La soluzione finale della questione ebraica e l’inizio di quella palestinese
La soluzione finale della questione ebraica
e l’inizio di quella palestinese
Mi è già capitato qualche anno fa di ricordare su questi Trucioli Savonesi la risposta che detti a uno studente saharawi che mi era stato paracadutato in classe nell’ambito di un programma di accoglienza. Era la metà degli anni Ottanta e nel medio oriente al mai sopito conflitto arabo israeliano era seguita la prima intifada; il ragazzo, palesemente coinvolto ma molto disponibile all’ascolto, mi chiese se il problema della convivenza fra ebrei e palestinesi avesse una soluzione. Gli risposi seccamente: “No, non c’è soluzione”. Sono passati quasi quaranta anni e devo riconoscere, con dispiacere, che avevo ragione. Non c’è soluzione.
L’idiozia di aver dato vita artificialmente ad uno Stato su base religiosa in casa d’altri giustificandola con eventi di duemila anni prima e in nome di un diritto garantito da Dio, o meglio dal dio privato di Israele, è solo pari all’altra idiozia, quella di voler imporre la formazione di uno Stato ad un popolo, quello arabo stanziato in Palestina, che di uno Stato non ha mai avvertito la necessità e, di conseguenza, non aveva e non ha in sé la capacità di costituirlo.
Ma tant’è. È stata una conseguenza indiretta del colonialismo e della instabilità seguita al crollo dell’impero ottomano e del desiderio di risolvere definitivamente la questione ebraica esacerbata del delirio razzista della Germania nazionalsocialista. La follia della “purezza ariana” con le sue tragiche conseguenze era servita a dare fiato al sionismo convincendo gli ebrei all’autodeportazione, che era un’ottima occasione per assicurare un exclave degli Usa e di Wall Street nel cuore del mondo arabo con la convinta approvazione di quanti in Europa si erano sbizzarriti nei pogrom molto prima che il Führer ideasse la Endlösung der Judenfrage. Ora non solo in Germania ma in Francia, in Austria e soprattutto nei Paesi dell’est europeo ci si vedeva liberati dalla presenza degli ebrei sopravvissuti alla Shoah: era la vera “soluzione finale”.
Lo Stato di Israele è convenzionalmente il punto di arrivo di una vicenda complessa che si può far iniziare dalla grande diaspora seguita alla distruzione del Tempio nel 70 d.C. In realtà il flusso immigratorio ebraico verso Roma e le regioni occidentali della romanità risaliva ad almeno due secoli prima ed era avvenuto silenziosamente e pacificamente. Del resto i rapporti politici fra le autorità romane e quelle ebraico palestinesi erano ottimi e tali rimasero anche dopo le guerre giudaiche innescate dal radicalismo giudaico. Sarebbe inoltre azzardato sostenere che le centinaia di migliaia di ebrei che si riversarono nell’Africa occidentale e nell’Europa romana considerassero provvisoria la nuova patria e vivessero nell’attesa del ritorno. L’ebraismo non era, e non è, un blocco monolitico: nelle comunità e nei singoli individui si estendeva dal misticismo a un pragmatismo che potremmo definire laico ma in tutti i casi si distingueva per il forte sentimento identitario e la fedeltà alle proprie tradizioni, dal sabato alla circoncisione. Detto questo niente fa pensare a problemi di integrazione o auto marginalizzazione simili a quelli che avevano contraddistinto le conventicole cristiane dei primi secoli.
Con la cristianizzazione dell’Impero il quadro cambia radicalmente. Gli ebrei “deicidi” sono considerati con sospetto, spesso chiusi all’interno di ghetti, sottoposti a discriminazioni e vessazioni economiche, esclusi dalle cariche pubbliche. Col tempo si verifica una situazione paradossale: da un lato gli ebrei immuni dalla cloroformizzazione operata dalla Chiesa sulla società e sulle coscienze tendono ad affermarsi come una classe sociale istruita, operosa, benestante di fronte alla stragrande maggioranza della popolazione schiacciata dal bisogno e dall’ignoranza; dall’altro, soprattutto per la pressione dei livelli più bassi della scala sociale, la discriminazione e l’odio nei loro confronti non solo non si attenua ma cresce fino a esplodere in episodi di bestiale violenza. All’alba dell’età moderna i re cattolici per compiacere la Chiesa, accattivarsi il consenso popolare ed eliminare la causa di disordini sociali pensarono bene di ripulire la Spagna dalla “lebbra” giudaica.

