LA “NO-TAV”

LA “NO-TAV” CONTRADDIZIONE PRINCIPALE?

LA “NO-TAV” CONTRADDIZIONE PRINCIPALE?

Il corteo genovese, svoltosi ieri il 23 Luglio, per ricordare i 10 anni dalla “macelleria messicana” che si consumò in occasione del G8 del Luglio 2001, ha forse rappresentato un importante momento di  passaggio, proprio nella rappresentazione “visiva” e di conseguenza dell’immaginario collettivo, nella gerarchia tradizionale delle contraddizioni sociali operanti nella realtà.

 

Non si è trattato, sicuramente, di un’occasione celebrativa.

 

Prima di tutto c’è da considerare come, ovviamente, rispetto all’occasione precedente cui ci si stava riferendo nella manifestazione, la tensione “no-global”, la dimensione “un altro mondo è possibile” sia rimasta sullo sfondo, fornendo spazio invece alle “fratture sociali” emergenti, in questa fase, nella società italiana.

Questa osservazione vale, per conto nostro, a definire, appunto, un nuovo quadro delle contraddizioni.

In questa fase, infatti, la “NO-TAV” rappresenta, sicuramente, l’insorgenza sociale più rilevante e più acuta.

Gli atti simbolici rivestono, in questi casi, un’importanza decisiva: il fatto che la folta rappresentanza della Val Susa provvista di visibilissime bandiere bianche sia partita dal fondo del concentramento per raggiungere, tra gli applausi degli astanti, la “mitica” (un tempo) “testa del corteo” ha fornito l’emblema, ha suffragato “coram populo” questa priorità (poi seguivano i Comitati per l’acqua pubblica, quelli che hanno diretto e orientato la vittoriosa campagna referendaria).

Quale significato politico assume questo importante atto simbolico?

Ne vediamo uno, a nostro giudizio assolutamente fondamentale: nella risposta “locale” alla globalizzazione emerge (forse retaggio dell’antica frattura centro-periferia, ma non è così certo) l’idea dell’intangibilità del proprio territorio, di fronte alle devastazioni che un certo tipo di concezione dello “sviluppo” ha provocato.

Sicuramente tutto ciò avviene in una situazione molto particolare, in una Valle alpina provvista di “proprie” difese naturali, in una condizione di forte coesione almeno da parte di alcuni strati di quella società: elementi specifici che devono essere tenuti in conto nell’analisi.

Il dato, però, della risposta “locale” alla globalizzazione di cui l’alta velocità ferroviaria transnazionale rappresenta sicuramente uno dei simboli più significativi, va tenuto in conto nell’analisi almeno sotto due aspetti: il primo riguarda l’idea di un diverso modello di sviluppo (non è detto che la richiesta debba essere necessariamente rivolta verso la “decrescita”: abbiamo usato appositamente infatti il vecchio termine, forse un po’ abusato del “diverso modello di sviluppo” proprio per segnalare questo tipo di diversità).

Il secondo aspetto riguarda quel fattore di rovesciamento tra “politics” e policy, sul quale si sta ragionando da qualche tempo e che, nello specifico del “caso italiano” era già emerso con prepotenza nell’occasione del recente esito referendario su acqua e nucleare.

La richiesta dal basso di politiche diverse da quelle proposte dai livelli “ufficiali” di governo, la costruzione, invece, di una “governance” multilivello partecipata fuori e dentro le istituzioni, l’elaborazione collettiva di programmi ritenuti adatti alla realtà del territorio, in relazione ai bisogni dei cittadini: può essere questa la nuova frontiera per un recupero di produttiva relazione tra i cittadini e le istituzioni; per un ritorno alla “politica”?

La domanda è molto importante, e la risposta molto difficile: una risposta che sta dentro alla soluzione della crisi dello “Stato-Nazione”, della capacità dei soggetti rappresentativi, fuori e dentro le istituzioni, di fare insieme “cultura politica” e “cultura del territorio” definendo progettualità che stiano dentro ad un quadro generale di principi a livello di progetto (il pubblico che si occupa di economia, il pubblico che propone il recupero dello stato sociale universalistico, un sistema politico strutturato in modo da fornire rappresentanza all’insieme delle sensibilità sociali e politiche e non semplicemente orientato per garantire la “governabilità” esercitata da pochi legittimati da un numero sempre più scarso di elettori, chiamati alla semplice ratifica: tanto per fare degli esempi).

La “testa del corteo” di Genova 23 Luglio 2011 ha, forse, codificato questi interrogativi sui quali ci si arrovella da qualche tempo senza riuscire a raggiungere definizioni precise: risalta, in questo vero e proprio “mutamento di processo” la debolezza dei “corpi intermedi”, in particolare dei partiti (che dovrebbero abbandonare lo schema “liquido” del personalismo per recuperare soprattutto una funzione di acculturazione collettiva e di capacità di rappresentanza politica) e del sindacato (all’interno del quale dovrebbe prendere piede in dimensione più accentuata la riflessione sulla necessità dell’intreccio tra le diverse contraddizioni, quelle della condizione materiale e della realtà del territorio).

Una nuova qualità della riflessione e della proposta nell’”agire politico”: questa la richiesta, urgente e prepotente, emersa dalla manifestazione genovese, al di là della retorica, della stanchezza nelle dichiarazioni, nella ripetitività espressa da molti esponenti politici che hanno dimostrato per davvero tutto il “deficit” di elaborazione che attraversa la sinistra italiana in questo momento.

Savona,  luglio 2011                                                  Franco Astengo

 

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