La gestione agostiniana del “male” nel contesto storico del IV e V secolo
Agostino d’Ippona. Colui che dopo Paolo di Tarso ha determinato maggiormente l’esistenza e le scelte della Chiesa, dedicò una gran parte della sua vita al tentativo di risolvere la questione del male.
Visse a cavallo tra IV e V secolo, ovvero in un periodo cruciale per il cristianesimo e parallelamente e di converso, per il paganesimo.
Fu infatti proprio nel 380 che l’Editto di Teodosio I stabilì come l’unica religione non solo ammessa, ma obbligatoria, fosse quella cristiana, talché chi non l’avesse osservata e praticata, sarebbe stato perseguito per legge.
Nel 439 poi, sotto Teodosio II, nipote ( figlio del figlio ) di Teodosio I, entrò in vigore un importantissimo Codice di Leggi, il Codex Theodosianus.
Esso rappresenta la raccolta più consistente, che meglio e più diffusamente trattò la materia, ancora incandescente, della presenza nell’impero del paganesimo, tutt’altro che scomparso dopo la consacrazione della religione cristiana a religione di Stato.
Il Codex, in 16 libri, conteneva esclusivamente provvedimenti normativi emanati a cominciare da Costantino il Grande. Erano relativi ai diversi campi del reale ( diritto criminale, diritto finanziario, diritto delle corporazioni…).
Solo il 16° libro trattava specificamente del diritto ecclesiastico, e tuttavia l’intera raccolta aveva un’impostazione volta a meglio radicare il cristianesimo nella società, dotandolo degli strumenti giuridici più opportuni.
E’ tenendo presente tale documento che si può comprendere come Agostino si sia sentito sufficientemente forte per affrontare il problema del male quando quest’ultimo gli si presentò in termini non più schiettamente filosofici, ma anche politici e pratici, e inquadrato nella lotta contro i pagani.
Colui la cui speculazione stabiliva che il male non esiste in sé ma è soltanto mancanza di bene allo stesso modo di come il silenzio non è qualcosa di reale, ma si chiama “silenzio” la mancanza di rumore, come affrontò il male ( appunto ) del persistente paganesimo e dell’eresia?
Riuscì davvero, alla prova dei fatti, dei sommovimenti sociali, dei rivolgimenti politici, delle cosiddette invasioni barbariche ( fondamentale per la sua biografia e il suo interiore sentire la capitolazione nel 410 della Città Eterna per mano del visigoto Alarico )…, a restare coerente con la morale che era andato elaborando e predicando? Gli fu possibile allinearsi col potere dell’Impero in un gioco di mutuo sostegno senza allontanarsi dai dettami del Vangelo?
Quel che è certo è che alcune sue prese di posizione non sarebbero state possibili senza, appunto, uno strumento quale il Codex Theodosianus.
Agostino, per esempio, ora poteva liberamente esprimere l’idea che quella dei pagani disposti ad essere severamente puniti ( con l’esclusione da determinati diritti, con ammende monetarie, con pene corporali o con la morte ) non fosse una profonda convinzione, ma pervicacia e perversione a preferire il non-bene ( il male non esistendo perché Dio non può averlo creato ) piuttosto che il bene.
Si capisce allora perché egli non abbia mai, tra le altre cose e per portare solo un esempio, contestato il decreto ( Codex Theodosianus, 1.27.1 ) con il quale veniva permesso ai cristiani di sottoporre una controversia, anche qualora essa fosse già in corso di giudizio in un tribunale comune, alla decisione del vescovo.
Insomma per lui il bene è a mano a mano sempre più ciò che afferma e fa la Chiesa, con ( e oltre, se fosse il caso ) le leggi stabilite dallo Stato. Comportamento, per paradosso, che lo stesso Stato avalla.
Le conversioni forzate, dunque, sono un fenomeno moralmente lecito e anzi obbligato.
Non importa se bisogna ricorrere alla minaccia e al castigo.
Chi vuol vivere in tranquillità, non ha da far altro che obbedire a chi per conto della Chiesa e dell’Impero gli intima di credere.
Politica, questa, di apologetica e di spada attuata concretamente verso l’eresia donatista.
La fede, la speranza e la carità dovevano andarsi ad aggiungere nel bagaglio morale di un pagano alle virtù classiche, quelle che grossomodo erano sovrapponibili alle virtù cardinali della fortezza, temperanza, giustizia, prudenza.
Per essere buoni cittadini, ora bisognava essere anche buoni cristiani.
Senonché delle tre teologali, la più caratterizzante del cristiano, la fede, è proprio quella che crea più ostacoli teologici. Essa infatti come afferma lo stesso Agostino nella sua polemica contro il coetaneo Pelagio, è dono della Grazia, e questa a sua volta è dono gratuito di Dio, per il quale né le opere né la volontà dell’uomo possono qualcosa…
E allora in che maniera ritenere ancora valide le ingiunzioni del vescovo di Ippona ad abbandonare l’eresia e il paganesimo per convertirsi alla vera fede?
Con quale giustificazione aderire al suo incitamento ad essere inflessibili verso chi è refrattario? Non è questo un aver compiuto un percorso teologico-politico-speculativo che riporta ad un mazzo di carte da ridistribuire?
Agostino pur di dirigere il suo pensiero verso una ideale Civitas Dei già qui in terra, e tuttavia non potendo evitare di ammettere la presenza costante del mistero del male in un mondo creato dal Sommo Bene, non si fa scrupolo di pervenire ad affermazioni che dimostrano senza più la sua determinazione a creare un contenitore deformabile in cui far stare tutto ciò che altrimenti non potrebbe rientrare nella sua proposta.
Esemplare quanto scrive nell’ “Epistola CXXXVIII.14”: “Se dunque lo Stato osservasse i precetti cristiani, le stesse guerre sarebbero combattute con benevolenza [ sic! ] e sarebbe più facile provvedere alla sorte dei vinti in una società pacificata nell’amore e nella giustizia…”
Il riferimento per la convalida, più o meno contestualizzato, è sempre possibile trovarlo. Anche nel Vangelo, come ci mostra nell’ “Epistola XCII”, dove trova una sponda in Luca, 14, 23: “E il padrone disse al servo: Esci per i viottoli e le siepi e forzali a entrare, affinché la mia casa si riempia, perché vi dico: nessuno di quegli uomini che erano stati invitati [ e che ha rifiutato l’invito ] gusterà la mia cena”.
In realtà Agostino sa bene che molte conversioni dal paganesimo o dall’eresia al cristianesimo, sono solo di facciata, ma le preferisce così piuttosto che irrealizzate.
E sarà una preferenza condivisa a lungo nella storia a seguire.