L’ABOLIZIONE DELLE ELEZIONI
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L’ABOLIZIONE DELLE ELEZIONI di Patrizia Turchi Con gli ultimi provvedimenti in materia di enti amministrativi (scomparsa delle Circoscrizioni cittadine e delle Province), ma soprattutto con le vicende di governo, pare si vada senza remore verso l’idea che le elezioni siano inutili e che producano step superflui all’azione esecutiva. Già le elezioni comunali, con le modifiche imposte dalla legge 81, hanno prodotto una sostanziale imbavagliamento delle assemblee elettive che, senza contare il ridotto ruolo assegnato al Consiglio comunale, sono superate dalla figura del sindaco -scelto direttamente dalla cittadinanza, con un sopravanzamento inusitato della personalizzazione della politica a discapito del ruolo ormai asfittico dei partiti- a cui fanno riferimento gli assessori (licenziabili al pari di uno staff di una qualunque azienda), che non appartenendo più al Consiglio (almeno per i Comuni di una certa consistenza) perdono il collegamento con la compagine politica che forma la maggioranza di governo.
A livello nazionale siamo stati vittime di una legge elettorale incostituzionale che ha prodotto non solo sconquassi ma anche una distorta percezione della realtà. Tale da far dire -senza essere smentito- a Berlusconi d’essere l’ultimo Presidente del Consiglio eletto dal popolo. Oggi assistiamo ad un capovolgimento assoluto del concetto di parlamentarismo, e persino dell’idea che le elezioni servano a produrre rappresentanza, e conseguentemente ipotesi e proposte di governo.
La vicenda del PD, uno degli attori più importanti nella trasformazione della politica in spettacolo, si era avviata già malamente con l’investitura inefficace di Bersani come possibile capo della coalizione. Ma si è inserita, indisturbata, in un contesto del tutto anomalo ma reso apparentemente normale, fluido, logico. Va ricordato che Berlusconi ed il suo governo, mai sfiduciato dal Parlamento, fu sostituito -per iniziativa del presidente Napolitano- da un senatore nominato poche ore prima: Monti. Il quale, mai sfiduciato, lasciò -dopo un governo di centro-destra/centro-sinistra, il campo alle elezioni del 2013.
Elezioni che per effetto paradossale della legge elettorale di Calderoli (il famigerato Porcellum) e l’avvento del M5S, non seppero produrre scelte univoche nel campo ormai tripolare, e il Capo dello Stato tenne così a battesimo il suo secondo governo presidenziale: quello di Letta, anche questo di “larghe intese”, dopo la inverificata inefficacia di Bersani. Dopo neppure un anno, assistiamo ad un cambio di governo, del tutto incompreso dalla stragrande maggioranza del Paese. Questo per effetto di una consultazione tutta interna ad unpartito, il PD, che chiamò nel dicembre 2013 alle “pseudo-urne” delle Primarie 2.800.000 persone (Renzi raccolse 2 milioni di voti) e a cui del tutto follemente poterono partecipare alla scelta del segretario anche persone non iscritte. Primarie che furono spettacolarizzate in modo estremo, grazie ad un investimento massmediatico di proporzioni abnormi. Una consultazione che -ripetiamo- riguardava un solo partito dove ovviamente la scelta poteva cadere solo su un esponente di quel partito, che ha avuto come effetto di sostituirsi del tutto completamente alle elezioni vere:
il votato segretario Renzi diviene -del tutto naturalmente– il Presidente del Consiglio. Un governo rinovellato non nella sua composizione politica (è identico a quello dell’ultima fase del governo Letta, e questo è ancora più evidente dalla concreta conferma dei nomi dei principali ministri non PD) ma nella guida, con un Renzi che lancia un programma che ha evidenti tratti di maniacalità, che si attornia di “fedelissimi” (“le amazzoni di Matteo”, titola un quotidiano nazionale presentando alcune ministre, facendo così tabula rasa dell’eventuale idea di modernità concettuale derivante dalla presenza femminile nell’esecutivo), che più o meno esplicitamente ci fa sapere che il Parlamento è una perdita di tempo.
Dunque: possiamo affermare -senza timore di smentita- che le primarie di un solo partito, cioè del PD (che hanno coinvolto il 5% dell’elettorato italiano) hanno del tutto sostituito -senza contraltare- la valenza delle elezioni politiche.
A prescindere persino dalla legge elettorale (questione che si rende ancora più compiutamente evidente dalla parte del NCD, che è frutto di una scissione dal PDL e che ad oggi non ha mai superato alcuna prova elettorale e dunque non può contare su nessun voto tangibile) che viene sostituita dalle regole per le Primarie. Siamo di fronte ad un esercizio del diritto di voto assolutamente inedito, una sorta di suffragio anomalo, con un peso politico inusitato, esercitato da e all’interno di una sola compagine politica. Non è rassomigliabile neppure ad una consultazione popolare di tipo referendario, che almeno prevede la possibilità di un controcanto. Il distacco della politica dall’elettorato reale, che si evidenzia anche dall’elevatissimo astensionismo, confermato dalle recenti elezioni sarde, si autoalimenta senza sosta.
Persino il godibilissimo show di Grillo e della sua delegazione durante la consultazione con l’incaricato Renzi, blinda la politica al di là della vetrina dello spettacolo/evento. Una vetrina che pur esponendo merce per lo più sentita come degenerata almeno nella percezione popolare, non consente -di fatto- la partecipazione. Gli anti Renzi, infatti, avranno certamente colto nel monologo di Grillo elementi di identificazione, ma questi non sono funzionali al concetto di rappresentanza e condivisione collettiva ma viene relegata ad una mera sollecitazione d’opinione. E’ in atto, ormai da tempo, una profonda trasformazione del concetto di politica, almeno per come l’abbiamo conosciuto dal dopoguerra ad oggi, senza che apparentemente nessuno sollevi obiezioni o almeno produca analisi degne di questo nome. Se da parte di qualche sparuto commentatore giornalistico comincia a farsi strada l’idea che siamo di fronte “all’uomo solo al comando” e di “regime” senza però azzardare scenari che possano risvegliare un residuo senso di democrazia, dall’altra sembra non esservi in nessun modo risposta adeguata in termini politici.
Forse dobbiamo sperare (categoria concettuale astrusa e incoerente con l’ambito politico vero ma più attinente alla “fede”), aspettando passivamente che si chiuda la fase, e che i “cicli e ricicli storici” vengano in soccorso? Magari scoprendo a posteriori, come fu dopo il ventennio fascista, i tanti sedicenti democratici silenti.
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