La relazione Trivelloni (parte seconda)

La relazione Trivelloni

PARTE SECONDA

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 – PARTE SECONDA –  

 

La visita ufficiale del Presidente della Repubblica a Savona nel gennaio del 1979.

La ripresa dell’inchiesta sugli attentati.

La sentenza istruttoria di archiviazione  

Savona non si è mai rassegnata a non vedere individuati e puniti i mandanti e gli esecutori degli attentati dinamitardi che cercarono di seminare il terrore per fini chiaramente eversivi in una città di grandi tradizioni popolari e antifasciste.

Dopo un servizio giornalistico del Secolo XIX, il 13 gennaio 1979, in occasione dell’imminente visita del Presidente della Repubblica, parte dai lavoratori dell’Italsider “l’appello-denuncia” a Sandro Pertini per la ripresa dell’inchiesta arenatasi. Si associano con slancio il Comune, l’A.N.P.I., le forze sociali, i cittadini. La F.I.G.C.I. raccoglie in due giorni seimila firme di adesione. Il Presidente Pertini visita Savona il 19 e 20 gennaio. Promette il suo interessamento. E’, come sempre, di parola: l’inchiesta riprende.


Pertini a Savona

 

In quel tempo le notizie sulla loggia di Gelli erano molto vaghe; pressoché sconosciuta alla grande opinione pubblica, soprattutto non si sapeva bene che cosa fosse questa associazione: in realtà, una loggia “coperta” del Grande Oriente d’ Italia. Pochi conoscevano il nome del maestro venerabile della loggia, Licio Gelli. I nomi degli affiliati erano invece sconosciuti dato il carattere segreto della loggia. La P2 disponeva di un periodico: lo usava per fini politico-affaristici e per condurre la strategia della tensione; esso era legato anche ai servizi segreti e soprattutto ai loro settori devianti.

Era OP (Osservatorio Politico), diretto da Mino Pecorelli, tessera 1750 della P2, poi oscuramente ucciso dopo essersi messo contro Gelli, sembra per traffici interessati al mercato del petrolio. Gelli esercitava, anche se in altro modo, la sua influenza su “Il Settimanale”, di cui divenne direttore Massimo Tosti, tessera 2209 della P2 e che al tempo degli articoli che noi esamineremo era capo servizio. Della proprietà editoriale del Settimanale, che per la verità era di destra ma di ben diverso taglio di OP, sembra che facesse parte il deputato democristiano Massimiliano De Carolis, tessera 1815 della P2.

 


Mino Pecorelli

 

Ad indicare che Gelli poteva disporre di OP dal tempo in cui era solo un’Agenzia di Stampa, esiste una circolare da lui inviata nel 1974 agli “amici” del Centro Studi di Storia Contemporanea, una sigla di copertura della P2 (Rossi e Lombrassa, “In nome della Loggia”), che invitava i sopraddetti ad inviare notizie al centro per la loro pubblicazione. La Repubblica del 14.09.1982 riferisce che Gelli scriveva ai suoi affiliati:…”siamo lieti d’ informarti che possiamo disporre di una nostra Agenzia Stampa e ti saremmo grati se potessi tempestivamente e riservatamente comunicare tutto quanto avviene nella tua provincia”.

Nel “Piano di rinascita democratica”, concepito da Gelli, è dedicato un capitolo anche alla necessità di disporre di organi di informazione. Scrive il Nostro: “E’ inoltre opportuno acquistare uno o due periodici da contrapporre a Panorama, Espresso, Europeo nella forma viva del Settimanale” (La Repubblica, 18/07/82).

Ed ecco che si verifica un caso, passato allora inevitabilmente inosservato, di interessamento della P2 perché non si faccia luce sugli attentati di Savona. Con impressionante sincronia, OP il 6 febbraio, il Settimanale il 7 febbraio, attaccano duramente i principali promotori dell’iniziativa per la ripresa dell’inchiesta, che vengono indicati come interessati demagoghi.

Ma esaminiamo in sintesi il testo dei due articoli. Quello di OP, che non è firmato, ha come occhiello: “La visita di Pertini scatena la lotta delle sponsorizzazioni vinta, poi, dal sindacato socialista”; e, come titolo: “Dietro le quinte di Savona”.

Dopo un accenno al “riemergente attivismo dei democristiani – attivismo promosso e propiziato dal neo-senatore Ruffino che evidenzia, dall’inevitabile raffronto, l’inconsistenza delle teste d’ uovo social-comuniste, è stata avvertita da qualche interessato l’esigenza di uscire in qualche modo dall’ impasse con qualche colpo a sensazione”.

