Lavoro, capitale e buonsenso

I diritti dei lavoratori sono stati decimanti per permettere ai padroni di guadagnare sempre di più. Ha vinto il capitale la celebre diatriba e i lavoratori sono diventati un costo da ridurre per incrementare i profitti. Ideologia neoliberista, più i padroni fanno soldi più l’economia cresce più a cascata tutti ne beneficiano. Già, come no. Ma oggi comanda l’economia sulla politica quindi non borbotta nessuno. È storia recente. Siamo diventati una repubblica fondata sul profitto, non sul lavoro. E la sovranità appartiene al mercato invece che al popolo.

Cruda realtà. Mentre pochissimi privilegiati svolgono lavori che amano, gran parte si sono dovuti accontentare di lavori malpagati pur di riuscire a mantenere la famiglia ma anche lo stato e le banche. Si rimane incastrati in una stressante vita ordinaria pur di tirare avanti. I lavori a livello di schiavitù sono passati invece agli immigrati mentre chi corre in mutande dietro ad una palla continua a guadagnare in poche settimane quello che un povero cristo guadagna in una vita intera. E ci hanno pure convinto che abbia senso e che non vi siano alternative. Pur di pagare meno il lavoro, il capitale è emigrato all’estero dove vige lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo come nel capitalismo degli albori, ma lontano dagli occhi e quindi dal cuore. Il tutto per produrre perlopiù roba inutile per soddisfare bisogni superflui o addirittura al solo scopo di grafitare meschinità egoistiche come la moda o il lusso. Enormi cargo stracolmi di container attraversano il pianeta inquinandolo per trasportare all’andata droga consumistica e al ritorno la sua essenza di spazzatura che non sappiamo più dove nascondere.

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La novità degli ultimi anni è l’entrata in scena dell’economia virtuale, quello che un tempo si chiamava finanza è diventata un casinò globale in cui il capitale scommette su se stesso oltre che sulla pelle dei poveri cristi. Un’economia senza volto che ha raggiunto dimensioni spaventose e con pochi click può determinare la politica di intere nazioni soprattutto se indebitate fino al collo. Nel mondo reale intanto, il neoliberismo fa di tutto per rimandare l’appuntamento con la sua contraddizione di fondo. Da una parte deve sfruttare il lavoro per incrementare i profitti e dall’altra i lavoratori devono avere abbastanza soldi per consumare. Il neoliberismo sfrutta infatti l’uomo due volte, prima come lavoratore, poi come consumatore. Un tempo c’era la classe media che comprava, i poveri cristi che sgobbavano in fabbrica e i capitalisti che veleggiavano in camice di seta. Oggi la classe media sta scomparendo e la ricchezza si concentra nelle mani di una cerchia sempre più ristretta di paperoni. Ed ecco il boom dell’industria del lusso e delle vanità per i ricchi in cerca della felicità a pagamento, ed ecco la necessità di prezzi accessibili per le masse impoverite e quindi ulteriore sfruttamento del lavoro per ridurre i costi. Ormai siamo alla follia.

Con una manciata di persone che posseggono più soldi di interi paesi mentre il pianeta si sta trasformando in una discarica anche morale e le masse vengono tartassate dalla mattina alla sera di pubblicità per spendere gli spiccioli che gli rimangono in tasca. Autodistruzione in nome di un falso benessere tutto materiale. Eppure non si riesce a fermare il treno in corsa e questo perché conduce il mercato mentre la politica e quindi i cittadini hanno perso sovranità. Ragioni ideologiche neoliberiste ma anche di ricatto finanziario. Il mercato non ha né cuore né cervello e fa l’unica cosa che sa fare e cioè profitto ad ogni costo, il vero problema è la politica che non svolge più il suo ruolo di legittima leadership democratica. Una politica che ridoni una visione sensata d’insieme, disintossicando la società dalle dipendenze anche consumistiche, imponendo livelli di giustizia sociale accettabili, prevenendo la distruzione del pianeta, mettendo la vera qualità della vita e non la mera crescita al centro ed impedendo lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo in modo che il lavoro torni ad essere dignitoso contributo invece che sofferenza per sopravvivere. Nessuna rivoluzione, puro buonsenso.

Tommaso Merlo 
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