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Per comprendere appieno il senso della “questione ebraica” bisogna accantonare i presupposti teorici e guardare alla realtà fattuale. L’essenza dell’ebraismo non è riposta nella “Terra Promessa” ma nella volontà di vivere secondo i dettami della Torah, nel rispetto del sabato, nella circoncisione. L’ebreo non chiede altro che vivere e lavorare in pace perché tutto il mondo può essere la sua patria. Questo diritto elementare dopo l’avvento del cristianesimo non è mai stato loro riconosciuto. Gli ebrei sefarditi vennero strappati a forza dalla loro terra, la Spagna, e la maggior parte di loro si sottopose ad una finta conversione pur di non abbandonare beni, casa, occupazione. Ma anche quando non sono stati vittime della ferocia cristiana, come nel terribile pogrom di Siviglia del 1391, anche quando non sono stati deportati e costretti a battezzarsi gli ebrei sono stati tollerati a fatica, controllati, tassati, costretti a farsi riconoscere, confinati nei ghetti. Una condizione di precarietà dalla quale nasce il sogno di una terra tutta loro, che sia l’Argentina o l’antica patria palestinese e che è all’origine del sionismo.
Nella storia dei rapporti fra Islam e ebraismo l’eccidio di Granada è un episodio isolato in un contesto eccezionale. Di norma nel mondo arabo gli ebrei avevano trovato la possibilità di vivere in pace e di prosperare. Aveva ragione Solimano il Magnifico quando derideva gli Stati cristiani che cacciando gli ebrei si stavano privando di una grande risorsa umana per arricchire i suoi possedimenti. Se l’ebreo si è distinto nei secoli per intelligenza, cultura, laboriosità non è per un privilegio genetico ma per gli stessi motivi che avevano reso possibili la civiltà greca e quella romana: una condizione di libertà esterna e interiore nella quale i singoli individui possono esprimere le loro potenzialità. Questa libertà ai popoli europei è stata negata dalla soggezione religiosa. Si dirà: ma il popolo ebraico non è meno religioso di quello cristiano. È vero, e anche il giudaismo, come dimostra la vicenda di Spinoza, può diventare un bavaglio ma non solo il giudaismo non è mai stato costretto all’interno di una organizzazione ferrea in grado di asservire le coscienze individuali e collettive ma non ha mai conosciuto l’ossessione del peccato, della salvezza, della vita eterna, della grazia, del diavolo dentro e fuori né ha mai svalutato l’esistenza terrena riducendola a un test, a una prova per guadagnarsi il paradiso: in tutte le sue declinazioni è rimasto tenacemente attaccato al mondo e ai suoi valori. E solo così è possibile investire su obbiettivi terreni, nel lavoro, nel successo e, perché no, nel denaro, lo sterco del diavolo per il cristiano devoto, incapace perfino di vivere liberamente la propria sessualità.
Ma la vera soluzione finale della “questione ebraica” è venuta dal sionismo sposato dagli angloamericani: uno Stato tutto per loro e il problema della convivenza fra cristiani e ebrei è risolto. Certo si creava un altro problema: quello della convivenza fra ebrei e musulmani, dal momento che per far posto al nuovo Stato bisognava sgombrare gli arabi dalla loro terra. In punta di diritto internazionale un’aberrazione; gli stessi barbari invasori non cacciavano i romani dalle loro terre ma si installavano nei campi abbandonati col beneplacito delle autorità religiose e di quel che restava di quelle politiche. Ma quella era l’antica terra di Israele, sostenevano allora i sionisti e lo ripete ora Netanyahu per giustificare il progetto di annessione della Cisgiordania oltre che della striscia di Gaza; con lo stesso argomento l’Italia potrebbe rivendicare la provincia di Palestina, tale era durante l’Impero, e Crosetto e la Meloni dovrebbero partire lancia in resta per riprendersela. Sta il fatto che la creazione di uno Stato ebraico ha fatto comodo a tutti in Occidente: un avamposto in medio oriente per gli americani, un risarcimento agli ebrei per l’Olocausto per sgravare la coscienza dell’Europa, e sotto sotto la realizzazione del sogno di Hitler.
