La plastica e il mare

RIFLESSIONI SUL PRESENTE E SUL FUTURO
(Trentasettesima parte)

LA PLASTICA E IL MARE

RIFLESSIONI SUL PRESENTE E SUL FUTURO
(Trentasettesima parte)

LA PLASTICA E IL MARE

 Nelle ultime due parti di questa nostra pubblicazione, ci siamo soffermati, con la dovuta documentazione, sul tema di Villa Zanelli e del suo parco. 

Volutamente, abbiamo dedicato pochissimo spazio all’argomento della spiaggia e, soprattutto, del mare, il quale, sin dalla nascita della villa, convive con l’intero complesso abitativo della zona. 

Con l’articolo odierno, vorremmo dedicare ampio spazio all’argomento del nostro mare (che profondamente amiamo), ma siamo turbati dalle notizie che, quasi quotidianamente, riceviamo sulle sue condizioni fisiche e biologiche.

In tal senso, dobbiamo dire che siamo stati impressionati dalla comparsa di un articolo di Nicola Piana, pubblicato dal quotidiano nazionale “La Stampa” in data 15 gennaio 2017.

Leggiamo assieme la parte iniziale di questo articolo:

Il gaio non è tanto una bottiglia che galleggia o una busta nera che finisce sulla spiaggia. Il danno è diventato irrimediabile quando la plastica è già invisibile: semplicemente nascosta ma non scomparsa.

Sciolta, mimetizzata nell’acqua, ma presente ovunque. Al largo, e anche sottocosta, in profondità e ovviamente in superficie.

La più pericolosa è quella che gli studiosi chiamano “microplastica” e il Mediterraneo ne è totalmente infestato.”

 

Nella parte finale dell’articolo, sopra citato, è possibile scorgere la seguente tabella, ampiamente indicativa dell’entità dei frammenti inferiori ai 5 mm, riscontrati per ogni chiilometro quadrato del Mar Mediterraneo.

 


 

Ad analoghe considerazioni e conclusioni è giunto Davide Carrera (vedere, in proposito, il quotidiano “La Stampa” del giorno 1 ottobre 2017) il quale, essendo primatista di apnea, e come tale, testimone per “ONE OCEAN” ha potuto osservare, con i suoi occhi, una spiaggia delle Bahamas coperta di plastica ed ha invitato noi tutti a proseguire nell’opera di sensibilizzazione, per giungere ad una presa di coscienza collettiva al fine di salvare totalmente i nostri mari.

Giunti a questo punto, ci siamo rivolti alla memoria storica di Aldo Pastore, memori del fatto che, in data 18 ottobre 2.006, aveva scritto un pregevole articolo che oggi pubblichiamo interamente così intitolato:

 

LA PLASTICA E IL MARE

Dal 20 al 23 agosto di quest’ anno si è svolta, ad Erice, la trentaseiesima sessione dei Seminari Internazionali sulle Emergenze Planetarie, alla quale hanno partecipato oltre cento scienziati, provenienti da ogni angolo del Mondo.

Di particolare interesse è stata la relazione di Charles Moore dell’ Algalita Marine Research Foundation di Long Beach; l’argomento principale, trattato da questo scienziato, è stato quello relativo alle conseguenze indotte dall’ ingresso di elementi plastici nella nostra catena alimentare, attraverso gli ambienti marini.

Nel contesto del suo intervento, Charles Moore ha testualmente affermato:

“Lo stato di salute dei mari è fortemente peggiorato. Infatti, il problema si è ormai spostato dalla semplice presenza di rifiuti plastici (come bottiglie, contenitori, etc) nelle nostre acque, alla capacità di questi materiali di rilasciare sostanze pericolose per l’organismo umano.” 

La stessa Algalita Marine Research Foundation ha reso noto di aver individuato un’ enorme chiazza di rifiuti di plastica, grande come  il Texas (più di due volte l’ Italia), che si estende, nell’ Oceano Pacifico, tra  le isole Hawaii e la costa Californiana.


Il volume complessivo di rifiuti, secondo Charles Moore, è sei volte la quantità di Fitoplancton e di Zooplancton, che vive nello stesso tratto di mare.

