La strategia della tensione (1969 – 1984)

LA STRATEGIA DELLA TENSIONE IN ITALIA
(1969 -1984)

LA STRATEGIA DELLA TENSIONE IN ITALIA
(1969 -1984)

 Con l’espressione “strategia della tensione” (calco di strategy of tension, comparsa la prima volta il 7 dicembre sul magazine inglese The Observer) in generale si intende la messa in opera di attentati terroristici finalizzati a destabilizzare governi democratici ritenuti inidonei a contrastare l’avanzata dei partiti comunisti in Occidente; in particolare quella attuata in Italia, soprattutto nel periodo che va dal 12 dicembre 1969 (strage di Piazza Fontana) al 23 dicembre (attentato al rapido 904), alla scopo di propiziare una svolta autoritaria del regime democratico parlamentare, (se non addirittura un golpe militare come quello che era avvenuto in Grecia nel 1967).


Strumento di questa strategia, come risulta dagli atti processuali e dalla documentazione raccolta dalla Commissione parlamentare sulle stragi –  furono i servizi segreti, più o meno deviati: il Sid, fino al 1977 e poi il Sismi e Sisde, la loggia massonica “coperta”P2 e alti ufficiali dell’esercito, mentre la manovalanza operativa è stata reclutata, oltre che tra elementi della criminalità organizzata,  tra i neofascisti fuoriusciti dal Msi – giudicato troppo moderato e “borghese”  – militanti di Ordine Nuovo e, poi, di Avanguardia Nazionale, di Ordine Nero, dei Nuclei Armati Rivoluzionari et alii. Rimangono certo molti omissis da chiarire; per esempio, sul ruolo svolto in quella strategia  dai ministri democristiani della Difesa e dell’ Interno, che non vedevano e non sapevano niente delle trame eversive;  ma questo è il quadro complessivo ormai passato in giudicato. E’ d’altra parte indubbio che in quegli anni (non per niente ricordati come “gli anni di piombo”) si combatté in Italia una guerra civile strisciante in cui agivano  terroristi neri che piazzavano bombe per provocare stragi, come a Milano, a Brescia, sul treno Italicus e a Bologna: ma anche terroristi rossi che miravano “al cuore dello Stato” – come se lo Stato avesse un cuore o  una sola testa da colpire – però sbagliando tragicamente bersagli e obiettivi (salvo a pentirsene dopo, ma con qualche eccezione) come avvenne nell’eccidio di via Fani, nel rapimento e nell’assassinio di Aldo Moro;  e anche agenti segreti, faccendieri vari, criminali comuni   e generali felloni.


Sulla strategia della tensione ha detto parole definitive proprio Aldo Moro nel suo Memoriale redatto durante la  prigionia in un covo delle Brigate Rosse: “La cosiddetta strategia della tensione ebbe la finalità, anche se fortunatamente non conseguì il suo obiettivo, di rimettere l’Italia nei binari della ‘normalità’ dopo le vicende del’68 ed il cosiddetto autunno caldo. Si può presumere che Paesi  associati a vario titolo alla nostra politica e quindi interessati a un certo indirizzo vi fossero in qualche modo impegnati attraverso i loro servizi d’informazione…Fautori ne erano in generale coloro che nella nostra storia si trovano periodicamente, e cioè in ogni buona occasione che si presenti, dalla parte di chi respinge le novità scomode e vorrebbe tornare all’antico.” E’ qui evidente l’allusione a chi vedeva come una sciagura la possibilità che il Pci entrasse in qualche modo a far parte di una maggioranza  a sostegno di un nuovo governo di centrosinistra. Per avere un’idea del clima che si respirava in quegli anni segnati da una scia di sangue che  ancora non sembra del tutto asciugata sono significative le testimonianze rese da alcuni protagonisti di quei nuclei armati combattenti, che in seguito si sono ravveduti. Prendiamo il caso dell’ex terrorista nero Luigi Ciavardini: “Nato a L’Aquila ma cresciuto a Roma, dove la famiglia si trasferisce per seguire la carriera del padre, maresciallo di polizia, Luigi è il minore di tre figli. ‘Non era una famiglia fascista la mia… E di fascismo, di destra, di Dc e comunisti, di politica in genere non si discute…Nella mia casa di Roma, piazza Mazzini 8. Sesto piano, dove vivo la mia gioventù libera’. A sedici anni – siamo all’inizio del 1978 –  comincia a frequentare la sezione del Movimento Sociale Italiano e, sempre in quell’anno, arriva il primo arresto e una condanna a due anni di reclusione per una rapina: ‘Ci sono finito (in carcere) per quella maledetta mania di armarsi…A casa di un rappresentante di gioielli portammo via due pistole’. In seguito aderisce a Lotta studentesca, prodromo di Terza Posizione in cui entrerà e lì stringerà amicizia con Nanni De Angelis e Giorgio Vale.