Insomma, loro malgrado gli ebrei sono stati un problema per l’Europa cristiana. E se i re cattolici avevano pensato di risolverlo con la conversione o l’espulsione in nome di un popolo unito nella fede Hitler ne riprese il programma ricorrendo alla soppressione fisica in nome di un popolo unito nella razza. Nell’un caso e nell’altro gli ebrei sono stati vittime di uno pseudoconcetto più che di un falso valore: la coincidenza fra nazione e fede religiosa e la coincidenza fra nazione e razza. Da un lato un’improbabile ecclesia universale, l’assurda identificazione fra cittadino (o suddito) e cristiano dall’altro un falso nato dalla confusione fra razza e ceppo linguistico. Ma in tutti e due i casi la pretesa superiorità dell’Occidente, dell’uomo bianco, del Crociato.
E sotto questo aspetto un paradosso che rivela l’astuzia della ragione: quelli che l’Occidente cristiano ha perseguitato, deriso, calunniato, espulso dal suo seno sono diventati la sua punta avanzata, il simbolo della sua prevaricazione. La politica predatoria di Israele, maldestramente giustificata dal massacro del 7 ottobre, è conseguenza della sua vitalità demografica, economica e politica ma soprattutto del potere finanziario, militare, ideologico della cosiddetta democrazia, di cui proprio Israele è l’incarnazione.
Tutto il resto, le condanne ufficiali, le manifestazioni, la flotilla,i due Stati è fuffa e un ottimo distrattore dalla vera partita che si sta giocando in Ucraina: la sopravvivenza dell’ordine frutto della seconda guerra mondiale fondato sul potere della finanza globale e l’incombere di un nuovo ordine fondato sulla sovranità monetaria e popolare. Democrazia e libertà contro Dittatura e autoritarismo come dicono i media con un osceno scambio di ruoli perché le presunte democrazie usano i metodi attribuiti alle dittature e i cosiddetti regimi autoritari rivendicano per sé i diritti e le libertà delle quali le democrazie pretendono di essere depositarie.
E nella sua scomposta autodifesa quell’ordine non solo minaccia la pace mondiale ma alimenta in tutti i modi il pericolo islamista che dice di combattere. Lo fa favorendo l’invasione e lo fa trasformando un’intera popolazione in terroristi attuali o potenziali. Non fingiamo di non vedere il doppiogiochismo americano – e israeliano – in medio oriente; quali sono le radici di Hamas o quelle dell’Isis o dei talebani? una storia che si ripete di mostri creati ad arte per raggiungere i veri obbiettivi: neutralizzare la Siria che era scampata alla “primavera araba” (o anglo-franco-americana) mettere in ginocchio l’Iran e l’Iraq, convincere l’India a rientrare nei ranghi.
In conclusione: Israele è figlio dell’Occidente, della cattiva coscienza dell’Occidente e degli interessi dell’Occidente ma anche il radicalismo islamico con tutto il suo vuoto culturale e politico è figlio dell’Occidente e il terrorismo è unboomerang lanciato dall’Occidente. Nel 1948 l’impossibile convivenza fra invasi, gli abitanti della Palestina, e invasori, gli ebrei, poteva e doveva essere prevista ma ha fatto comodo per rendere tutta l’area instabile. Parteggiare ora per uno Stato impegnato in una pulizia etnica, incurante del diritto internazionale e della carta dell’Onu di cui fa parte sarebbe stupido e criminale. Israele non va né condannato né sanzionato: va semplicemente fermato. Regno Unito e Ue non ci pensano nemmeno; Trump quantomeno sembra che ci provi anche se la sua affidabilità è compromessa dalle sue continue sortite. Ma solo anime semplici possono pensare che fra due contendenti se uno ha torto l’altro ha ragione: parteggiare per Hamas intruppati con gli aspiranti terroristi di casa nostra è altrettanto stupido e criminale.
Bene la vicinanza alle vittime ma per carità non si sventolino bandiere palestinesi: un po’ di buon gusto e anche di memoria per le altre vittime, non meno innocenti, le nostre.
Spacchiamo tutto, blocchiamo tutto: facciamo pagare agli italiani che lavorano, che mandano avanti questa sgangherata carretta che è ormai l’Italia quello che succede nella striscia di Gaza. È questo il programma demenziale delle manifestazioni propal. E non si venga a dire che sono frange estreme di pacifici cortei, che, se volessero, se ne libererebbero. Fra quei dementi esagitati ci sono, ahimè, i nostri studenti e le nostre studentesse, i nostri adulti di domani. Una prospettiva terribile.
In questo clima la Cgil di Landini e i sindacati si base proclamano lo sciopero generale: per i salari, per le pensioni, per i diritti dei lavoratori, per una politica estera dissennata? No davvero: per la flotilla e il popolo palestinese. Non ci sono parole.
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