La preghiera di Frankenstein

La chiesa (con questo termine intendiamo in generale l’apparato più o meno istituzionale e più o meno gerarchicamente organizzato della religione cristiana e della religione ebraica) ha sempre tenuto e necessariamente ancora tiene un atteggiamento ambiguo verso la scienza (intesa anche come tecnica). Orbene, la tesi è che nonostante essa si erga a strenua avversaria della scienza ogniqualvolta quest’ultima fa balenare nella mente dell’uomo l’idea dell’onnipotenza e dell’eternità, in realtà proprio la chiesa nascostamente coltivi tale idea.

La sua avversità, la sua larvata e diffusa insofferenza, o, quantomeno, la sua diffidenza per la scienza, non sarebbe determinata da altro che dalla paura che quest’ultima agisca in modi troppo espliciti, talché potrebbe rendere palese quella che è la finalità-tabù di entrambe.

La scienza, infatti, non ha il ritegno che secondo la chiesa converrebbe avere. Il suo entusiasmo la tradisce. Ciò che sogna lo fa trapelare, e presumibilmente sarà un incidente sempre più frequente.

Il discorso è indubbiamente difficile, ma è reso tale dal fatto che la chiesa ha fondati motivi per temere che il suo desiderio (e quello della scienza) vengano scoperti; come si è detto, per far sì che ciò non accada, mostra spesso di attaccare la scienza e mette in guardia da essa. Spera, attaccandola, di far credere che non ne condivida le finalità.

Per la chiesa è infatti fondamentale nascondere che l’eventuale vero Dio futuro in cui si trasformerebbe il mondo per l’effetto di trascinamento attuato da quella sua parte che è l’uomo, ha bisogno di un falso (incompleto) Dio presente.

Quella che viene chiamata speranza, e che non può essere distinta nettamente dall’altra virtù teologale della fede, è fondamentalmente il credere ad un Dio che ci sarà, in un modo con il quale si crederebbe ad un Dio che c’è. Ma che la realtà sia differente, non si deve razionalmente sapere. Qualora ciò venisse scoperto, il mondo arresterebbe il suo progresso, fino, forse, all’annullamento.

La chiesa è consapevole di non essere in grado di fermare la scienza. Consapevole e nascostamente grata. Se fosse in grado di fermarla e ciò si palesasse, sarebbe costretta ad agire di conseguenza; altrimenti dovrebbe scoprirsi, vale a dire esplicitare ciò che, blasfemo, occulta: il suo intento di indirizzare l’umanità (ma sottintendiamo che più passivamente sarà coinvolta la natura intera in tutte le sue forme) ad essere Dio.

Poiché però le rampogne della chiesa sono e continueranno ad essere vane, in quanto il peccato di conoscenza (in cui la conoscenza è intesa non come amore del sapere fine a se stesso, ma come indagine finalizzata al mutamento del proprio status gerarchico) di Adamo ed Eva viene continuamente rinnovato da ogni essere umano, essa può, in possesso della rasserenante certezza che un mondo votato al mito del progresso le dà, addossare alla scienza una colpa che è anche sua. Perché entrambe, ribadiamo, aspirano allo stesso fine.

Le contrapposizioni sono solo apparenti: il dominio della natura voluto dalla scienza e l’incitamento della chiesa alla procreazione non sono fatti tra loro lontani, né estranei.

Chiediamoci ora che cosa intende comunicare il Pentateuco, i cinque primi e più sacri libri dell’Antico Testamento, nel suo messaggio più criptico. Il suo dire non lo tradisce mai? Nel senso: non arriva mai il Pentateuco a dare l’occasione di sospettare che con il suo racconto metaforico della Genesi, si prospetti qualcosa di quasi opposto alla lettura canonica che se ne fa?

A nostro avviso il Pentateuco (ci limitiamo a quello, perché riferirsi a tutta la Bibbia sarebbe forse troppo estensivo e azzardato) doveva divulgare (offrire al volgo, appunto) un messaggio comprensibile solo fino ad un determinato punto, e guardarsi bene dall’andare oltre. Perché?

Ex abrupto: il Pentateuco avrebbe inteso per Dio, l’entità che nel suo massimo ultimo sviluppo la natura, guidata dall’uomo, sarebbe divenuta.

