La sinistra conservatrice

La sinistra conservatrice
La cultura di sinistra si è sempre pensata
come “progressista”.

La sinistra conservatrice

 La cultura di sinistra, per come io l’ho conosciuta in lunghi anni di militanza, si è sempre pensata come “progressista”. Il significato che tradizionalmente si è dato a questa parola è quello di una tensione e visione verso un futuro migliore, sia prossimo che più remoto. Tale visione pretendeva di cambiare la situazione esistente, le istituzioni, i rapporti sociali, addirittura la mentalità umana, al fine di perseguire obbiettivi di una sempre maggiore democrazia e uguaglianza tra le persone. Nelle sue versioni più estreme questa tensione verso un futuro progressivo e felice (il sol dell’avvenire) è sfociata in utopie pericolose e tragiche che hanno portato, anziché ad una società più giusta, a immani tragedie. Ma non è questo aspetto che vorrei qui esaminare.

 


Le idee di fondo della sinistra, a mio parere, sono ancora valide solo se rimangono ancorate ad alcuni, pochi, principi fondamentali cui non si può rinunciare. In ultima istanza i principi fondamentali sono, secondo me, solo due: libertà e uguaglianza fra e per tutti gli umani.

Naturalmente questi principi, assunti in termini assoluti, sfociano inevitabilmente nell’utopia perché la nostra libertà deve essere, ed in pratica è, limitata dalla libertà altrui e da qui sorge la necessità della presenza di istituzioni che, per giuste ed equanimi che siano nel loro operare, limitano comunque la libertà dei singoli. Per quanto riguarda l’uguaglianza, la piena adesione al principio si scontra con la presenza immanente del lato oscuro nell’animo umano che emerge in modo prepotente nell’avidità, nell’egoismo, nella violenza perpetrata verso altri uomini, verso gli animali e la natura in genere.

In ultima analisi questi principi (libertà e uguaglianza) dovrebbero essere per la sinistra come due fari che la guidano nel suo agire concreto, sociale e politico, nei rapporti tra le altre persone, nelle decisioni che si prendono e nelle azioni che si decide di perseguire.

Vasto programma ….., qualcuno penserà, ma non riesco a concepire altrimenti una sinistra che non abbia questa visione di un futuro migliore e tendente verso gli alti obbiettivi che ho prima brevemente cercato di esporre. Non trovo concepibile una sinistra che si limiti alla gestione dell’esistente senza alcuna aspirazione al cambiamento, al miglioramento della condizione economica di tutti (tutti) e al miglioramento dei rapporti sociali tra le persone. Purtroppo in questi ultimi decenni abbiamo assistito all’affermarsi, nella sinistra, di una doppia cultura conservatrice perdendo così, in gran parte, la sua ragion d’essere.

La cultura del primo tipo viene chiamata spesso “riformatrice”; ma con questa definizione si intende quasi sempre che anche la sinistra deve rimanere nell’ambito del sistema economico esistente limitandosi a renderlo più efficiente; solo le correnti più audaci della sinistra riformatrice si spingono a proporre, fino ad ora con scarsi risultati, di intervenire sui meccanismi finanziari che hanno causato e continuano a causare gravi danni ai cittadini e l’impoverimento dei lavoratori, sia nei paesi del terzo mondo che, ormai, anche in quelli sviluppati.


Da qui la grave timidezza nei provvedimenti riguardanti le necessarie nuove regole da imporre alle istituzioni finanziarie, i limiti da porre ai redditi e allo strapotere dei grandi burocrati, negli interventi riguardanti i grandi poteri economici e finanziari. Come possiamo spiegarci il fatto che esistano ancora i cosiddetti “paradisi fiscali” e molti altri sistemi per limitare il pagamento delle tasse nel paese dove si produce il reddito. Tutte questi fatti ci dicono che la sinistra “riformista” patisce, in gran parte, una qualche forma di sudditanze verso i cosiddetti “poteri forti” ed è per questo che la considero “conservatrice” anche se ritengo che un sano riformismo, senza pregiudizi e sudditanze, sia l’unica strada per una sinistra “progressista”.

Naturalmente non mi sfugge che in questo mondo globalizzato certe azioni e regole hanno un senso solo se adottante a livello globale, appunto, ma ciò non toglie che si possa, in ogni sede opportuna, promuovere provvedimenti e regole che vadano nel senso appena esposto.