 


 

Il colpo a sensazione progettato, secondo OP, è “1) Modificare lo stanco e sfiduciato seguito elettorale in occasione della visita di Pertini… e ricominciare a credere e a confidare in qualcuno e in qualcosa capace di risolvere… almeno il mistero sull’ identità dei bombaroli; 2) Eliminare fisicamente due personaggi (il Prefetto e il Presidente del Tribunale, i cui figli erano entrati nell’ inchiesta sia pure come testimoni, ma sul comportamento dei padri vi erano state critiche e perplessità. Il Presidente del Tribunale, al tempo dei fatti, era Procuratore della Repubblica – n.d.a.), che – continua OP – avrebbero senz’ altro fatto ombra all’ esibizionismo e alla smania di propaganda elettorale di chi è interessato a gestire in esclusiva il rituale dell’illustre visita volendo ottenere certi imprimatur molto comodi in vista dei futuri cimenti amministrativi e, perché no, politico–parlamentati; 3) Rispolverare il mai sopito disegno di abolire i prefetti ecc. ecc.”

OP cita poi un articolo apparso sul Secolo XIX definito “portavoce e interprete delle centrali di sinistra”, sette giorni prima della visita del Presidente della Repubblica”, nel quale “si insinua che il Presidente della Repubblica non potrà essere degnamente accolto in una città che ha lasciato impuniti i responsabili delle bombe nere”, di qui, secondo il periodico, una serie di reazioni a catena: “In mezzo a tutto il bailamme primeggia il senatore Urbani, comunista… dopo anni di catalessi mentale, tuona, indica, accusa, ecc…..”.

“Il sindaco va a Roma, convince il Presidente della Repubblica a non disdire l’impegno preso, ritorna felice ed annuncia l’esito della sua missione così potrà gestire la visita praticamente in esclusiva, davanti a tutti i savonesi”.

“A questo punto – prosegue OP – chi non è di Savona si starà domandando di quali orrende nefandezze si siano macchiati il Presidente del Tribunale e il Prefetto di Savona. Basta poco perché questa legittima curiosità venga soddisfatta; è lo stesso procuratore della Repubblica, l’ integerrimo Dr. Boccia, a far sapere in una intervista che nel corso delle prime indagini, nella convulsa ridda di segnalazioni che piovevano sul tavolo degli inquirenti, tra i tanti nominativi indicati ci fu anche quello di un giovane studente di destra, tale Pellero; questi venne interrogato e torchiato a lungo, tanto è vero che da allora ad oggi ha vissuto e circolato in piena libertà e senza restrizioni di sorta; naturalmente e gentilmente s’ indagò anche sugli ambienti che frequentava e i suoi amici di scuola; nell’ elenco dei suoi compagni di studio risultarono anche i figli dell’ allora Procuratore della Repubblica (e ora Presidente del Tribunale) e del Prefetto allora e tuttora in carica. Ad evitare ogni sospetto di compiacenze, i due giovani studenti furono interrogati e nulla emerse a loro carico.

Questi sono i dati nella loro cruda sequenza, così come sono narrati da fonte insospettabile; i retroscena, riferiti da alcuni comunisti, imbestialiti per la loro estromissione, combaciano logicamente ed esattamente con i particolari cronistici così come narrati dal Secolo XIX”.

La rivista, portavoce della P2, conclude l’articolo chiamando in causa con buona dose di insulti il giornalista Giuseppe Fiori del Tg2. e a tutta prima non si riesce a capire il perché dato che Fiori non ha fatto o ha dichiarato nulla per la ripresa dell’inchiesta. Poi, riflettendo, se ne comprende la causa: l’attuale senatore della Sinistra Indipendente Giuseppe Fiori fu l’autore del servizio televisivo “Savona: perché?”, al tempo degli attentati.

 

 

Un commento all’ articolo di OP.

E’benevolo (e qui non c’è niente di male) verso il sen. Ruffino, il dr. Boccia, il prefetto e il presidente del Tribunale, definiti questi ultimi due “anziani servitori dello Stato”, e questo è vero.

La ricostruzione dei fatti da parte del dr. Boccia è tecnicamente ineccepibile: le sue dichiarazioni però, così come vengono riportate, sono troppo rassicuranti e semplicistiche riguardo ad una inchiesta che invece è stata travagliata.

L’ anonimo articolista non nasconde la sua soddisfazione per le spiegazioni date dal Procuratore: esse evidentemente lo inducono a sperare che i temuti approfondimenti non ci saranno. C’è anche da rilevare che il Pellero, stando sempre ad OP, sarebbe stato definito “giovane studente di destra” e questa è una circostanza che non ci sembra sia nota o che sia stata ammessa dal giovane sopra-citato. Il lato sconcertante dell’articolo sta in questa frase: ”basta poco perché questa legittima curiosità venga soddisfatta….”. E’ lo stesso Procuratore della Repubblica, l’integerrimo dr. Boccia, a far saper in un’ intervista….” A questo punto ci si deve chiedere: a chi ha rilasciato l’intervista il dr. Boccia? A OP o ad un altro giornale dal quale la rivista l’ ha riportata? In questo caso, qual è il giornale? E se invece è stato OP ad intervistare il Procuratore della Repubblica, chi è l’ anonimo giornalista? Un corrispondente da Savona o un inviato da Roma? Sapeva, in tal caso, il dr. Boccia, che OP svolgeva da tempo un ruolo nella strategia della tensione e che un periodico così violentemente anticomunista e antidemocratico, nei 55 giorni del sequestro Moro, quindi neppure un anno prima, aveva pubblicato in esclusiva alcune lettere del Presidente della D.C. dalla prigione in cui era rinchiuso e si era schierato a favore della trattativa? Scriveva allora OP che i rapitori “non sono né mostri né belve”, lo sterminio della scorta di Moro “è un fatto tecnico”, e i brigatisti “sono degli idealisti, di un’idea forse sbagliata ma non farneticante come si vuole ritenere”. (La Repubblica, 30/09/82).

