La grande bruttezza

La grande bruttezza

Ci fanno un loro salotto al posto del bagno, e gli diamo pure le chiavi di casa. Li chiamano oneri di urbanizzazione.

La grande bruttezza
Ci fanno un loro salotto al posto del bagno, e gli diamo pure le chiavi di casa. Li chiamano oneri di urbanizzazione.

“Uno sale qua sopra e potrebbe pensare che la natura vince sempre, che è ancora più forte dell’uomo, e invece non è così.

In fondo tutte le cose anche le peggiori una volta fatte si trova una logica, delle giustificazioni, per il solo fatto di esistere. Fanno queste case schifose con le finestre in alluminio i muri di mattoni vivi, i balconcini. La gente ci va ad abitare, ci mette le tendine, i gerani, la televisione, dopo un po’ tutto fa parte del paesaggio, cioè, esiste. Nessuno si ricorda più di com’era prima. Ci vuole niente a distruggere la bellezza.

Allora invece della lotta politica, la coscienza di classe, ‘ste fesserie, bisognerebbe ricordare alla gente cosa è la bellezza. Imparare a riconoscerla, a difenderla. E’ importante la bellezza, da quella scende giù tutto il resto.“

Sono parole tratte dal film “i cento passi”, pronunciate dall’attore che interpretava Peppino Impastato.

Quello stesso Impastato a cui si intitola la via fra i due Crescent, in porto.


 Un autentico sfregio. Ma il dramma non è tanto l’offesa in sé, quanto il non rendersene neppure conto.

A rovinare definitivamente questo Paese non sono le cricche affaristiche, sono i tanti, troppi indifferenti, inconsapevoli, insensibili, distratti, rassegnati o disabituati a pensare che i diritti siano tali.

Compreso il diritto alla bellezza, a un ambiente che ci circondi di gioia, appagamento, benessere.

Il Sindaco per una volta mi ascoltava attentamente, mentre pronunciavo quella citazione, durante il mio intervento in Consiglio contro il Crescent 2.

Perché l’ha capito, che dopotutto un amministratore verrà ricordato, a distanza di tempo, per le opere che rimarranno, per il bello che avrà regalato alla città. E allora, ansioso di non essere solo quello dello  scempio del porto, che ha ereditato e portato volonterosamente a termine,  vorrebbe ristrutturare e riportare alla bellezza palazzo S. Chiara.

Lodevole proposito. Ma non dimentichiamoci che se ora la città è costretta a cercare fondi per un’opera meritoria, è perché l’Autorità Portuale, a suo tempo, con il solito spregio del bene comune e usando a suo arbitrio soldi pubblici, e ribadisco pubblici,  scelse con disprezzo di abbandonare quel restauro foriero di grattacapi e vincoli, scelse di non regalare a sé e alla città una sede prestigiosa, di fare per una volta una  cosa intelligente e apprezzabile, ma  di sprecare milioni e consulenze di architetti amici per confezionare un altro rinunciabile piccolo ecomostro in porto.


 

Non c’è recupero del resto senza scempio. Non c’è  un solo tentativo di qualcosa di bello, che non sia suggellato dalla bruttezza a contorno, come uno scotto da pagare, la volgarità della redditività a tutti i costi, del profitto irrinunciabile. O addirittura, in qualche caso, del brutto fine a se stesso.  Guardate la vecchia centrale Enel alla foce del Letimbro:  prima di pensare a un restauro delle belle palazzine liberty, ben fatto ma peraltro ancora incompiuto, abbiamo dovuto subirci un mostruoso palazzone rosa. E la parte restaurata, una volta completata, ospiterà loft e l’ennesimo centro commerciale.

Né l’ente pubblico che autorizza è in grado di pensare e pretendere opere di maggiore utilità pubblica, né il privato costruttore si sognerebbe mai qualcosa del genere.

E il S. Giacomo? Il complesso quasi in rovina che risale addirittura a Sisto IV? Con tutta la buona volontà del consigliere Aschiero,  dovrà essere trasformato in albergo privato per riavere qualcosa di pubblico. Non solo: attraverso il grimaldello del cambio di destinazione d’uso, l’hotel Miramare sarà trasformato in appartamenti, e questo probabilmente darà il la a una bella cementificazione collinare a contorno. Ora no, ma basta aspettare. Una sorta di implicita condizione sottesa: mai puoi sperare di salvare alla meno peggio qualcosa di bello, senza avere del brutto di compensazione. Lo esige la legge del profitto e della massima spremitura del territorio.