 Soprattutto con quest’ultimo Giavardini partecipa a diverse rapine di finanziamento ad alcuni istituti bancari e ad azioni dimostrative. come il lancio di una bomba incendiaria contro la casa di un vigile urbano. Ma l’evento decisivo che segnò l’inizio del suo percorso di combattente  nei Nuclei Armati Rivoluzionari fu l’incontro con Valerio Fioravanti e Francesca Mambro nella sua casa romana. Come racconta egli stesso: ‘Ho incontrato Valerio Fioravanti e Francesca Mambro la prima volta a casa mia. Siamo a fine gennaio, il 1980 è appena iniziato; sarà l’anno più intenso e drammatico della mia vita”. E difatti quell’incontro gli costerà caro: 13 anni di reclusione per l’omicidio dell’appuntato di polizia Francesco Evangelista (detto ‘Serpico’); 10 anni di reclusione per l’omicidio del sostituto procuratore Mario Amato; 30 anni di reclusione per la strage alla stazione di Bologna. Per le prime due condanne la somma dei 23 anni venne poi ridotta a 18 per continuità del reato, più altri 4 anni condonati: 2 per buona condotta e 2 per il condono del 1990. Il 23 marzo del 2009 Ciavardini ha ottenuto la semilibertà (da Wikipedia che, a sua volta, attinge da Tutta un’altra strage, di Riccardo Bocca, BUR, 2007). A questo punto merita di essere ricordata la nobile figura  del sostituto procuratore della Repubblica Mario Amato (Palermo, 24 novembre 1937 – Roma, 23 giugno  1980), lasciato solo a combattere contro l’eversione nera a Roma e nel Lazio, assassinato dai NAR per mano di Gilberto Cavallini e, appunto, Luigi Ciavardini.


 “Con Vittorio Occorsio (il magistrato assassinato dal neofascista di Ordine Nuovo Pierluigi Concutelli, il 10 luglio 1976) Mario Amato fu il primo magistrato a tentare una lettura globale del terrorismo nero. Attraverso i parziali successi delle indagini su singoli episodi terroristici disse davanti al Consiglio Superiore della Magistratura il 13 giugno 1980, giusto dieci giorni prima di essere assassinato: ‘sto arrivando alla visione di una verità d’assieme, coinvolgente responsabilità ben più gravi di quelle stesse degli esecutori materiali degli atti criminosi’. Amato riuscì a ricostruire le connessioni tra destra eversiva e Banda della Magliana e intuì i legami tra sottobosco finanziario, economico e potere politico. Tra l’altro aveva scoperto che i NAR cercavano un’alleanza tattica cin le Brigata Rosse (come auspicato da anni da Franco Freda, il teorico dell’alleanza tattica con il terrorismo di opposto colore e a quel tempo sotto processo per la strage di Piazza Fontana) , e che il gruppo di Fioravanti era organizzato alla stregua delle Brigata Rosse e stava diventando estremamente pericoloso. Fu però lasciato solo a svolgere queste indagini, isolato dai suoi stessi superiori e oggetto di continui attacchi da parte del collega Antonio Aliprandi (padre del terrorista dei NAR Alessandro, fedelissimo di Giusva Fioravanti). In una Procura della Repubblica che sarà poi chiamata spesso dalla stampa, riprendendo il titolo di un romanzo di Georges Simenon, Il porto delle nebbie. Amato era destinato ad entrare nel mirino della destra eversiva e terroristica. Ricevuto un diniego per l’uso di una vettura blindata, per le difficoltà di fargli arrivare alle 8,00 del mattino uno degli autisti (entravano in servizio solo alle 9,00), Amato non ebbe modo di giungere in sicurezza nel suo ufficio alla Procura, in piazzale Clodio. Mentre attendeva un autobus alla fermata posta all’incrocio tra Viale Jonio e Via Monte Rocchetta, il sostituto procuratore fu raggiunto da Gilberto Cavallini che gli esplose alla nuca un colpo di rivoltella fatale, per poi fuggire su una motocicletta che lo aspettava, alla cui guida era Luigi Ciavardini. Alla notizia dell’avvenuto assassinio, Giusva Fioravanti e Francesca Mambro festeggiarono, secondo le loro stesse dichiarazioni, consumando e brindando con champagne. Stilarono poi il volantino di rivendicazione in cui affermavano: ‘oggi Amato ha chiuso la sua squallida esistenza, imbottito di piombo’ “ (da Wikipedia).