Il Pentateuco, dunque, come concrezione filosofica di un sotterraneo e pervasivo paradigma teologico-politico che si è andato sedimentando nei secoli; come spirito dell’ebraismo e poi del cristianesimo, per cui la mentalità che genericamente potremmo definire mosaica è attualmente attiva nella “promozione” di Dio secondo il metodo della cosiddetta profezia autoavverantesi: sostenere che qualcosa c’è anche se non c’è affinché sia.

Un esempio per chiarire il concetto: anche quella della Terra Promessa si configura come profezia autoavverantesi. Si profetizza (in particolare si profetizza sostenendo che si è ispirati da Dio), e coloro che ascoltano la profezia, fortificati dal sapere che così sarà per destino, poiché essa è l’espressione stessa del volere di Dio, si impegnano con tanta dedizione e convinzione, che realizzano quella profezia o, se non la realizzano, sostengono convintamente che la mancata realizzazione è dovuta al peccato di qualcuno che invece di credere o seguire i comandamenti ha deviato, provocando la sconfitta (sempre temporanea, però, dimodoché poi ci sia ancora sviluppo tramite lo stesso meccanismo).

Ebbene, riprendendo il discorso, bisognerà dunque dire che il cammino dell’uomo, in una simile prospettiva, deve leggersi come una continua divinizzazione, come un suo progressivo indiarsi.

Ciò implica come corollario che l’uomo progredisce attraverso quello che solo può permettergli tale progresso, ovvero:

1) la scienza, la quale permette il progresso intellettuale e materiale;

2) la procreazione, la quale permette che il progresso produttivo intellettuale e materiale non venga vanificato con la scomparsa di una generazione.

Quale lo scopo di vivere se non quello di diventare (nel senso di contribuire a creare) Dio, a meno di non cadere nel vortice di una catena infinita e insensata?

Individuando questo scopo, si è facilmente portati a pensare che si tratti di una affermazione assurda; ma se potrebbe sembrare assurdo vivere con nascosta ma attiva nella mente l’idea per cui si vive per tentare di diventare Dio (anche se come anelli di una catena generazionale pressoché infinita), non è più assurdo vivere per morire, cioè per diventare niente, anche senza tentarlo? Ricordiamoci che il Pentateuco non prevede nessun Aldilà.

Scienza e procreazione è proprio alla divinizzazione dell’uomo che vogliono portare. La scienza stenta (anche se sempre più nervosamente) ad ammetterlo, ma è questa idea che insegue: fare dell’Homo sapiens sapiens, lo stratega e l’avanguardia per far giungere la natura ad essere (a riconoscersi?) Dio.

Solo la presenza contemporanea di questi due fattori, scienza e procreazione, lascia aperta la possibilità (giudicata pazzesca dalla stragrande maggioranza degli umani, ma paradossalmente proprio da questa medesima maggioranza agìta perché condivisa sul piano di quello che potremmo chiamare un inconscio collettivo ed inconfessabile) di un indiamento dell’umanità.

Scienza e procreazione dunque, volte all’onnipotenza e all’immortalità. Ma si tratta di piani che si compenetrano, perché non c’è onnipotenza senza immortalità (per quanto, tuttavia, non sia forse automaticamente vera la reciproca).

La completa e perfetta conoscenza e applicazione delle leggi dell’universo ad ogni sua parte, ad ogni suo elemento, ad ogni suo segreto (se si intende la teogonia nel senso di scoperta, cioè di teofania) o la capacità di mutarle (se si intende la teogonia nel senso più stretto e più proprio di costruzione), la scienza spera possa essere la chiave per dare all’uomo (e si parla dell’uomo come massimo risultato dello spirito razionale del mondo, e non perché si voglia negare che egli sia la somma di un processo al quale tutte le altre forme della natura hanno contribuito) quel potere che nei secoli egli ha attribuito ad un essere superiore, e così superiore da dirlo trascendente.

Ma facciamoci soccorrere dal racconto mitico e vedremo che esso in generale (e quello adamitico in particolare) non fa altro che parlarci di un passato che è sempre presente e dirci con i suoi irreali personaggi chi siamo in realtà.

Ed ecco allora che sarebbe giusto rovesciare ciò che per opportunismo la tradizione sacra ha capovolto: non siamo noi ad ereditare la colpa dei progenitori, ma sono loro, anche se solo come attori di un racconto di fantasia, a vedersi attribuire la colpa da un’umanità tracotante.

Senza questo rovesciamento, gli uomini restano colpevoli solo in via ereditaria, e cogliere il frutto si riduce al massimo ad una felix culpa.

Per essere sempre e per potere tutto.

FULVIO BALDOINO

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