Col pretesto della lotta alla scuola classista si è sostituito una struttura verticistica, che per sua natura è selettiva e meritocratica e per esserlo deve ricorrere al rigore e alla complessità dei contenuti, con un piattume che ha messo i licei al livello degli istituti professionali e ha tolto a questi ultimi ogni rapporto con il bisogno sociale di competenze tecniche.  Per dirla più brutalmente:  il sistema di potere teme un’istituzione formativa stimolante, che a tutti i livelli promuova il senso critico, la consapevolezza del proprio valore, il pieno sviluppo delle capacità cognitive e del potenziale intellettivo.  Il problema della formazione nel nostro Paese non è che nessuno, nemmeno chi lo insegna, conosce più il latino (non dico il greco antico) ma che la stessa ignoranza, la stessa banalizzazione, la stessa faciloneria pervade tutte le discipline, che non sono più un ostacolo o un muro da scalare con fatica e sofferenza;  fatica rinunce, sacrificio:  altro che “star bene a scuola”, la formula che ha inaugurato il nuovo corso verso l’ignoranza e il conformismo.

Il concetto di classe dirigente, avallato dal santificato Gramsci, è un’aberrazione pari solo a quello di “intellettuale” e non per niente hanno la stessa matrice.  Non a caso l’uno e l’altro sono peculiarità della politica e della cultura italiane e sono la cartina di tornasole della totale assenza di democrazia nel nostro Paese.

Dirigente e intellettuale

I dirigenti esistono, negarlo significa mettersi al livello degli anarchici da osteria; ma il potere decisionale non è un privilegio ma una responsabilità; e bisogna assolutamente impedire che quel potere si diffonda oltre il proprio ambito e che si costituisca una classe di dirigenti.  Il concetto di classe va sradicato dalla realtà e dalle coscienze.  Soggetto della società sono gli individui non le classi.

Ed esistono anche gli studiosi, le persone che dedicano il loro tempo e la loro vita per mestiere o per libera scelta ad attività intellettuali.  A parte la difficoltà nel segnare un confine fra pensiero e azione, fra lavoro manuale e lavoro intellettuale, è ragionevole riconoscere che ogni passo che compiamo, se non siamo automi o sonnambuli, è illuminato dall’intelligenza come tutte le nostre scelte (che non vuol dire che siano corrette).  Ne consegue che non solo gli uomini ma tutti gli animali che esibiscono un comportamento finalizzato sono intellettuali e l’idea che ci sia qualcuno più intellettuale di un altro è ridicola.  Certo ci sono persone più colte e meno colte, più intelligenti e meno intelligenti ma intanto cultura e intelligenza non coincidono e in secondo luogo ci sono tipi diversi di intelligenza.  Quel che è certo è che l’idea che qualcuno sia un “intellettuale” è semplicemente grottesca.

La pretesa di educare, di sensibilizzare, di orientare è orribile.  Il leader politico non deve guardare ai cittadini dall’alto del suo scranno; non è un pastore che si prende cura delle sue pecore.  Il leader politico deve risolvere problemi, deve amministrare la cosa pubblica quando gli tocca di governare e proporre soluzioni alternative quando è all’opposizione.  La sinistra non si è mai liberata del peccato originale del didascalismo,della pretesa di essere detentrice di valori, non portavoce di interessi.  Ora che di questa supponenza sono investiti gli attuali dirigenti del Pd, dell’AVS o degli avanzi del renzismo siamo alle comiche.  Ho tirato in ballo la sinistra ma faccio subito ammenda.

 Tutto il peggio della sinistra storica e tutto il peggio del conservatorismo si sono miscelati nel calderone della politica italiana, dove i partiti, la maggioranza, le opposizioni sono una truffa linguistica.  In Italia non c’è ombra di democrazia, la dialettica politica è una farsa per distogliere l’attenzione da un sistema totalitario che esclude qualunque voce dissonante:  sull’intoccabilità di privilegi consolidati, sugli stipendi, sull’esosità del sistema fiscale diretto e indiretto, sulla mancata rivalutazione delle pensioni, sull’assenza di una politica estera, sull’acritico appoggio all’Ucraina la politica è assente, il popolo non ha voce, deve solo ascoltare, farsi plagiare, subire e rassegnarsi.  “Credere, obbedire, combattere”:  il peggio del fascismo non è nel Ventennio:  è qui, ora, ci siamo dentro e non c’è traccia di resistenza.  L’Italia sprofonda nella chiacchiera, è caduta nelle mani flaccide della mediocrità, dell’inconsistenza politica e culturale, di mentitori di professione.  Un oltraggio alla storia e un tradimento del ruolo che le deriva dalla sua posizione al centro del mare nostrum.

E non vedo altra via d’uscita se non la rivolta contro i presunti kalòi kagathòi che si illudono di poter fare il bello e il cattivo tempo, come i politici impuniti che a forza di ripetere di aver abbassato le tasse o bloccato l’invasione finisce che ci credono pure loro o il giornalista spudorato convinto di poter far leva sull’ottusità e l’ignoranza di chi l’ascolta per lasciarsi andare a qualsiasi interessata scempiaggine.

Pierfranco Lisorini

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