 
Gilberto Cavallini e Valerio Fioravanti

Per la cronaca: Gilberto Cavallini, detto Gigi o il Negro, condannato a diversi ergastoli, è attualmente in stato di semilibertà. Valerio Fioravanti, detto Giusva, dopo 26 anni di carcere, è tornato a essere un libero cittadino la cui pena è considerata definitivamente estinta. Da tempo collabora, in quanto beneficiario di un programma di reinserimento di detenuti, con Nessuno tocchi Caino, l’associazione contro la pena di morte legata al Partito Radicale. Quanto a Francesca Mambro, il tribunale di sorveglianza di Roma le ha concesso, il 16 settembre del 2008, la libertà condizionale, accogliendo un’istanza del suo legale. Michele Leonardi, motivata dal fatto che, negli ultimi dieci anni di detenzione, l’ex terrorista “si sarebbe ravveduta e dedicata senza risparmiarsi alla riconciliazione e pacificazione con i familiari delle vittime”. Durante gli anni del carcere strinse amicizia con alcune ex nemiche ideologiche, appartenenti alle Brigate Rosse, tra cui Anna Laura Braghetti e Barbara Balzerani. Il provvedimento di libertà condizionale è terminato il 16 settembre 2013, quando la sua pena è stata definitivamente estinta. Anche lei collabora da tempo a Nessuno tocchi Caino (da Wikipedia). Da notare il percorso parallelo, su fronti opposti ma, infine, oggettivamente convergente, dei terroristi neri e rossi. Questa convergenza involontaria di terrorismo nero e rosso è stata descritta chiaramente, oltre che da storici come Giuseppe De Lutiis e Miguel Gotor, anche dal filosofo Emanuele Severino: “Se si suppone che coloro che si dichiarano rivoluzionari di sinistra lo siano per davvero, la questione, nei loro confronti, sembra subito chiusa: si tratta di gruppi sprovvisti della minima percezione della realtà in cui vivono e che si illudono di realizzare l’impossibile. Si apre però il problema di come sia possibile un vuoto teorico così impressionante, in qualche modo comprensibile nei giovanissimi, ma molto meno in chi li guida e in chi oggi teorizza la necessità di risolvere con una rivoluzione armata di sinistra i problemi della società italiana.


Questo terrorismo ‘di sinistra’ non può raggiungere gli scopi che dichiara di proporsi. Rispetto a questi scopi è smisuratamente inadeguato: nonostante il dramma delle persone che lo devono subire, non riesce a spostare di un millimetro la società italiana verso la rivoluzione di sinistra (corsivo mio)”. E questo già sarebbe dovuto bastare a tranquillizzare chi temeva la destabilizzazione del sistema politico ed economico vigente da parte delle Brigate Rosse; ma, se non fosse bastato? Ecco in funzione la strategia della tensione e il terrorismo nero. Così prosegue Severino: “Il terrorismo ‘di sinistra’, tuttavia, raggiunge di fatto due obiettivi di diversa importanza e tra loro contrastanti: contribuisce a determinare quel disfacimento dello Stato, che è la condizione principale  di una svolta a destra in Italia e, insieme, è un avvertimento alle forze in grado di operare tale svolta, che, qualora si decidessero in questo senso, la via non sarebbe del tutto priva di ostacoli. Ma se si considera che una svolta a destra in Italia avrebbe l’appoggio dell’intero capitalismo occidentale e che quindi gli ostacoli opposti dall’estrema sinistra verrebbero inevitabilmente travolti…, ne segue che il risultato sostanzialmente raggiunto dal terrorismo dell’estrema sinistra è di rafforzare le probabilità che in Italia l’asse politico si sposti verso destra” (da Téchne, le radici della violenza, Rizzoli, 2002). Quanto al PCI, sapeva benissimo che una sua entrata nel governo del Paese, a quell’epoca, con l’Unione Sovietica ancora dominante a Est,  avrebbe fatto scattare le contromisure golpiste della CIA, come già in Grecia e in Cile. No, la cosa che più paventava il  PCI in quegli anni, ma anche dopo,  era la lotta armata per la presa del potere. Non per niente non ha mai voluto trattare con le Brigate Rosse. Ma tant’è, c’è chi, ancora oggi, ritiene che il PCI di Enrico Berlinguer giocasse, contro ogni evidenza,  due parti in commedia. Riposi in pace.

     FULVIO SGUERSO 

 

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