Ex convento S. Giacomo

Non è difficile prevedere che così sarà anche per il S. Chiara: non potendo cementificare, ci saranno ampie concessioni di spazi ai privati, col rischio di trasformare quei cortili nell’ennesimo suk delle cianfrusaglie e del fast food. Mi pare già di vederlo,  e le premesse ci sono tutte.

Ecco, il succo è tutto qui, e Impastato aveva genialmente capito il nocciolo. Siamo disabituati alla bellezza, abituati allo spreco e allo sfregio come inevitabili. Indifferenti. Proprio il Paese che ha la fortuna di aver ereditato il maggior patrimonio mondiale di bellezze naturali, storiche, architettoniche, una tale concentrazione di meraviglia che tutto il mondo ci invidia, lo butta alle ortiche, lo dissipa con la stessa sprezzante noncuranza del ragazzo viziato che sperpera il patrimonio di famiglia.

Proprio pochi giorni dopo questo mio intervento, un responsabile degli Uffizi che visitava la città, guardandosi intorno, ha sostenuto che il bello è importante e che l’urbanistica non andrebbe lasciata agli assessori.

Non potrei essere più d’accordo. Un comitato super partes di saggi, di esperti, dovrebbe poter dire dove e come e quando costruire, restaurare, ristrutturare. Con qualche potere in più di consulte e sovrintendenze. Anche potere di veto, sì, quello contro cui sbuffano schiere di politici del fare, insofferenti di avere le mani legate. Del loro fare che significa distruggere, sperperare, scempiare per fare girare soldi.

Ma non solo. Lo sviluppo urbanistico, o il non sviluppo, perché non dimentichiamoci che esiste anche la possibilità, mai contemplata, che il cosiddetto degrado non significhi licenza di uccidere il paesaggio, dovrebbe essere una pianificazione congiunta, a partire dalla statistica di reali esigenze abitative, fra chi tutela il bello e lo sviluppo razionale, e chi valuta la pianificazione urbana a lungo termine. Non una sequenza di rese incondizionate alle pretese dei costruttori, a casaccio, mendicando dubbie compensazioni.

Come se qualcuno arrivasse in casa tua, ed esibendo un documento che lo autorizza dicesse: qui hai il bagno? Io ci voglio fare un salotto.  Non mi interessa dove farai la pipì, arrangiati.

Tutto questo, però, non basta. Come non basta, anche se aiuterebbe, cambiare certe leggi. Non basta chi cali dall’alto giudizi estetici o pianifichi sulle nostre teste: occorre una rieducazione al bello, a partire dalle scuole, forte, profonda, consapevole. Altro che minimizzare storia dell’arte come un orpello.

Occorre che la smettiamo di subire, che pretendiamo il bello, che pretendiamo il rispetto del nostro ambiente e del nostro territorio. Che ci rendiamo conto, anche guardando esempi stranieri, che qualcosa di meglio PUO’ e DEVE esistere. Ai comitati di cui sopra, estetica e pianificazione, deve potersi aggiungere la progettazione partecipata, il giudizio degli abitanti.  E farlo rispettare. Educazione diffusa, rispetto, intelligenza collettiva, consapevolezza dell’abitare e del vivere.

A Carrara i cittadini hanno occupato il Comune e sono in assemblea permanente

Impastato aveva intuito una cosa giustissima: questa sarebbe un’arma potentissima contro la cultura mafiosa. Difendere il bello, il diritto alla bellezza. E difenderlo in tanti, e con forza.

Perché lo spreco, lo scempio, il cemento sparso con noncuranza, la bruttezza trionfante ed esibita sono  direttamente figli e frutto della cultura mafiosa ormai ramificata in questo Paese, come un cancro.

Intendiamoci, prima che qualcuno insorga, qui non sto parlando di illegalità. Ci sono opere perfettamente legali e legittime dalla prima all’ultima pietra, e altre no. Non sta a me sindacare. Ci sono muri costruiti a regola d’arte come ci sono  argini col polistirolo che si sbriciolano, e terrazzi di cartone che crollano.

Ma tutte le opere, quelle che potrebbero interessare la magistratura, e quelle che interesseranno solo i posteri, quando ci giudicheranno,  hanno in comune una caratteristica: il brutto imposto, volgare, trionfante. Anche quando è inutile. Anche quando con gli stessi soldi, con gli stessi guadagni, anche perfettamente leciti,  si potrebbe fare ben di meglio.