E’probabile che il dr. Boccia non lo sapesse. Ma è meno probabile che egli non abbia letto il testo dell’articolo del 6 febbraio 1979 che riguarda anche lui e dove figura intervistato anche se resta indeterminato il destinatario delle sue dichiarazioni. E perché allora il dr. Boccia, che parla dell’inchiesta in modo tale da assumersene in toto la responsabilità, non inviò ad OP una lettera simile a quella pubblicata dal Secolo XIX del 02/12/82 in cui egli afferma che prese servizio alla Procura della Repubblica di Savona nell’ Aprile del 1975 e si occupò solo degli ultimi due attentati dinamitardi e non degli altri nove?

Si deve fare anche un’altra constatazione. Una buona parte dell’articolo è dedicata al sindaco al quale è rivolto un tortuoso linguaggio di stampo mafioso e piduista nello stile proprio di OP. Si descrive prolissamente quello che pensa, quello che fa, dove va; l’ articolista dimostra di essere bene informato. Come si è già detto, il sindaco non viene mai citato con il suo cognome e l’attacco rivoltogli ha caratteristiche di avvertimento; esso è comunque diverso nel taglio da quello usato verso il sen. Urbani e Giuseppe Fiori.

Nel caso del sindaco si mettono in evidenza “perché no, le sue ambizioni politico-parlamentari”. Si parlava allora di un’eventuale candidatura di Carlo Zanelli alle elezioni politiche. A quale ipotetico concorrente, ben conosciuto dalla P2, dava ombra quella possibile candidatura?

Il titolo dell’articolo del Settimanale “Qui si vuole fare ingiustizia popolare” è già di per se significativo per le tesi che vengono poi svolte dall’ autore, un certo Ruggero Rastelli. La parte più importante dell’ articolo è rappresentata da un’ intervista al dr. Giuseppe Stipo, sostituto procuratore della Repubblica, che si occupò, all’ epoca , della vicenda.

“Domanda: Ma questa inchiesta è stata davvero condotta con serietà? Lei è al corrente delle accuse e delle illazioni che gli articoli dei giornali e certe dichiarazioni di uomini politici hanno suscitato: che ne pensa?

Stipo: Che sono, appunto, illazioni prive di fondamento. Io stesso mi occupai della vicenda e conclusi le indagini chiedendo la chiusura del procedimento”. Poi il dr. Stipo, rispondendo ad altra domanda, polemizza con il sindaco Zanelli (qui è chiamato con il suo cognome) per dichiarazioni rese, all’epoca, da questi suoi presunti trattamenti di favore per le perquisizioni in casa di esponenti di destra. Le affermazioni di Zanelli sono definite “false e destituite di ogni fondamento”.

L’articolista raccoglie anche dichiarazioni dell’On. Alfredo Biondi, per la verità un po’ animose verso il settore della sinistra e le spontanee reazioni popolari ma legittime perché egli difende, come avvocato, uno dei giovani il cui nome era entrato nelle indagini. A chiusura, in contrasto alle note prese di posizione del “senatore comunista Urbani”, viene citato il “quotidiano socialista il Lavoro di Genova, con la federazione del P.S.I., che ha accolto le rivelazioni di questi giorni con non celato scetticismo”.

La rivista riserva l’onore delle conclusioni finali al segretario provinciale del P.L.I., Piero Astengo, che lancia il seguente ammonimento verso chi vuole una ripresa dell’inchiesta: “Non vorremmo che qualcuno giocasse troppo col fuoco”.

Il segretario svolge poi un ragionamento di stile qualunquista (a lui caro perché lo ripeterà in seguito), attribuendolo chissà perché ai savonesi. Dice: “Ogni volta che ci sono elezioni in vista tornano fuori da qualche parte le bombe e gli attentati”. E questo è in parte dolorosamente vero ma non nel senso indicato da Astengo: poiché le inchieste giudiziarie, talvolta, durano più a lungo delle legislature, troppo spesso soggette a fine immatura. Con questo capzioso discorso, si getta un’ombra sulle legittime attese perché sia fatta giustizia.

CONTINUA

  

 

 Da NOVEMBRE NERO

 R.T.

 

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