La lezione di Piero Buscaroli

La lezione di Piero Buscaroli

La lezione di Piero Buscaroli

 Il 16 febbraio di due anni fa moriva a 86 anni Piero Buscaroli. Grande musicologo, il maggiore forse del Novecento, profondo conoscitore di Mozart, Beethoven, Bach ma anche giornalista, saggista, storico e, soprattutto, uomo libero come ce ne sono pochi e, nel mondo accademico o nelle redazioni, quasi punti. Un uomo libero come libera è la musica, sottratta, a differenza della parola, ai vincoli della grammatica, del significato, della compatibilità e della convenienza sociali. Simile in questo a un altro grande cultore di musica, Nietzsche, che si illudeva di poter trasferire nella parola la medesima libertà della musica, sfidando il paradosso e la provocazione e il rischio di voler semplicemente épater les bourgeois.


Nel secolo del politicamente corretto c’è poco spazio per un uomo libero, che pretende di essere libero di dire anche cose sgradevoli, di sfidare il senso comune, la buona creanza, il perbenismo e l’ipocrisia. Libero anche di fare affermazioni di cui dopo ricredersi, di oggettivare il lato oscuro dei propri pensieri e dei propri sentimenti, non per fare scandalo ma per liberarsi di un peso, per scaricare all’esterno scorie e sedimenti che solo se portati alla luce possono essere eliminati. Homo sum, nihil humani a me alienum puto, suona la battuta messa in bocca da Terenzio al suo personaggio, ma spesso si deve fare i conti con aspetti dell’umanità incompatibili con ciò che si vuol essere, come l’omosessualità che per essere rifiutata va riconosciuta e respinta. E allora non è una scelta legittima, una variazione sul tema, un arricchimento come la biodiversità, non è il “gay” che smussa le differenze e rimane come possibilità ma è il frocio o la checca da cui prendere le distanze, non per esecrarlo o punirlo ma per oggettivarlo e liberarsene. Non è omofobia come pretendono le anime belle, è solo il desiderio di fare chiarezza, di liberarsi dal peso della rimozione.


Un uomo libero, che, disgustato da questa repubblica nata male e cresciuta peggio, si proclamava ostentatamente fascista, sapendo bene che il fascismo è il passato, il non più affidato unicamente al ricordo, alla nostalgia, quella stessa struggente nostalgia che mostrava al Carducci “le donne gentili che danzavano in piazza e co’ re vinti i consoli tornavano”. E poco importa se il fascismo è stato anche servilismo, gonfia retorica, profittatori di regime, nuova pacchiana aristocrazia, come poco importa se il medioevo è stato anche ignoranza, sporcizia, superstizione: quel che conta è la mente libera e sognatrice dei grandi uomini che proiettano nel passato i propri sogni e soffrono le angustie del presente. Buscaroli era per questo in buona compagnia: grandi che nulla concedono alle orecchie pudiche dei benpensanti, aspri, assetati di verità, intransigenti come Leopardi che senza infingimenti condanna senza appello “l’amore universale, che, distruggendo l’amor patrio non gli sostituisce verun’altra passione attiva” ed è all’origine del “guasto” e decadenza delle nazioni”.


Ma era soprattutto uomo “enciclopedico”, secondo la definizione dello stesso Leopardi, non chiuso all’interno di competenze divenute asfittiche ma curioso e aperto verso tutto l’universo del sapere quanto disponibile all’impegno nel presente. Che non significa erudizione, tuttologia o, peggio, pretesa di invadere campi sconosciuti forti del prestigio conseguito nel proprio. Esattamente il contrario: non l’auctoritas ma l’humanitas, che non riduce la conoscenza a strumento di potere ma la riporta alla sua vera natura di epifania della ragione e che per essere individuale deve poter essere collettiva. E, riguardo all’impegno nel presente, in essa si esprime, insieme alla rivendicazione della propria personale esperienza, il proprio essere politico e sociale, senza aver niente a che vedere con l’intellettuale – parola orribile e insensata – engagé, impegnato, o, meglio, asservito e al soldo di una parte politica, che è poi sempre la stessa. Humanitas che, mi si consenta, è del tutto estranea ai gigioni da salotto e da palcoscenico come Sgarbi, scopritore un giorno sì e l’altro pure dell’acqua calda, falso anticonformista e perfettamente allineato e integrato, che invoca Catullo conosciuto per sentito dire, si inchina ai valori della resistenza e, bontà sua, riconosce che tutta l’intellighenzia comunista era cresciuta sotto le ali di Bottai.


Buscaroli no. Uomo di studi più a suo agio coi classici che con i best seller del momento, anche se di destra, di poche ma selezionate letture, animato dal proposito di far conoscere alle nuove generazioni quello che le vecchie hanno taciuto e stravolto, dal mito della resistenza al silenzio tombale sul terrorismo aereo degli angloamericani. Una strategia criminale, quella, che se viene ripetuta su piccolissima scala da Assad le vestali dell’antifascismo e i pennivendoli di regime si stracciano vesti; quella stessa strategia criminale che pretendeva di giustificare le atomiche su Hiroshima e Nagasaki con l’aver costretto il Giappone alla pace con due settimane di anticipo, che distrusse la più bella città della Germania, che a Milano aveva come bersaglio scuole e asili e, a guerra finita, per fare un favore a Tito si accaniva sulla Dalmazia italiana.

L’aver scoperchiato questo vaso di ipocrisia e menzogne in una serie di servizi pubblicati sul Giornale di Feltri prima di esserne allontanato non è l’unico titolo di merito di Buscaroli giornalista. Il maggiore è proprio l’esser stato ridotto ai margini, confinato nella critica musicale, scotomizzato, la migliore prova della sua incompatibilità e della incompatibilità di ogni voce libera con questo regime marcio fino alle midolla.

     Pier Franco Lisorini

 Pier Franco Lisorini è un docente di filosofia in pensione

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