Il brutto, lo scempio, lo sfregio sono valori aggiunti della mentalità palazzinara priva di gusto, e peggiorano sempre. Prima avevamo orribili case popolari, con la dubbia giustificazione di dover comunque fornire una casa a tanta gente a basso costo e senza star troppo a far sofismi. E così un po’ dovunque sono nate alienanti periferie urbane.

Ora per par condicio anche i ricchi devono vivere in ambienti e strutture freddi, alienanti, privi di quella intelligenza e sensibilità del contesto che caratterizza le opere urbanistiche magari ardite,  magari originali, ma parte di un quadro generale e immaginate per il vivere urbano. Non le pensate arroganti di architetti megalomani e indifferenti.

La cultura che abbiamo ereditato dalla mafia umilia e vilipende questo Paese. E’ la mentalità della cazzuola, del tombamento. Quella per cui nuovo è bello a prescindere, e una mano di cemento armato aggiusta tutto. Quella per cui più si impasta e meglio è.  Muretti e cemento a vista piazzati dove non servono, opere posticce e discutibili, sventramenti e offese al territorio.

Non esiste amore e rispetto, gusto e raffinatezza, solo stupro, violazione, come riaffermazione di potere o come indifferente dato di fatto, in questa cultura che ci ha ormai avvelenato. Proprio come nelle più arretrate culture patriarcali, come se si trattasse di  una donna da sottomettere, da usare a proprio piacimento come un oggetto, da avvilire e sfregiare.

Persino se volesse bene  al suo “padrone” e gli si offrisse spontaneamente, lui non potrebbe  far altro che esercitare violenza e prepotenza, riaffermare soddisfazione attraverso la brutalità.

Pensateci, pensiamoci. Tutte le volte che diciamo, alzando le spalle: è solo un palazzo.

Quando vediamo un progetto che ci rattrista nel profondo, come una lapide tombale, e rinunciamo a lottare perché tanto è inutile.

Perché tanto se vogliono lo fanno in ogni caso, si sente spesso dire. 

Perché quello che c’era prima era peggio. Perché lì c’era già costruito. E allora, abdichiamo al diritto di scegliere meglio? E’ ineluttabile la bruttezza?

Rinuncia, rassegnazione,  passività. Ci fanno un salotto al posto del bagno, e gli diamo pure le chiavi di casa. Li chiamano oneri di urbanizzazione.


Siamo consci che facendo così permettiamo che quella donna simbolica continui a essere umiliata, picchiata, violentata fino allo stremo.

Pensiamo che nulla è gratuito, e ci riguarda: mentre il rozzo violentatore si prende la sua soddisfazione, noi ci becchiamo frane, alluvioni, disagi.  La nostra vita urbana, i nostri quartieri, il nostro verde ci vengono spazzati di sotto il naso o stravolti senza un perché.  Il turismo vero scappa,  le case vuote e inutili ci assediano come fantasmi, e il degrado urbano, quello vero, sarà la prossima tappa. Posti di lavoro non se ne creano, ma se ne continuano a perdere.  Ci immiseriamo, materialmente e moralmente.

E non è economico, l’ostacolo, non pensiamolo mai, non cediamo a questo ricatto, non permettiamo loro di farcelo credere. Perché non è vero: a volte la bellezza costa poco, è inutilmente dispendioso il brutto che ci impongono a ogni costo. E non pensiamo neppure all’utile: la bellezza è sempre utilissima, il brutto è spesso inutile o dannoso.

Non pensiamo di essere costretti a svenderci per la crisi. Nulla di più sbagliato, alla fine non ci attenderebbe che la bancarotta.

Davvero non ci resta che accettare tutto questo? Davvero non possiamo far niente per far sentire la nostra voce, per cambiare? Davvero non possiamo reagire, come comunità?

Di voci e indignazione contro il cemento, di contrarietà a parole, ne sento e ne leggo tanta. A livello di mugugno. Ma reazioni, zero. E si votan sempre gli stessi, o si pensa di risolvere tutto non votando.

Pensiamoci,  e soprattutto, non pensiamo mai che non sia affar nostro, preoccuparci del mondo che ci sta intorno.

Altrimenti dopo il bagno ci butteranno fuori anche dalla cucina, e prima o poi ci troveremo in cortile al freddo, con una coperta e un seggiolino pieghevole, e buona notte.

   Milena Debenedetti  consigliera del  Movimento 5 stelle

 

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.