Inoltre, secondo un altro studio, presentato nello stesso Seminario Internazionale, almeno 267 specie animali, in tutto il Mondo, ( tra cui l’ 86% delle tartarughe marine, il 44% degli uccelli ed il 43% dei mammiferi marini) sono danneggiate da questa tipologia di rifiuti, per cui alcuni osservatori sono giunti paradossalmente ad affermare che:

“La plastica  non si limita a deturpare le spiagge; sta diventando la spiaggia”  

Ma, attraverso quale meccanismo patogenetico i rifiuti plastici entrano nella catena alimentare umana?

E’ lo stesso Charles  Moore ad illuminarci su questo argomento:

“L’enorme quantità di plastica dispersa nei mari produce particelle nocive che vengono liberate nelle acque, contaminando i pesci ed altri organismi marini, i quali, a loro volta, trattengono sostanze come il policarbonato plastico (PCB), la diossina, il polivinilepolidrato (PVC) ed altre molecole; allorquando  l’ essere umano viene  ad alimentarsi con le carni ittiche  contaminate può andare incontro a malattie neoplastiche.”

 

La situazione dei nostri mari ( e del Mediterraneo, in particolare)  non è così drammatica, come quella sopra descritta; tuttavia, il problema non va sottovalutato, ma, al contrario, va ulteriormente analizzato ed approfondito, perché l’ utilizzo di materiale plastico è in costante aumento e soprattutto perchè le modalità di smaltimento dei rifiuti plastici sono nettamente insufficienti ed, in particolare, inadeguate tecnologicamente.

Esiste, purtroppo, un altro canale di ingresso, altrettanto deleterio per la salute umana, rappresentato dalle sostanze plastiche presenti nei contenitori metallici che, quotidianamente, utilizziamo per la conservazione dei cibi o per la loro cottura a micro-onde.


Le conseguenze per la salute  dell’ umanità  sono state magistralmente descritte da Shanna H. Swan del Centro di Epidemiologia Riproduttiva di Rochester.

Riporto integralmente le sue parole:

“Quello che ci preoccupa è la diffusione globale di queste sostanze plastiche  e l’ ampiezza del numero di persone, colpite dai loro effetti; la comunità scientifica internazionale ha raggiunto, infatti, la certezza che queste sostanze porteranno conseguenze negative trasmissibili da generazione in generazione, mutando, sebbene gradualmente, il patrimonio genetico dell’ uomo.”   

Il bersaglio principale di queste sostanze è, infatti, l’ apparato riproduttivo, sia maschile, sia femminile, considerando la gravidanza il periodo di maggiore vulnerabilità.

Secondo Frederick S. Vom Saal della Divisione di Scienze Biologiche dell’ Università del Missouri “durante la gestazione, la donna trasmette al feto  questi elementi, che vanno ad intaccare il sistema riproduttivo ed il cervello del nascituro, provocando effetti permanenti”  

Non aggiungo altra documentazione scientifica, perché mi sembra che quanto sopra riportato sia, in proposito, ampiamente esaustivo.

Il tutto porta, peraltro, a due considerazioni finali: la prima di ordine scientifico-legislativo, la seconda di carattere più propriamente operativo.

1) CONSIDERAZIONE   SCIENTIFICO – LEGISLATIVA: CHE COSA DEVE INTENDERSI PER BIODEGRADABILITA’ DI UN PRODOTTO DI PLASTICA?

Ricordo che, nei primi anni ’90, a seguito di una dichiarazione di biodegradabilità, rilasciata da un Istituto universitario o pubblico, l’ UTIF ( Ufficio Tecnico delle Imposte di Fabbricazione) poteva dichiarare che i sacchetti di plastica prodotti dalle industrie erano esenti dall’ imposta di fabbricazione.

Già in allora, in un articolo giornalistico, intitolato l’IMBROGLIO DELLA PLASTICA BIODEGRADABILE, Giorgio Nebbia ( Docente di Merceologia all’ Università di Bari) faceva rilevare che, confrontando la data di rilascio del certificato di analisi, da parte dell’ Istituto Scientifico, con la data della dichiarazione di esenzione dall’ imposta, molti uffici dell’ UTIF avevano assolto il loro compito con una eccessiva e troppo frettolosa diligenza.


