Latin Lover e la Banana di Magilla: il referendum come specchio dell’Italia che si cerca

Latin Lover e la Banana di Magilla: il referendum come specchio dell’Italia che si cerca

Nella settimana in cui si chiude la campagna referendaria dell’8-9 giugno, Elly Schlein cerca di mobilitare il popolo progressista con toni accesi e un’aria da ultima occasione. Ma c’è qualcosa di stonato, o forse semplicemente troppo familiare, nella dinamica politica italiana di questi giorni, dove i ruoli si invertono, i significati si mescolano e le intenzioni si confondono, come in una puntata di Pippi Calzelunghe: tutto può essere sovvertito, persino il senso comune.

L’Italia guarda al referendum con lo stesso spirito con cui Magilla Gorilla osservava il mondo dal negozio di animali: dentro una gabbia, ma con la speranza che prima o poi qualcuno lo porti via, magari capendone il valore. Come Magilla, il popolo italiano sembra esposto nella vetrina democratica, in attesa che qualcuno lo adotti sul serio. Ma chi vuole davvero questa partecipazione? Chi è disposto a pagare il prezzo – cioè andare a votare e assumersi la responsabilità del cambiamento?

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Elly Schlein invoca la mobilitazione, ma sa bene che il vero avversario non è Giorgia Meloni, bensì l’astensione endemica che trasforma ogni referendum in un balletto stanco. Meloni, da parte sua, adotta la tattica dell’ambiguità: «Vado ma non voto», una trovata che sarebbe piaciuta a Totò, maestro dell’arte dell’illogico. Ma qui non si ride: questo è il momento in cui spes ultima dea diventa non una frase latina da liceo, ma una domanda politica. L’ultima speranza è che qualcuno, chiunque, creda ancora che la democrazia partecipativa abbia un senso.

La schizofrenia istituzionale si misura anche nel lessico: si parla di precarietà, lavoro, cittadinanza, ma le emozioni che guidano l’elettorato restano più vicine alla canzone Latin Lover di Gianna Nannini che alla Costituzione. «Non è peccato se Dio è distratto», canta Gianna: e forse è questo il problema. Un Paese dove Dio è distratto e la politica è troppo occupata a fare calcoli per accorgersi che nel frattempo si è persa la fiducia collettiva.

Nel confronto Schlein-Meloni si sente l’eco di una contesa tutta italiana tra due approcci: quello craxiano, diretto e decisionista, e quello alla Totò, fatto di maschere, ironie e mezze verità. Ma né l’uno né l’altro sembrano bastare oggi. Craxi, almeno, offriva un’idea di forza e riformismo, Totò regalava un sorriso intelligente sulla condizione umana. La politica attuale pare invece in bilico tra il moralismo sterile e il tatticismo stanco.

Nel corteo per Gaza annunciato dalla sinistra per il 7 giugno, si mescolano motivazioni genuine e strumentalizzazioni inevitabili. In un Paese normale si potrebbe discutere serenamente di limiti e legittimità. Ma l’Italia non è un Paese normale: è un Paese in cui ogni gesto è interpretato secondo lo schema dell’appartenenza, dove anche la pace diventa un simbolo da brandire più che da costruire.

E così, mentre si avvicina un voto che dovrebbe parlare di diritti, di lavoro, di cittadinanza, molti italiani si rifugiano nel silenzio, come se la politica fosse una lingua ormai troppo distante. Intanto, i leader danzano attorno al quorum, consapevoli che ciò che conta non è tanto vincere il referendum, quanto usarlo per ribadire la propria narrazione.

Forse aveva ragione Pippi Calzelunghe: “Non sono mai stata in grado di obbedire a un ordine, solo perché era un ordine”. Forse è questo il punto: gli italiani non vogliono più ordini, né slogan. Vogliono qualcuno che li tratti da adulti, che dica la verità, che li coinvolga senza ingannarli. La banana di Magilla, in fondo, è ancora lì: simbolo ingenuo di un desiderio semplice. Essere presi sul serio.

E allora, chi voterà davvero? Chi prenderà quella banana?

Antonio Rossello       CENTRO XXV APRILE

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