La memoria divisa degli italiani

LA MEMORIA DIVISA DEGLI ITALIANI

LA MEMORIA DIVISA DEGLI ITALIANI

 I cosiddetti revisionisti del Ventennio e della vulgata resistenziale partono dal presupposto che, nelle vicende umane in generale (come sapeva bene Don Abbondio),  “la ragione e il torto non si dividon mai con un taglio così netto, che ogni parte abbia soltanto dell’una o dell’altro” e quindi anche nella guerra civile che insanguinò l’Italia dal settembre del 1943 all’aprile del 1945,  per i revisionisti (confortati anche dal grande  successo di libri come Il sangue dei vinti di Giampaolo Pansa) tanto i fascisti quanto gli antifascisti avevano  le loro buone ragioni per combattere gli uni contro gli altri, e per questo non si può sostenere che una parte fosse migliore dell’altra; anzi, qualche revisionista più audace si è spinto a considerare i vinti migliori dei vincitori, che hanno prevalso solo perché dotati di un maggiore potenziale bellico ed economico non per il loro valor militare.

E non vale nemmeno  ricordare a costoro chi fu a invadere la Polonia nel ’39, e chi dichiarò guerra alla Francia e alla Gran Bretagna nel ’40, e chi attaccò proditoriamente l’Unione Sovietica nel ’41, e chi provocò la guerra civile “fratricida” tra italiani con la formazione dello stato fantoccio collaborazionista della  RSI, e gli orrori dei Lager e della “Soluzione finale del problema ebraico”, perché subito controbattono ricordando ai vincitori gli orrori dei gulag staliniani, dei bombardamenti intensivi e devastanti  con bombe incendiarie sulle città tedesche che fecero strage di civili inermi e del lancio della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki. D’altronde si sa che i vincitori tendono a insistere sui crimini commessi dai perdenti e a sorvolare sui propri: a Norimberga furono processati solo i criminali di guerra nazisti da una Corte composta  da magistrati rappresentanti degli Stati  che avevano vinto la guerra (Stati Uniti, Gran Bretagna, Unione Sovietica e Francia).


In Italia non ci fu nessuna Norimberga: Mussolini venne fucilato in fretta a Giulino di Mezzegra, i maggiori gerarchi del regime fascista furono giustiziati dai partigiani senza regolare processo (e alcuni di essi finirono appesi insieme al Duce a Piazzale Loreto), ma non è con le esecuzioni sommarie – deprecate da Sandro Pertini, da Ferruccio Parri e persino da Palmiro Togliatti – che si rende giustizia alle vittime della guerra nazifascista. Per di più è proprio facendo leva su queste esecuzioni sommarie, sulle vendette e sui delitti commessi anche, purtroppo, da qualche partigiano che i revisionisti,  e – diciamo pure pane al pane e vino al vino senza timore di venir meno alla buona creanza (quale? Quella di non chiamare le cose con il loro nome?) – i “sovranisti” di Fratelli d’Italia, i neofascisti  di Casa Pound, di Forza Nuova et similia  tentano di criminalizzare tutta la Resistenza.


Il fatto inquietante (ovviamente dal punto di vista delle istituzioni liberali e democratiche ancora formalmente in vigore nel nostro Paese) è che questi tentativi di rilettura della storia miranti a mettere sullo stesso piano, per esempio, Brigate partigiane e Brigate Nere, combattenti per la liberazione d’Italia dai nazifascisti e combattenti a fianco degli occupanti  tedeschi per la vittoria di Hitler, con la conseguenza di defascistizzare il fascismo e quindi di delegittimare l’antifascismo,  sembrano cadere su un terreno se non proprio favorevole certamente non ostile (come spiegare altrimenti la fortuna elettorale di partiti come la Lega sostanzialmente postideologici che non vogliono più sentir parlare di fascismo e  antifascismo, destra e sinistra, borghesia e proletariato, diritti umani e razzismo e che preferiscono guardare al futuro piuttosto che a un passato sempre più lontano?). Nel frattempo è andata avanti l’opera di de-fascistizzazione del fascismo da parte di tanti storici d’accatto e da  talk-show, per lo più eredi di tre giornalisti – come scrive lo storico Sergio Luzzatto nel suo saggio La crisi dell’antifascismo , Einaudi, 2004 – stra-fascisti negli anni Trenta e anti-antifascisti dopo la Liberazione: Leo Longanesi, Giovanni Ansaldo e Indro Montanelli…Non si insisterà mai abbastanza – osserva ancora Luzzatto – sul danno morale e civile che tale banalizzazione retrospettiva del Ventennio ha arrecato alla memoria storica della Repubblica: poiché appunto questa – almeno altrettanto che la vulgata antifascista denunciata da Renzo De Felice – è stata la vulgata anti-antifascista che gli italiani hanno sorbito per decenni attraverso le scritture pseudostoriografiche dei Montanelli, dei Mario Cervi, dei Roberto Gervaso.


Né, sia chiaro, alcun medico ha ordinato loro la pozione: nessun leviatano politico o culturale ha imposto agli italiani  di bersi tante fole su Mussolini dittatore riluttante e sul fascismo regime dal volto umano. Nel linguaggio farmaceutico di oggi, diremmo che si è trattato di un’automedicazione: un modo, condiviso da molti autori e da moltissimi lettori, di riconciliarsi con un passato da fascisti scoprendolo grottesco piuttosto che vergognoso, o patetico piuttosto che infame”. Ma una vera riconciliazione di tuttigli italiani  con il loro passato non è   possibile perché troppe ombre, troppi omissis occultano ancora la realtà di quello che è veramente accaduto in Italia, in Africa, in Grecia, nei Balcani durante la seconda guerra mondiale, troppi crimini  sono rimasti impuniti e troppi criminali fascisti  furono  salvati grazie alle nuove alleanze internazionali determinate dalla Guerra fredda e all’ amnistia del 22 giugno 1946, emanata per celebrare la nascita della Repubblica italiana e firmata dal segretario del Partito comunista, Palmiro Togliatti, ministro guardasigilli del primo governo De Gasperi. L’intenzione era buona ma il risultato fu che molti dei fascisti beneficiati vennero reintegrati nei gangli del nuovo  Stato democratico e teoricamente antifascista, come è documentato con scrupolo archivistico nel saggio dello storico Davide Conti Gli uomini di Mussolini. Prefetti, questori e criminali di guerra dal fascismo alla Repubblica Italiana , Einaudi, 2017. Questa mancata defascistizzazione dello Stato spiega anche perché la Costituzione venne ben presto congelata e perché ancora oggi la nostra sia una Repubblica democratica di nome ma non completamente di fatto. Quanto alla memoria storica degli italiani, come potrebbe essere condivisa con tanti scheletri ancora nascosti negli armadi dei servizi segreti “deviati” della Repubblica “nata dalla Resistenza” e finché ci saranno amministrazioni comunali fiere di erigere monumenti a criminali di guerra come il generale Rodolfo Graziani? 

   FULVIO SGUERSO

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