 

In seguito, Egli così si esprimeva:

“avrebbero probabilmente fatto bene, nell’ interesse delle finanze dello Stato, a chiedersi se i sacchetti, esentati dall’ imposta, erano veramente biodegradabili al 90% e se il metodo di analisi utilizzato era veramente “scientificamente accettato”, come chiede la legge.

A rigore “biodegradabile” significa che il materiale, in un tempo relativamente breve (settimane- mesi) si trasforma in anidride carbonica e acqua e, quindi, scompare dalla vista” 

Così non è stato e così non è; abbiamo la controprova, a quindici anni di distanza, che Giorgio Nebbia aveva visto lontano.

In effetti, da Erice, arriva, purtroppo, un crudele avvertimento: molti oggetti di plastica, liberamente circolanti in commercio, NON SONO BIODEGRADABILI, secondo una corretta e razionale visione scientifica (e, cioè, generatori di vita), bensì  LETODEGRADABILI (e, cioè, generatori di morte).

Lascio ai lettori ogni commento sulla serietà di certe cattedre scientifiche ed ogni considerazione sui danni arrecati alla salute umana, oltre che alle finanze dello Stato; aggiungo, soltanto, che, ancora una volta, la  legge del Dio-Danaro viene a prevalere su tutto e su tutti.

2) CONSIDERAZIONE OPERATIVA: COME SMALTIRE, IN MANIERA SCIENTIFICAMENTE CORRETTA, I RIFIUTI DI PLASTICA?

Come già precedentemente ho scritto, è necessario, a mio modo di vedere, rifiutare le strade delle discariche e degli inceneritori ( anche se di nuova generazione), in quanto si tratta di percorsi realizzabili per altro materiale secco ed inerte, ma non certamente per i residui plastici.

L’ unico percorso concretamente seguibile ( anche se faticoso) è quello del RICICLO e del RIUSO, vale a dire quello della raccolta differenziata e del successivo avvio, da parte dell’ industria della plastica, verso l’ utilizzo delle materie seconde e quindi la concreta fabbricazione di materiale plastico a lunga conservazione ( tubazioni, conduttori di elettricità, contenitori duraturi, carrozzerie, etc), abbandonando, il più rapidamente possibile, la produzione di oggetti plastici  “a vita breve”.

    18 OTTOBRE 2006

 

Giunti a questo punto, qualche nostro affezionato amico-lettore ci potrà obiettare che, al di là delle nostre considerazioni e relative conclusioni, non è sufficientemente dimostrata la presenza di micro plastica nel nostro mare ed, in particolare, nell’area del ponente marino savonese ed allora passiamo la parola a Valeria Pretari, Autrice del seguente piccolo, ma significativo, inserto comparso sul quotidiano La Stampa in data 11 giugno 2018:

Titolo:

Spotorno polizia fonda: raccolti 200 chili di plastica e metallo

Duecento chili tra plastica, materiali metallici e vetro- resina sono stati raccolti durante la pulizia dei fondali nell’ambito della 15° edizione di «Mare da vivere». L’iniziativa si è svolta nelle acque antistanti la zona Maremma del Comune di Spotorno, organizzata dal G.S. Olimpia Sub. Tra i soci Olimpia era anche presente Paolo Cappucciati, l’attuale detentore del record mondiale di immersione con attrezzatura ricreativa (24 ore e 12 minuti di immersione, conseguito a Spotorno nel 2013). 

Hanno partecipato i volontari del l’associazione di pesca sportiva «La Spotornese», i sub del Quinto Nucleo Sommozzatori della Capitane- ria di Porto di Savona e i sub del Nucleo Sommozzatori dei Carabinieri. Per assistenza in mare erano presenti i Vigili del Fuoco di Savona della sezione soccorso acquatico e la polizia del mare, Polmare di Savona. L’assistenza da terra era assicurata dai militi della Croce Bianca di Spotorno. 

Ma, poichè, verosimilmente, molti nostri amici lettori non saranno d’accordo con iniziative di questo genere, ci permettiamo, semplicemente, di aderire al messaggio, inviato dal Principe Carlo d’Inghilterra ai partecipanti all’Ocean Summit di Cardiff: 

 

“La plastica minaccia non solo i mari, ma tutti noi. 

Dobbiamo necessariamente invertire la rotta.”

 

ALDO PASTORE    17 Giugno 2018

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