La cultura di sinistra conservatrice del secondo tipo tenderei a definirla “nostalgica”. E’ cioè quella sinistra che si richiama, in varie forme e formazioni, ancora al comunismo o comunque alla tradizione del PCI o delle formazioni ancora più estreme, di sinistra, degli anni ’70e e ’80.

La si potrebbe anche chiamare la sinistra del “NO”: no TAV, no TRIV, no global, no OGM, ecc., ecc.. Indubbiamente molte delle cose che vengono contestate con questi NO presentano serie criticità che però anderebbero discusse e affrontate nel merito, di volta in volta, senza un rifiuto aprioristico.

La cosa che ho sempre trovato molto curiosa in questo atteggiamento del NO a priori, e che a mio avviso caratterizza indubbiamente i sostenitori di queste idee come conservatori, è l’opposizione alla globalizzazione. Questo è molto strano perché l’opposizione alla globalizzazione si pone anche in contrapposizione alle tradizioni della sinistra che è sempre stata, almeno quella più tipica e coerente, internazionalista. Coloro che sono contrari alla globalizzazione sostengono che il libero commercio e la statuizione di regole globali comportano uno svantaggio per i prodotti italiani e quindi anche per i lavoratori. L’ultimo caso è quello del TTIP. Per mentalità e formazione io credo che l’eliminazione di ogni barriera possa essere e debba rappresentare un progresso verso un mondo più unito che, a medio e lungo temine, porterà sia vantaggi economici che una migliore e più pacifica convivenza. Le argomentazioni contrarie alla globalizzazione sono di due tipi; la prima sostiene che l’apertura alle merci straniere danneggia i nostri prodotti tipici (alimentari) e le nostre produzioni industriali. Per quanto riguarda i prodotti alimentari se le trattative sugli accordi commerciali sono portati avanti con la necessaria determinazione tali accordi potrebbero anche tradursi in una maggiore diffusione e promozione degli alimenti italiani di qualità, senza peraltro dimenticare che non siamo sempre i più bravi in tutto e anche altri hanno dei prodotti eccellenti e tipici che vogliono difendere e promuovere; in riferimento all’industria e ai servizi è necessario considerare che la competizione e la concorrenza hanno sempre portato ad un miglioramento della qualità delle merci e, alla fine, hanno migliorato anche le condizioni di vita di tutti noi.

 

Certo non si deve sfuggire a tutta una serie di altre argomentazioni legate ai problemi creati da una competizione al ribasso sul salario dei lavoratori e sulle loro condizioni di lavoro; penso però che sia pura e dannosa utopia ritenere che ci si possa difendere i diritti dei lavoratori rinchiudendosi nei propri confini: Le possibili soluzioni si potranno trovare invece in uno sviluppo della globalizzazione non in una lotta contro di essa. Si tratta di battersi nelle istituzioni internazionali perché siano stabilite regole, seppur minime, di comportamento per i produttori. Per es. sul divieto del lavoro minorile, sulla durata della giornata lavorativa e sui diritti fondamentali; i diritti fondamentali dei lavoratori dovrebbero anche essere oggetto di lotte sindacali a livello globale; cioè, ancora, sarebbe necessario perseguire più globalizzazione e non meno, sarebbe cioè necessario internazionalizzare anche i sindacati e tutte le altre istituzioni che agiscono a tutela dei lavoratori.

Certo non si può sfuggire ad una considerazione riguardante la tendenza verso un livellamento delle condizioni economiche tra le  varie nazioni a livello globale, tendenza che va considerata sul lungo termine e di cui le migrazioni fanno parte integrante; questa tendenza al livellamento globale è quella che, in ultima istanza, ha creato tanti problemi al mondo del lavoro in occidente; è necessario quindi considerare che anche i lavoratori cinesi, turchi, bengalesi, romeni, nigeriani ecc. ricercano un poco di quel benessere che noi abbiamo conquistato negli ultimi secoli e lo perseguono facendo concorrenza con i loro prodotti a basso costo. Alla sinistra toccherebbe, mi ripeto, lottare perché anche a quei lavoratori, oltre che ai nostri, siano assicurate condizioni di lavoro dignitose nel loro paese. Certo non è facile sostenere queste cose nel momento in cui da noi vengono tagliati salari e diritti ma, francamente, non vedo altra strada.

La lotta contro la globalizzazione non porterà a nulla. Il mondo non si può fermare. La sinistra, se vuol tornare ad essere di nuovo progressista, non può limitarsi a lottare “contro” ma deve sapere di nuovo immaginare e progettare un miglior futuro possibile. 

 

Roberto Sozzi

 

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